giovedì 25 febbraio 2016

vicino a un forte




È meglio starsene carico vicino a un forte che essere senza peso presso un debole. Quando sei carico, te ne stai vicino a Dio che è la tua forza, il quale infatti sta con i tribolati; quando sei senza peso, te ne stai presso di te, che sei la tua stessa debolezza. La virtú e la forza dell'anima crescono e si fortificano nei travagli della pazienza
Piace di piú a Dio quell'anima la quale con aridità e travaglio si sottomette a quanto è ragionevole, che quella la quale, mancando in ciò, compie tutte le sue azioni in mezzo alle consolazioni

Sarah Kroger - Impossible Things

i santi dovrebbero compiere miracoli grandiosi, dovrebbero letteralmente cambiare il mondo. Ma la realtà della santità è di solito nel fare piccole cose, magari senza che nessuno ci veda, al limite della banalità. Ma con grande amore.
Quindi, quando irrompe la monotonia del sacrificio quaresimale, abbracciala. È questo il tuo sacrificio eroico. Potrebbe essere proprio questa la “cosa impossibile” che dovrai compiere in questa Quaresima.

NEMICO




“Le tentazioni, lo scoraggiamento
e l’inquietudine sono il prodotto
che ci offre il nemico”
[Padre Pio]

5 modi in cui il diavolo ci attacca durante la Quaresima-VITA!!!




5 modi in cui il diavolo ci attacca durante la Quaresima-VITA!!!

