giovedì 8 dicembre 2016

24 NOVEMBRE


Scalerò montagne,

percorrerò distanze,

chiederò di Te

alla terra,

agli altri,
a quella voce che grida dentro
con un verso di pace e di Vangelo
Spenderò i miei giorni,
andrò in terre lontane.
E se mi stancherò,
se vacillerò,
se qualche volta ti rinnegherò,
non permettere che mi arrenda.
So che quando ascolterò la tua voce
che pronuncia il mio nome
e si invita alla mia tavola
capirò, alla fine…
che la salvezza era già qui.

CUORE

Il mio unico desiderio
è che queste anime
di gettino e si perdano
nell'abisso senza fondo
del mio cuore

ALI

DIO


“Le persone devono fare quello che possono fare loro

 secondo le loro forze, tutto il resto, che va oltre le loro 

possibilià, bisogna lasciar fare a Dio..

Dobbiamo fare quello che passa attraverso 

le nostre mani, il resto, lo finirà Dio.

 Dio e' obbligato ad aiutare l'uomo timoroso 
di Dio 

quando lui fa tutto quello che può fare.

 (s. Paisios – mn. aghiorita)

Abba Macario

Insegnava Abba Macario: 

"Se le mura di cinta di una grande città 

sono state distrutte ed essa è deserta,

 conquistata dai nemici, a nulla le giova

 la sua grandezza; bisogna cercare che 

in proporzione alla sua grandezza abbia

 anche solide mura che impediscano ai

 nemici di entrare. Così anche le anime

 adorne di conoscenza, sapienza e intelligenza

 del cuore, sono come grandi città, 

ma occorre cercare che siano fortificate

 dalla potenza dello Spirito Santo, perché

 i nemici non vi penetrino e le rendano deserte.

 I sapienti di questo mondo, Aristotele, Platone,

 Isocrate, muniti di profonde conoscenze,

 erano simili a grandi città ma rese deserte 

dai nemici, perché lo Spirito di Dio non era in loro".

Abba Nilo

Parole di Abba Nilo: 

"Non volere che le tue cose vadano 

come sembra bene a te, ma come piace a Dio;

 in tal modo la tua preghiera 

sarà preghiera vera e pura".

sole

Un giovane monaco chiese ad un Abba, 

che tutti consideravano una persona santa: 

"Come posso

 essere certo di trovarmi alla presenza di Dio?"

. L'Abba rispose: "Tu hai tanto controllo su di essa 

quanto è in tuo potere di far sorgere il sole".

 Esasperato, il giovane esclamò: "Ma allora che senso 

hanno tutti i nostri esercizi spirituali e le preghiere?".

 E l'Abba: "Tu fai tutte queste cose per essere

 certo di essere sveglio quando il sole sorge".

mondo

Un giovane, convertito da poco tempo, 
chiese a un monaco più anziano: 
"Padre, adesso dovrò rinunciare 
completamente al mondo?".
Gli rispose l’anziano: 
"Non temere. Se la tua vita sarà realmente 
cristiana, sarà il mondo 
che rinuncerà subito a te.".

Nel Parmense. Bore, asilo e scuola elementare salvi grazie ai figli dei rifugiati