1. La tentazione della distrazione
“La purezza del cuore è volere una cosa sola”. [Søren Kierkegaard]
La Quaresima può ridursi rapidamente al fare troppe cose oppure a non farne affatto. Il diavolo vuole farci affogare nelle penitenze o farci sentire scoraggiati appena iniziamo, per poi arrendersi. La questione è che la Quaresima dovrebbe riguardare Dio, non le nostre attività, per quanto ispirate dalle nostre buone intenzioni.
Durante la Quaresima sarebbe meglio chiedere a Dio di aiutarci a concentrarci su una sola cosa ma importante; e poi, nonostante i nostri errori, chiedere a Lui la grazie per perseverare.
2. La tentazione di giudicare
“È stato l’orgoglio che ha trasformato gli angeli in diavoli; è l’umiltà che rende gli uomini uguali agli angeli”. [Sant’Agostino]
Se siamo con naturalezza più disciplinati di chi ci circonda, o se la nostra volontà è più forte della loro, potremmo essere tentati di passare la Quaresima a darci pacche sulla spalla e a paragonarci agli altri. Questo è esattamente quello che il diavolo vuole. Vuole che pensiamo di essere migliori degli altri e che diventiamo orgogliosi, che è precisamente ciò di cui dobbiamo pentirci durante la Quaresima.
Se abbiamo questa tendenza, o se ci stiamo passando in questa Quaresima, il miglior antidoto è scegliere una penitenza che è assolutamente impossibile da compiere in modo perfetto. Questa è sicuramente una sfida al nostro orgoglio. Questo ci aiuta a renderci conto che la Quaresima non ha a che fare con l’essere perfetti, con il primeggiare in tutto e con il giudicare il prossimo. Piuttosto ha a che fare con il rendersi conto che anche se Dio ci ha dato molti doni e talenti, siamo comunque peccatori e con un estremo bisogno della grazia.
3. La tentazione del miglioramento di sé
La Quaresima può rapidamente diventare una corsa al perdere peso, o all’interrompere delle abitudini sbagliate che sono diventate tossiche per le nostre vite, piuttosto che un tentativo di essere più vicini a Dio. E il diavolo amerebbe che la Quaresima fosse tutta incentrata su noi stessi.
Come Padre Anthony Gerber ha fatto notare in un eccellente articolo sulla questione: “La Quaresima ha a che fare… con il fallire miseramente, con il raggiungere la terza nel fare qualcosa di difficile, di scegliere le spine dell’amore… Ma poi negare Gesù per un pugno di argento, di egoismo, di amore di sé. E in quel momento ti inginocchierai e alzerai le braccia al cielo dicendo: ‘Signore, non posso farcela da solo! Signore aiutami! Non sono bravo ad amare!”
Di solito siamo bravi ad amare noi stessi, ma non ad amare gli altri. Ecco perché è così importante selezionare le penitenze che ci permetteranno di aumentare il nostro amore, ma in modo disinteressato e non egoista.
4. La tentazione della divisione
“Da dove viene la divisione? Dal diavolo! La divisione viene dal diavolo. 
Fuggite dalle lotte interne, vi prego!” [Papa Francesco]
La divisione è uno degli strumenti preferiti del diavolo. Lui impazzisce letteralmente nell’infilarsi tra i cristiani e creare rivalità, confusioni, gelosie, rabbie e paranoie. Il diavolo vuole che noi guardiamo agli altri cristiani e vedere in loro un nemico, piuttosto che riconoscere che l’unico nemico in mezzo a noi è il diavolo (e noi stessi, quando gli permettiamo di agire tra di noi).
Quindi, di sicuro durante la Quaresima il diavolo proverà ad incitare alla divisione tra i cristiani nelle nostre case, nelle nostre parrocchie, e addirittura anche online. Se usate molte fonti nelle vostre letture online, una buona domanda che potreste porvi in questa Quaresima (a dire il vero, in qualsiasi momento) è: “Questo contenuto mi aiuta ad amare di più i miei fratelli cristiani, oppure mi guida verso la divisione?”
Il recentemente scomparso Antonin Scalia, giudice della Corte Suprema e cattolico devoto, una volta disse: “Attacco le idee, non le persone”. Questo è segno di una grande personalità. Ed è la distinzione che sta esponenzialmente scomparendo nella nostra società. Se ciò che stai leggendo o scrivendo online si concentra sull’attaccare le persone, piuttosto che sul lavorare per l’unità nell’amore di Cristo, potrebbe essere lo strumento che il diavolo usa per impedire a te (e agli altri) di crescere nella vita spirituale.
5. La tentazione dello scoraggiamento
“Le tentazioni, lo scoraggiamento e l’inquietudine sono il prodotto che ci offre il nemico” [Padre Pio]
Nulla piace di più al diavolo che farci sentire miserabili come lui. E lui sa che se ci sentiamo scoraggiati saremo meno propensi a collaborare con la grazia di Dio. Quindi, durante la Quaresima il diavolo può tentarci spingendoci ad arrenderci e a non vivere lo spirito penitente del periodo. Ci potrebbe far sentire come se fossimo fallendo di continuo, come se non fossimo in grado di vivere la Quaresima. La question è che nessuno lo è. Se pensi di esserlo, non stai scegliendo le giuste penitenze.
Quindi, quando ci sentiamo scoraggiati, è un’opportunità per ringraziare Dio con grida di gioia perché ci ha salvati dalla mediocrità e dal peccato. Non ha senso essere incagliati nello scoraggiamento, se davvero crediamo al messaggio del Vangelo. Anche nella Quaresima sappiamo che sì, Gesù è morto, ma è anche risorto! E la gioia e la grazia sono disponibili ora affinché noi siamo trasformati. E ringraziamo Dio per questo!
Ci sono molti altri modi in cui il diavolo può attaccarci durante la Quaresima. E ci sono molti modi per reagire. Se aveste delle idee da aggiungere partendo dalla vostra esperienza personale, dalle Scritture o dai Santi, sentitevi liberi di condividerle nei commenti!
Suor Theresa Aletheia Noble, fsp, è autrice di The Prodigal You Love: Inviting Loved Ones Back to the Church. Di recente ha pronunciato i primi voti con le Figlie di San Paolo. Ha un blog su Pursued by Truth.

mercoledì 24 febbraio 2016

mercoledi-venerdi



I pellegrini che sono confluiti a Medjugorje nei primi anni delle apparizioni ricordano quanto fosse praticato nella famiglie il digiuno richiesto dallla Gospa.
Il Mercoledì e il Venerdì a tavola venivano serviti il pane e l’acqua, con alcune variazioni che però non intaccavano la sostanza. L'usanza non è durata molto, perché la maggior parte delle persone veniva da un lungo viaggio, erano stanche e impreparate e intendevano il pellegrinaggio come un momento di riposo fisico oltre che spirituale. Le famiglie del posto che accoglievano i pellegrini hanno perciò dovuto adeguarsi alla situazione, cercando di conservare, almeno per quei due giorni, la pratica dall’astinenza dalle carni. Col passar del tempo il digiuno si è allentato in molte famiglie di Medjugorje, anche se, nei momenti drammatici della guerra nei Balcani, è ritornato in auge. Rimane però un nucleo di persone che lo pratica con assiduità per amore della Madonna e per aiutarla a realizzare il suo piano di salvezza. La Madonna ha chiesto il digiuno fin dalle prime settimane delle apparizioni e non ha mai cessato di richiamarlo, in particolare nei momenti di crisi internazionale, quando la pace era in pericolo.
“Cari figli, vi invito a pregare e a digiunare per la pace nel mondo. Voi avete dimenticato che con la preghiera e il digiuno si possono allontanare anche le guerre e persino sospendere le leggi naturali. Il digiuno migliore è quello a pane e acqua. Tutti, eccetto gli ammalati, devono digiunare. L’elemosina e le opere di carità non possono sostituire il digiuno" (21-07-1982).

lunedì 22 febbraio 2016

PELLEGRINAGGI MEDJUGORIE DA PIACENZA

La conversione è sempre una questione di tempo

La conversione è sempre
una questione di tempo:
l'uomo ha bisogno di tempo
ed anche Dio vuole aver bisogno
di tempo con noi.
Ci faremmo un'immagine dell'uomo assolutamente errata se pensassimo che le cose importanti nella vita di un uomo possono realizzarsi immediatamente
ed una volta per tutte
Andre louf