A Bore, nel Parmense, i piccoli dei migranti hanno consentito di formare le classi. Il primo anno dell'elementare ha un solo studente: Enchwy Destiny, nigeriano
Bore, asilo e scuola elementare salvi grazie ai figli dei rifugiati
Asilo e scuola elementare salvi grazie ai bimbi dei rifugiati. Succede a Bore, un piccolo comune sull’ Appennino parmense. Poco più di 750 abitanti perlopiù anziani come in ormai molte delle località montane. Qui il sindacoFausto Ralli (Lista civica) ha stretto un patto con la Prefettura: ok all’accoglienza ma famiglie con bambini in età scolare.
Il patto ha funzionato: ad agosto 2015 sono arrivate le prime due famiglie. Padre e madre con tre figli al seguito, dalla Nigeria. Alcuni mesi dopo, una terza famiglia, curda, con due figli. Grazie a loro, l'anno scorso, si è potuto formare una classe dell'asilo nido, scongiurandone la chiusura. Quest'anno, il piccolo Enchwy Destiny è l'unico studente della prima elementare della scuola di Bore.
"Grazie a loro, l'anno scorso siamo riusciti a formare una classe nella scuola dell'infanzia e quest'anno, abbiamo garantito anche il servizio della scuola elementare" racconta il primo cittadino del comune parmense. Il rischio, per i bambini di Bore senza l'arrivo dei rifugiati, era il trasferimento nelle strutture pubbliche più vicine: che, per l'asilo dell'infanzia voleva dire almeno 25 km, per la scuola elementare, 15, a Vernasca, nel Piacentino.
A Bore, l'accoglienza dei rifugiati si è tradotta in risorsa per il territorio. "Se si evita di caricare i migranti su puillman e si lavora con i cittadini e la prefettura si ottiene un buon inserimento" svela la formula magica, il sindaco Ralli, riferendosi senza pochi giri di parole alla vicenda tanto discussa del Comune di Gorino, a Ferrara.
Le tre famiglie vivono in appartamenti in una struttura pubblica. Le madri si occupano dei figli, i padri partecipano attivamente alla vita della comunità. "Operano anche in Comune, con attività di giardinaggio e di pulizia delle strade - aggiunge Ralli - alcuni hanno anche dimostrato di avere particolari abilità in falegnameria, sono assolutamente inseriti, hanno socializzato e vanno al bar".

© Riproduzione riservata

Le ragazze di Gorino: guardate e accoglieteci

 Le ragazze di Gorino: guardate e accoglieteci



«Scappate dalle violenze di Boko Haram». Le loro ferite e le speranze: «Oggi speriamo grazie a voi italiani»
La notte del 24 ottobre, quando a Gorino, frazione di Goro, esplodono le proteste di parte della piccola comunità locale contro l’arrivo di alcune migranti in paese, dopo la decisione presa dalla prefettura: la gente scende in strada per dire no all’arrivo di 12 donne. Le ragazze vengono allora destinate a Ferrara
La notte del 24 ottobre, quando a Gorino, frazione di Goro, esplodono le proteste di parte della piccola comunità locale contro l’arrivo di alcune migranti in paese, dopo la decisione presa dalla prefettura: la gente scende in strada per dire no all’arrivo di 12 donne. Le ragazze vengono allora destinate a Ferrara
Da quella prima notte quando, venute dall’altro mondo, guardavano senza capire le barricate davanti al loro pullman, sono cambiate. Non hanno più gli occhi sbarrati di chi non sa nemmeno dove sia approdato ( Turchia? Grecia? Italia?), nessun terrore negli sguardi, semmai una stanchezza antica, mista a una nuova serenità: «Gli abitanti di Gorino non sono gente cattiva, solo non conoscevano le nostre storie e perché eravamo scappate. Se avessero saputo... All’inizio non pensavamo che ce l’avessero con noi, viaggiavamo da mesi, che male avevamo fatto, noi che dal male scappavamo? Ora però stiamo bene, now we are glad, siamo contente».
A prendere la parola è Abidemi Ogbalaja, 35 anni, la più adulta tra le dodici ragazze respinte a Gorino la notte del 24 ottobre. Non si conoscevano, i loro destini partivano mesi prima da punti lontani dell’Africa, per convergere tutti sulla stessa barca nella stessa notte, «un barcone di almeno duecento migranti» salpato il 19 ottobre dalla Libia e approdato il 22 in Calabria. Lì il primo soccorso e il trasferimento verso il delta del Po, nel paese che non aveva, e tuttora non ha, stranieri. «Quella notte alla fine abbiamo dormito in una casa di riposo per anziani, poi ci hanno divise e noi quattro siamo arrivate qui, siamo state fortunate», sorride Abidemi.