mi chiamo Samuel


mi chiamo Samuel, e sono un insegnante in una città di provincia vicino Londra . Sono sposato da 12 anni e vivo in un quartiere della classe media. Ho quattro figli, quattro galline e una macchina che ha dieci anni. La mia vita è apparentamente mediocre, tranne forse per le galline, che in effetti sono una cosa stravagante.
Una volta vivevo e lavoravo all’estero, parlava tutto il giorno in una lingua straniera, viaggiavo per l’Europa come se fosse il cortile di casa mia, lavoravo per un settore emozionante (aeronavi ibride), avevo ragazze esotiche che vivevano in posti esotici, incontravo dozzine di amici altrettanto spensierati in bar alla moda ogni volta che volevo. E sapete qual era l’aspetto migliore? Avevo dei progetti! Molti progetti per fare molte cose.
Poi, all’improvviso, poco più di un anno fa, una mattina mi sono svegliato e ho realizzato di essere un insegnante quarantenne di una cittadina di provincia, sposato con figli e che guida una macchina malridotta. Che diavolo era successo?
Quella vita non c’era più. Niente più novità. Niente più momenti di spontaneità. Nessuna libertà di prendere la strada che volevo. E niente più possibilità di grandezza per mostrare al mondo chi fossi. Non posso fare il galletto perché sono sposato, non posso comprarmi una cabriolet perché ho quattro figli, non posso andare a Berlino perché lunedì devo lavorare, non posso diventare avvocato perché sono un insegnante.
Una per una, tutte le vie che mi si profilavano davanti vent’anni fa, piene di potenzialità e di promesse, si sono chiuse, e ho fatto una scelta anziché un’altra, ho preso una decisione anziché un’altra, mi sono impegnato in una situazione e non in un’altra. Ed eccomi qui. Un semplice marito, un padre, un insegnante.
Capisco che posso sembrare un ingrato, che si lamenta di una vita che molti vorrebbero avere anche solo in piccola parte – moglie, figli, casa, macchina, lavoro, salute, sicurezza. E questa insoddisfazione nei confronti di ciò che ho già mi inquieta. Mi inquieta questo anelito ad avere di più.
È stato quindi un sollievo e una rivelazione trovare una risposta in questo articolo di uno dei miei direttori spirituali preferiti, padre Ron Rolheiser, che scrive:
Una forma di irrequietezza che molti di noi condividono… è un senso di intrappolamento in certi matrimoni, in certe famiglie, vocazioni, carriere, chiese, lavori e luoghi che ci frustrano, ma che, per qualsiasi tipo di ragioni, non ci sentiamo nelle condizioni di abbandonare. E allora viviamo in uno stato di insoddisfazione e agitazione, incapaci di far pace con il nostro destino e allo stesso tempo incapaci di abbandonarlo . […]
Quello che vediamo è un cancro dello spirito, un rifiuto di accettare il proprio destino, un’incapacità di far pace con ciò che si vive.
Ma la vera rivelazione è giunta nel paragrafo successivo:
Come possiamo superare questo tipo di irrequietezza? Un vecchio adagio dice ‘Se non riesci a uscire da qualcosa, entraci più profondamente‘.
Se non riesci a uscire da qualcosa, entraci più profondamente! Quella riga ha iniziato a entrarmi dentro, facendomi provare un misto di eccitazione e paura. Eccitazione per aver trovato una risposta alla mia agitazione, paura perché sapevo instintivamente che la risposta mi avrebbe portato in modo acuto e inesorabile in una zona d’ombra: “In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi” (Gv 21, 18).
Entrarci più profondamente. Questa semplice frase, così inoppugnabile, così illogica, vuole che entri in modo più pieno, completo e concreto nelle cose che hanno caratterizzato il mio scontento! La vita matrimoniale. La vita familiare. Il mio lavoro. Entrarci più profondamente… Implica sia un punto di svolta che un punto di non ritorno. Sembra realistico e viscerale. Suggerisce che è ora di rimboccarsi le maniche e di sporcarsi le mani. Piuttosto che scappare da qualcosa, è ora di gettarcisi dentro.
Dovrò passare per un processo di abbandono delle cose – e sarà doloroso
Per approfondire le cose che contano, dovrò scartare le cose che non sono importanti. I miei progetti personali, i miei desideri, le proiezioni di me stesso come la persona che voglio che la gente veda, dovranno sparire. Ho già avuto il mio primo pezzo di danno collaterale, perché ho deciso di chiudere la mia attività . Negli ultimi anni avevo gestito un centro di insegnamento in parallelo al mio lavoro full time. È un’occupazione impegnativa e mi sottraeva alla mia famiglia per qualche altra ora ogni sera e nei weekend. Lasciar stare significa prendere alcune decisioni dolorose: chiudere il centro proprio quando mi accingevo a espandere l’attività; questo a sua volta significa licenziare delle persone impegnate, deludere i miei studenti, arrendermi ai miei concorrenti e perdere la gloria per il fatto di gestire il miglior centro di insegnamento della città. Sento le critiche di amici e familiari e la loro incredulità inespressa: “Che diavolo sta facendo, visto che andava tutto così bene?” Dall’altro lato, provo già anche un immenso senso di sollievo. Ma sono sicuro che non sarà l’unica cosa che dovrò abbandonare.
Dovrò abbracciare la realtà della mia situazione attuale – e anche quello sarà doloroso
In qualche misura, inseguire nuovi progetti è stato un modo per evitare la monotonia della mia esistenza attuale. Non mi piace essere un insegnante statale. Amo i miei studenti, ma odio le pressioni amministrative che comporta questo lavoro. Non trovo sia facile fare attenzione ai dettagli, e l’amministrazione sottolinea questa debolezza del mio carattere e mi fa sentire vulnerabile. Se vincessi alla lotteria smetterei immediatamente di insegnare, ma non succederà e provo un profondo risentimento nei confronti di un lavoro che mette in luce le mie debolezze piuttosto che utilizzare i miei punti di forza. E allora il mandato ad approfondire avrà grandi implicazioni sul modo in cui approccio il mio lavoro. Dovrò cambiare radicalmente il mio atteggiamento!
Non riuscirò a farlo a metà
Sembrerebbe strano accettare la sfida solo per certi aspetti della mia vita e non per altri. “Entrare più profondamente” sembra richiedere il mio impegno totale nei confronti della mia vita. Non posso scegliere di prenderla sul serio in un campo rimanendo frivolo in altri; sono sicuro che ad esempio non riuscirei a indagare seriamente sui misteri del nostro matrimonio avendo allo stesso tempo un approccio noncurante all’aspetto finanziario, alla nostra vita di preghiera, al nostro divertimento. Sarebbe come cercare di tuffarsi nell’oceano volendo tenere i piedi saldi nei fondali bassi.
Avrò la tentazione di gettare la spugna
Anche scrivere questo articolo mi fa venire voglia di gettare la spugna. Sto sperimentando la fatica ancor prima di aver davvero iniziato. Mi sento come se volessi dimenticando tutto, cancellare questo documento, versarmi un bicchiere di whisky e vedere qualcosa con Netflix. Ma qual è l’alternativa? Un sospetto costante che la mia vita sia incompiuta.
Raggiungerò meno, ma diventero di più
Concentrami sul mio business ha significato saltare pasti e tempo dedicato ai giochi e alla preghiera con i miei figli. Entrare più profondamente nella mia vita familiare significherà usare il dono del tempo extra per abbracciare in modo più consistente la mia paternità. C’è già uno sguardo di piacere e sorpresa sul volto dei miei figli mentre chiedono “Non esci stasera?” Appena l’altro giorno ho passato un’ora al tavolo di cucina aiutandoli con i compiti. Era un’occasione per conoscerli attraverso la semplice azione di lavorare accanto a loro, cercando di capire come imparano, cosa li motiva e come approcciano una sfida, o come rispondono a un fallimento o a un successo. Che grande aiuto per capire meglio la mente dei miei ragazzi! E che opportunità come padre di sperimentare quanto influenzo la loro vita e modello la loro comprensione del mondo!
Scoprirò qualcosa – e potrebbe anche essere me stesso
Sono cinico quando si tratta di segni spirituali, ma sono rimasto colpito quando, scrivendo questo articolo nella festa di San Francesco di Sales, mi sono imbattuto in una citazione attribuita a lui: “Desidera essere ciò che sei e di essere bravo in ciò che fai. Tutti i tuoi pensieri dovrebbero essere rivolti a perfezionarti in questo. Sii pronto a portare tutte le croci che ti verrà chiesto di portare nel processo. Credimi, è un grande segreto, ma un segreto che viene compreso poco nella vita spirituale, perché chiunque ama fare le proprie cose e pochi vogliono vivere in base al progetto e ai desideri di Nostro Signore”.
Chi perde la sua vita la troverà.