«Qui» è un luminoso appartamento non lontano dalla stazione ferroviaria di Ferrara, uno dei dodici che l’associazione Viale K, nata 24 anni fa dalla parrocchia di Sant’Agostino, offre a un centinaio di senza fissa dimora italiani e settanta richiedenti asilo. All’ingresso un 'emporio solidale' vende di tutto, o meglio lo espone, perché – spiega la coordinatrice del Progetto profughi, Francesca Rinaldi – le famiglie povere 'comprano' gratis. Le quattro ragazze "di Goro" accolte a Viale K ci aspettano in cucina. È lampante la differenza tra le nuove arrivate e altre sei giovani africane che abitano lo stesso appartamento ormai da un anno: si destreggiano ai fornelli e da cortesi padrone di casa le guardano con protezione, come a dire «col tempo sorriderete ».
Anche la mediatrice culturale che ci fa da interprete è rassicurante: «Quando sono arrivate erano spaventate dall’accaduto, allora ho spiegato che gli italiani sono buoni, ma se in una stanza da dieci persone ne metti cento può nascere un problema», racconta la pachistana Sanowar, islamica, in Italia dal 2012. Ci mostra con orgoglio il segno concreto di quanto ha detto, una foto di suo figlio con il ministro dell’Istruzione Giannini: «Ha 18 anni e ha vinto un concorso internazionale di eccellenza scolastica, l’anno prossimo si iscrive a ingegneria. Anche quello di 15 ha vinto due concorsi di matematica. E poi c’è la piccola di 12 anni che...».
Abidemi la guarda sognante. In Nigeria era maestra elementare e ora anche lei desidera riprendere gli studi, appena avrà imparato l’italiano: «Noi cristiani venivamo uccisi dagli islamici, era pericoloso anche andare in chiesa, così mio padre, ferroviere, aspettava solo che io finissi le superiori per scappare in una provincia più pacifica. Un sacerdote si è preso cura di noi, ma i terroristi di Boko Haram ci hanno costretti alla fuga. Quando i miei genitori sono morti, un’amica mi ha consigliato di venire in Europa, lì si può vivere in pace, mi ha detto». Un viaggio estenuante in autobus, in camion, a piedi, fino all’arrivo in Libia «dove una donna mi ha offerto la sua casa. L’ho seguita ma in stanza ho trovato un uomo, volevano che mi prostituissi e siccome mi rifiutavo sono rimasta prigioniera sei mesi. Ero sicura di morire e ho pregato tanto...». Tace e abbassa la dolcevita, mostra ciò che non riesce a raccontare. Come una colata di cera, la carne è fusa e ricomposta senza forma. Abidemi non sorride più: «Mi gettavano addosso acqua bollente e sulle piaghe aperte il sale. Ormai ero sempre incosciente, quando Dio mi ha mandato due donne che mi hanno aiutata a scappare».
Abidemi Ogbalaja mostra le torture subite in Africa.