alle 22 ero a Brindisi



Spossato, alle 22 ero a Brindisi all'aeroporto e accasciato in attesa del volo che a mezzanotte mi riportava a casa, cercavo sul telefonino notizie sulla mia Juve che giocava col Bologna. Mi si avvicina un bambino di nove-dieci anni e mi dice: grazie per la battaglia che combatti contro il gender. Un balsamo per il cuore. In aereo capitiamo vicini, c'è tutta la sua famiglia: papà, mamma e tre figli. Erano presenti al Family Day. Sono andati a salutare i parenti pugliesi perché martedì partiranno per l'Africa come missionari. Tutti e cinque. Il papà, un professionista affermato, ha lasciato tutto e insieme alla mamma e ai ragazzi mi mostra orgoglioso il visto da "missionario" stampato sul passaporto. Chiedo: "Come vivrete lì?". Risponde sorridente il papà: "Vivremo di Provvidenza, il visto ci vieta di lavorare". Anche i figli sorridono, sono bellissimi e il ragazzino che ha ringraziato me stampa un bacio al papà, come a volerlo incoraggiare ("è stata dura da spiegare, anche ai familiari, molti non capiscono e mi dicono di pensare ai figli, ma io tanto ho ricevuto e ora sono chiamato a restituire qualcosa"). Li vedo sereni, se non avessi terrore di questo aggettivo, li definirei "felici". E loro ringraziano me, quando quello che io faccio è nulla rispetto a quello che stanno per fare loro, una delle tante famiglie del Family Day. Non voglio la loro fede. Signore dammi un centesimo della loro fede e sarò davvero invincibile.