Migrante economica? Profuga? Tutte e due? Boko Haram è una guerra oppure no? È la sua carne a parlare: «Dovevo scappare da tutto questo, come potevo sopportare?». Anche Faith Ahimier, 20 anni, era fuggita da Boko Haram, per intenderci il gruppo terroristico islamico che nel 2014 in Nigeria ha rapito 276 studentesse, in gran parte tuttora in mano agli aguzzini. «Spero che nessuno abbia paura di noi – si commuove –, vogliamo solo vivere. In Libia sono rimasta tre mesi, prima di poter salire sulla barca grazie a un anziano buono. Non sapevo dov’era diretta». A Lagos lavorava come fashion designer( o forse è solo il suo sogno?) e vorrebbe farlo anche qui. Belinda Nailendar, 22 anni, ha portamento da principessa d’ebano. In Sierra Leone era infermiera all’ospedale di Freetown, ma è fuggita «per problemi politici»: suo marito, attivista all’opposizione, è evaso dal carcere e il regime dava la caccia a lei per trovare lui. Racconta un’odissea infinita, fatta di fughe e fame, persone pietose e sfruttatori. Gli ultimi tre mesi li ha passati in Libia, «dove alle 4 di un mattino abbiamo preso il mare e solo sulla barca mi hanno detto che si andava in Italia: mi sono sentita sollevata».
Non ha un cellulare e non sa come avvertire il marito, ma solo a nominarlo si anima: «Mi manca e sono certa di mancare anche a lui. Ho scritto su Facebook a tutti gli amici di dirgli che sono in Italia, l’ho fatto con il cellulare di Joy». Joy Andrew ha una luce negli occhi che le altre non hanno. Apre il golf rosso fuoco ed esibisce la sua fonte di orgoglio ed energia: «Ha otto mesi, dicono i medici che nascerà il 16 dicembre ». Non erano in dodici a Gorino, «eravamo tredici – ride –, da otto mesi viaggiava in pancia con me, lo chiamerò Michael». Il padre di Joy, risposato con una donna poco incline a farle da madre, era animista e contrario alla sua fede cristiana. Paura e povertà hanno fatto il resto: «Io e mio marito Lamid dovevamo offrire a nostro figlio un futuro e un mondo migliore, ad ogni costo, quando dentro di te hai una vita che cresce trovi una forza che non immaginavi », assicura.
Così i due giovani sono fuggiti con il loro bambino e fino in Libia sono rimasti uniti. «La sera del 19 ottobre lo ricordo che supplicava un arabo di prenderci a bordo, dopo l’ho perso di vista nella calca. Magari è partito su un’altra barca, magari è in Libia», si tormenta. Poi si illumina per un pensiero nuovo, «per Michael ho scelto l’Italia perché si sa che è un Paese buono con noi. Studio da parrucchiera, lavorerò per lui». A Viale K i corsi sono di lingua italiana, cucito e parrucchiera, mentre la cucina la impareranno sui fornelli, dalle altre sei ragazze ormai cuoche provette. Destiny, partorito 2 anni fa da una di loro in Libia durante il viaggio e battezzato all’arrivo a Ferrara, è la mascotte della casa. Sua mamma è contenta: «Grazie a Joy quest’anno avremo un vero Natale». È la storia che si ripete, da millenni. Con le fughe in Egitto e i tanti Erode, le porte che si chiudono e quelle che si spalancano. E in mezzo gli innocenti, la strage mai finita, in guerra o sotto il mare. Ma la madre di Destiny sa come si guarda avanti: «La nascita di Michael benedirà questa casa. Torni il 16 dicembre, faremo festa».
© Riproduzione riservata

libertà dell’amore

Niente di quanto un peccatore pentito pone dinanzi alla misericordia di Dio – scrive Bergoglio – può rimanere senza l’abbraccio del suo perdono. È per questo motivo che nessuno di noi può porre condizioni alla misericordia; essa rimane sempre un atto di gratuità del Padre celeste, un amore incondizionato e immeritato. Non possiamo, pertanto, correre il rischio di opporci alla piena libertà dell’amore con cui Dio entra nella vita di ogni persona

porta

Papa Francesco, l'anticipazione dell'intervista a Tv2000 e inBlu Radio p...

difficili

Alcune persone nella nostra vita possono essere difficili semplicemente perché ci sfidano. O perché sono diverse. O possono essere difficili perché viviamo con loro (e la vicinanza amplifica le piccole manie). O ancora perché siamo noi ad essere difficili e qualcosa di noi le infastidisce.
O possono essere semplicemente difficili.
Qualunque sia il motivo, crescendo in santità possiamo imparare ad accettare le persone e le situazioni sconvenienti, inopportune e fastidiose nella nostra vita non solo come disturbi necessari, ma come doni.
Scrive Heather King: “Quando siamo aperti e ricettivi a tutto ciò che il mondo ha da offrire, e a tutto ciò che il mondo ha da insegnarci, allora tutto si illumina dal di dentro. Allora vediamo che tutto è, o può essere, collegato alla nostra ricerca di bellezza e di ordine. Tutto ‘appartiene’: vecchie bambole, diari decrepiti, bottoni scartati. Persone difficili”.
Vedere le persone difficili in una luce positiva sembra un compito arduo, ma possiamo iniziare imparando a rapportarci agli altri come faceva Cristo.
La Scrittura ci insegna alcuni modi in cui Gesù affrontava le persone difficili:
1. Gesù pone domande
Nel capitolo 12 del Vangelo di Luca, a Gesù viene chiesto di risolvere una disputa familiare. È interessante notare come Gesù faccia molte domande sulle Scritture. Le domande di Gesù erano in qualche modo retoriche, o impegnative, e altre volte cercava anche un feedback. Usando le domande, Gesù sottolinea la sua apertura nei confronti dell’altro.
È ironico, ma noi esseri umani tendiamo a non fare molte domande. Assumiamo, pontifichiamo, parliamo, osserviamo, interrompiamo e giudichiamo, ma facciamo raramente domande ad altre persone. Usando spesso le domande, penso che Gesù stia presentando il carattere di un buon comunicatore, una persona che si cura dell’altro abbastanza da impegnarsi con lui e da sfidarlo. Perfino, e forse soprattutto, quando è difficile.
2. Gesù non è mai messo alle strette
Nel capitolo 6 di Luca, Gesù sta camminando di sabato con i suoi discepoli e i farisei spuntano fuori dal nulla e li accusano di infrangere lo Shabbath raccogliendo le spighe. Gesù non si scompone. Non ha mai paura delle persone che cercano di coglierlo in fallo o pensano il peggio di lui, perché la sua preoccupazione principale non è ciò che pensano gli altri.
A volte le persone ci mettono alle strette con le loro idee e i loro giudizi, e possiamo iniziare a chiederci se ci vedono in modo più obiettivo di come ci vediamo noi. È difficile quando pensiamo che gli altri non ci comprendano o non si prendano il tempo di conoscerci prima di giudicarci, ma come Gesù non dobbiamo sentirci definiti dalle proiezioni altrui. La nostra identità risiede e si ritrova in Dio, non in quello che la gente cerca di attribuirci.
3. Gesù sa quando ignorare
Ricordate la volta in cui Gesù irrita tutti i suoi ex vicini e amici nella sua Nazareth natale? Sono così infuriati che decidono di gettarlo da un precipizio. Vedendo che non c’è modo di ragionare con quelle persone, Gesù attraversa la folla, ignora la sua rabbia e se ne va (Lc 4).
A volte le persone difficili vanno in collera, parlano aspramente o ci trattano male (on-line accade sempre). È il segno che bisogna fare marcia indietro e andarsene. Gesù sapeva come tenere sotto controllo la sua pressione sanguigna. Ovviamente se dobbiamo affrontare qualcuno può aiutare una discussione faccia a faccia. In seguito.
4. Gesù non rimane mai sulla difensiva
Nel capitolo 10 di Marco, Giacomo e Giovanni dicono a Gesù: “Vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo”, ma il fatto di superare i limiti non spaventa Gesù. Sa quando dire di sì e quando dire di no, e non si biasima quando non rende felici gli altri.
A volte la gente può chiederci più di quanto possiamo darle. Può provare a persuaderci col senso di colpa. Prima che ce ne rendiamo conto ci troviamo a farci in quattro per cercare di soddisfare una persona bisognosa o aggressiva (che difficilmente è soddisfatta!) Ma Gesù non cerca di compiacere le persone. Non ha bisogno di difendersi dagli altri; la volontà di Dio è la sua sicurezza. È da qui che deriva il fatto che non stia sulla difensiva.
5. Gesù è flessibile
In Matteo 15, una donna cananea chiede che Gesù guarisca sua figlia, e Gesù dice di no. Ma poi è commosso dalla risposta di fede della donna e guarisce sua figlia. Gesù approccia gli altri con una mente aperta. Anche quando aveva idee preconcette, permetteva allo Spirito di muoverlo e di andare contro i suoi istinti.
Quando ci si avvicina una persona difficile, possiamo pensare “Ecco, ci risiamo”, o “So come andrà a finire”, ma Gesù aveva una mente aperta quando veniva avvicinato da altre persone. Non si sa mai. Lo Spirito può muoverci, o la persona che è in genere difficile può agire in un modo diverso, inaspettato. Essere chiusi agli altri ci chiude anche allo Spirito Santo che lavora in noi e negli altri.
Gesù, aiutami a vederti in chiunque, anche nelle persone che mi sfidano. Illuminami con il tuo amore perché possa vederti anche nella persona più complicata. Ogni essere umano è creato a tua immagine. Aiutami a riconoscerti e ad amarti negli altri.

felicità

La felicità esiste quando
ciò che si pensa
si dice
si fa
sono in armonia
Ghandi
...la chiesa lo chiama
avere un cuore unificato