Mario Adinolfi

Discorso di Papa Francesco ai giovani nello stadio “José María Morelos y...

Papa Francesco, l'abbraccio con l'amico ritrovato !!!BELLISSIMO

Come allontanare le ombre del divorzio


Come allontanare le ombre del divorzio dalla vostra relazione? Il matrimonio è come il vino: se non si cura, con gli anni diventa aceto. Fate quello che è in vostro potere per evitarlo! Ecco dieci suggerimenti che possono essere d’aiuto.
1- Vivere pienamente l’impegno. In amore non si sceglie davvero se non ci si impegna con la persona scelta. Aver scelto il coniuge è una grande manifestazione della nostra libertà, perché rinunciando a tutto ciò che non sia quella persona amata ci arricchiamo in un “io, per te, con te” nella salute e nella malattia, in ricchezza e in povertà. Il contrario sarebbe la massima assurdità, perché nessuno rinuncia a tutto per niente.
2- Non ammettere mai l’indifferenza.Sforzarsi di “essere lì”, partecipando, interessandosi alle occupazioni reciproche di ogni giorno, curando insieme i bambini, cucinando. Sforzarsi di ascoltare. Non lasciare solo l’altro in ciò che lo occupa e lo preoccupa, dalle questioni più delicate ai dettagli più minimi. Solo se si cura l’altro lo si può comprendere in ciò che pensa, che sente, nelle sue gioie e nelle sue preoccupazioni, in quello che lo anima e in quello che lo scoraggia. Bisogna sapersi mettere al suo posto.
3- Non accettare una dipendenza malata.Curare sempre lo spazio reciproco per prendere decisioni, difendendo ragionevolmente i propri criteri, discutendo faccia a faccia, se necessario, di quello che è di reciproco interesse per amore. Curare la propria individualità in quella nuova forma di essere che nasce dall’unione tra due persone, perché è così che i coniugi hanno bisogno l’uno dell’altro. Anziché coartare l’autonomia dell’altro, è preferibile lasciare che corra il rischio di sbagliare.
4- Non manipolare. Avere una comunicazione spontanea e sincera che rifletta sempre l’intimità del pensiero. Non dire una cosa intendendone un’altra, non fare calcoli ricorrendo alla scusa o al pretesto. Manipolare vuol dire strumentalizzare e non rispettare la condizione di persona nel coniuge. Si manipola con le parole, con le argomentazioni, con i toni di voce, con le espressioni corporee; si manipola con tutta l’umanità quando è proprio attraverso questa che possiamo amare. La sincerità è il tessuto forte dell’amore, e allo stesso tempo il suo delicato profumo.
5- Rispettare la libertà. Non dimenticare mai che il coniuge è un essere libero anche se è diventato liberamente un dono per me; che è per la sua libertà che godo del suo amore. Le sue decisioni, i suoi gusti, i suoi talenti, sono la ricchezza di un essere unico e irripetibile, che sbocciano dalla sua intimità per condividerli con me rendendomi migliore.
6- Avere fiducia. Non tenere per sé qualcosa che l’altro deve sapere. Cercare sempre un dialogo aperto partendo dalle cose più ordinarie per arrivare ai sentimenti più profondi. Essere consapevoli del fatto che ciò che non si comunica diventa subito un segreto, una barriera che poi porta alla discrepanza che non fa comunicare, che separa, che isola. Ogni differenza si risolve e unisce per amore. Non ci dev’essere di mezzo la sfiducia.
7- Non ammettere gelosie. Non paragonare i successi di uno a quelli dell’altro. Non paragonare il coniuge a terze persone, e non dubitare della fedeltà del suo amore cadendo in sospetti ingiusti. Non accettare di vivere nel timore, sotto il peso di una minaccia, ma essere sicuri dell’affetto dell’altro.
8- Modellare il carattere. Non giustificare l’intemperanza di fronte alle contrarietà, permettendo cattivi comportamenti, sia in casa che in luoghi pubblici, con toni inadeguati, gesti che fanno vergognare e umiliano profondamente, creando insicurezza nell’altro e attentando alla dignità del suo amore.
9- Rifiutare il timore. “Il timore allontana da sé l’amore”. Il coniuge che per timore del conflitto nel rapporto inizia a concedere finisce per cedere permettendo che l’altro cresca nell’errore. Si deve avere la fiducia di dire che si è stanchi e che non si vuole uscire per andare al cinema, parlare dell’impertinenza di uno dei due, della mancanza di pazienza, del disinteresse, degli errori commessi, ecc. Non bisogna accettare quella falsa prudenza che dà solo l’apparenza che il matrimonio vada bene, mentre in incubazione ci sono molti risentimenti.
10- Curare la propria coscienza. Nel matrimonio nessuno può mancare di rispetto a se stesso senza mancare di rispetto anche al coniuge e viceversa. Si deve lottare contro le mancanze morali che si annidano nella persona, spezzando la sua integrità.
L’amore tra gli sposi matura quando si comprende la personalità della persona amata; quando ci si mette nei suoi panni per accettarla pienamente e amarla com’è. Solo così il dono dell’amore è vero dono.
Orfa Astorga de Lira, orientatrice familiare, Master in Matrimonio e Famiglia, Università di Navarra. Si può contattare all’indirizzo consultorio@aleteia.org