😊😊😊

amore

L'intelligenza vale solo
se è al servizio
dell'amore
A. De Saint exuperie

San Serafino

Cosa provi ora? – mi domandò padre Serafino.
– Provo un indicibile benessere – risposi.
– Cosa intendi per benessere? Cosa provi esattamente?
Risposi: – Provo un tale silenzio e una tale pace nel cuore che non so esprimere a parole.
– Amico mio, questa è la pace di cui il Signore parlò ai suoi discepoli: “Vi do la mia pace”. E’ la pace che il mondo non può donare. ‘La pace che oltrepassa ogni comprensione’ […]. Cos’altro provi?
– Incredibile dolcezza – risposi
Ed egli riprese: – Questa è la dolcezza che è descritta nelle Sacre Scritture. Questa dolcezza colma i nostri cuori e si propaga nelle nostre vene con indicibile beatitudine. Una dolcezza capace di far sciogliere i nostri cuori. Siamo entrambi a provare questa beatitudine ora. Cos’altro provi?
– Indicibile beatitudine nel cuore.
Padre Serafino continuò:
– Quando lo Spirito Santo discende nell’uomo e lo benedice con la sua venuta, ne colma il cuore di indicibile beatitudine, perché lo Spirito Santo colma ogni cosa di beatitudine. Questa è la beatitudine preparata per quelli che Lo amano. E se ora che ne abbiamo solo un assaggio ci dona così tanta dolcezza e gioia, cosa diremo della gioia preparata per noi nei cieli? Amico mio, tu hai pianto tanto sulla terra, e guarda con quale gioia il Signore ti consola. Per ora dobbiamo lavorare e compiere continui sforzi volti a ottenere sempre più forza per raggiungere “la perfetta misura della statura di Cristo”. Poi questa gioia transitoria e parziale che ora proviamo sarà rivelata in tutta la sua pienezza, sommergendo il nostro essere in inesprimibili piaceri che nessuno potrà mai toglierci. Cosa provi ancora, amico mio?
Dissi:
– Indicibile calore.
– Di che calore parli? Siamo in una foresta. E’ pieno inverno, e ovunque tu posi il tuo sguardo c’è neve. La neve fiocca persino sui nostri corpi. Di che calore può trattarsi?
Risposi:
– E’ simile al calore che si può provare alle terme quando si è immersi in un piacevole vapore.
– E l’odore – mi domandò – è lo stesso di quello delle terme?
– Oh no – risposi – non c’è nulla sulla terra simile a quest’odore.
Allora padre Serafino disse con un sorriso:
– Conosco quell’odore, proprio come te. Per questo ti ho chiesto se lo percepivi. E’ veramente una indicibile verità, amico mio. Nessun odore terreno, per quanto piacevole possa essere, può essere paragonato alla fragranza, che ora noi due sentiamo, perché ora siamo circondati dalla fragranza dello Spirito Santo. Cosa c’è di terreno simile ad essa? Tu mi dici che diffonde un calore tutt’intorno simile a quello delle terme, ma guarda: la neve non si scioglie né su di me né su di te. Significa che il calore è dentro di noi e non nell’aria. Questo è il calore per il quale lo Spirito Santo ci fa gridare al Signore: “Riscaldami con l’amore dello Spirito Santo!” […] Il Regno di Dio è dentro di te ora, e la Grazia dello Spirito Santo illumina e riscalda dal di dentro e colma l’aria d’intorno con varie fragranze, delizia i nostri sensi spirituali con la beatitudine divina e colma i nostri cuori di un’ineffabile gioia.
dialogo tra San Serafino e un suo
discepolo Nikolai Aleksandrovich Motovilov
(1809-1879)

OUTCASTS TRAILER HD

pregate


. Un giorno si recarono dal padre Lucio a Ennaton alcuni monaci chiamati euchiti [1]. L’anziano chiese loro: «Qual è il vostro lavoro manuale?». Essi dissero: «Noi non tocchiamo lavoro manuale, ma, come dice l’Apostolo, preghiamo senza interruzione» [2]. «Ma non mangiate?», chiede l’anziano. Dicono: «Sì». «E allora, mentre mangiate, chi prega per voi?». Disse quindi: «Non dormite?». Dissero: «Sì». «Dunque, mentre dormite, chi prega per voi?». Ma non sapevano che rispondere a queste domande. «Scusatemi – disse loro l’anziano – ma voi non fate come dite: io vi dimostro che, mentre compio il mio lavoro manuale, prego incessantemente. Io me ne sto seduto con Dio a inumidire i miei ramoscelli di palma e a intrecciarli in corde, e dico: Abbi pietà di me, o Dio, nella tua grande misericordia, nella moltitudine delle tue compassioni cancella il mio delitto [3]. Non è preghiera questa?». Dissero: «Sì». Ed egli a loro: «Se dunque trascorro tutto il giorno lavorando e pregando, guadagno più o meno sedici monete. Ne do due in elemosina e col resto mi mantengo. E quello che riceve le due monete prega per me mentre mangio e mentre dormo; così per la grazia di Dio adempio al precetto: pregate senza interruzione»