Cuando la fragilidad baila



Dal 1964 Isabel Albors insegna danza classica alla sua scuola, Santa Cecilia. Ma dalla metà degli anni ’90 ha scoperto quello che è stato il migliore progetto della sua carriera, quando tra gli iscritti a Santa Cecilia hanno iniziato a esserci anche alcuni bambini con bisogni speciali.
Il primo è stato Alex, che soffriva di paralisi cerebrale. Aveva 4 anni, era stato dimesso con un certificato medico e la raccomandazione di sottoporsi a riabilitazione. Sua madre, un’infermiera, ha conosciuto Santa Cecilia per caso. Inizialmente a Maribel sembrò strano portare suo figlio in riabilitazione in una scuola di danza. Ma ciò che la convinse definitivamente è stato il fatto che, in seguii a una prima intervista, quell’insegnante iniziò a leggere quanto più possibile sulla paralisi celebrale, impostando un piano speciale di esercizi per il bambino. A 23 anni Alex, un patito del Barcellona e del cinema, continua la sua terapia settimanale. “Noi non dimettiamo nessuno”, dice Isabel.
L'attuale sede della scuola di danza Santa Cecilia, presso L'Hospitalet de Llobregat.
L'attuale sede della scuola di danza Santa Cecilia, presso L'Hospitalet de Llobregat.
A seguire fu Jordi, un bambino appena operato per una spina bifida. “Non vale la pena fare la riabilitazione, trattatelo come un bambino normale”, consigliarono alla sua famiglia. Ma sua zia – che lavorava nella scuola – ne parlò con Isabel, che si mise subito al lavoro. I genitori arrivarono con il materiale provvisto dagli specialisti – che prevedevano incontinenza e un ritardo cognitivo – e con una sedia a rotelle… La risposta di Isabella è stata: “Mettiamo via questi libri e iniziamo a lavorare: quando comparirà un ostacolo cercheremo una soluzione”. Ora Jordi sta facendo il liceo e le uniche ruote che usa sono quelle della bici.
“Io non li ho cercati. Sono venuti e li ho accolti”
Anche se essere madre di cinque figli e direttrice della scuola di danza le lasciava poco tempo per altre attività, Isabel ha sempre avuto in cuore il desiderio di andare oltre nel suo ambiente professionale.
Anni prima di iniziare a lavorare con questi bambini, si era interessata di anatomia e psicomotoria. “Ho iniziato a studiare e a frequentare corsi – presso l’Istituto Medico dello Sviluppo Infantile di Barcellona e presso l’Università di Saragozza – per imparare sullo sviluppo motorio e cognitivo e per poter capire se i miei alunni avessero qualcosa che non andasse ai piedi, alle spalle, alla vista…”.
La calda accoglienza e la professionalità caratterizzano lo stile di Santa Cecilia.
La calda accoglienza e la professionalità caratterizzano lo stile di Santa Cecilia.
Poi accettò una proposta per insegnare educazione motoria in una scuola materna. Così, quando i primi bambini con bisogni speciali arrivarono a Santa Cecilia, Isabel aveva già decenni di studio e di lavoro sul tema.
Coincidenze? Lei afferma che tutto è stato provvidenziale. “È Dio che ha fatto tutto questo. Negli ultimi vent’anni la scuola di danza ha visto passare più di sessanta bambini con vari tipi di disabilità. Non li ho cercati. Sono semplicemente venuti, e noi li abbiamo accolti. E ogni volta ne vengono di più”.
Un abito su misura
Alex e Jordi sono solo due casi, ma Isabel ricorda ogni nome e ogni storia. Ana, Judith, Andrea, Davide, Alba, Miguel. Parla con naturalezza di paralisi cerebrale o di sindrome di Down, ma anche del lipomeningocele, della sindrome di Rett, di Asperger o di Angelmann, delle conseguenze di un tumore. Nel caso di una bambina con una sindrome molto particolare, che non parlava, Isabel ha cercato consigli da una rivista specializzata, che le ha detto: “Usa tutto ciò che sai e falle un abito su misura”. E questo è stato l’approccio. “Ogni bambino è un mondo a sé, non si può generalizzare. Bisogno andare in fondo, con tranquillità e lavorando. Pensare che andrà bene a ognuno, provarci”.
L'accompagnamento è importante a tutti i livelli, compreso nel modo di far muovere un bambino
L'accompagnamento è importante a tutti i livelli, compreso nel modo di far muovere un bambino
Quando ha iniziato questo lavoro nei primi anni ’90, la scuola aveva 120 studenti di danza classica e Isabel era l’unica insegnante. Ora ha diversi locali, un team – che include diversi terapisti e una psicologa – che condivide la sua visione, 130 studenti di danza, 120 studenti di karate e 30, tra bambini e adolescenti, in un programma di educazione speciale.
Supportare le famiglie
“Quasi sempre si tratta del primo figlio. Per i genitori la notizia è dura. Le illusioni vengono sradicate, le previsioni sono generalmente negative. Il futuro sembra insormontabile”.
La filosofía di Isabel Albors è di non lasciarli soli, di lavorare duro e di vedere, in ogni momento, cosa si può fare. Si tratta, soprattutto, di fare in modo che i genitori si sentano supportati: “È un supporto più umano che professionale: queste persone soffrono come chiunque altro, pensano che le cose andranno meglio e a volte chiamano solo per sapere come sto”.
La scuola ha 130 studenti di ballo e 30, tra bambini e adolescenti, in riabilitazione
La scuola ha 130 studenti di ballo e 30, tra bambini e adolescenti, in riabilitazione
E poi c’è il costo economico dei centri di riabilitazione, che per molte di queste famiglie è una difficoltà insormontabile. Per questo fino a due anni fa Santa Cecilia offriva il servizio gratuitamente, perché una famiglia con un bambino malato e senza risorse è doppiamente sola. Ora, a causa dei tanti bambini che hanno bisogno di cure, alle famiglie che hanno possibilità viene richiesta una piccola somma con cui contribuire.
“Dietro ogni ragazzo c’è una famiglia che soffre molto… A me, la capacità di accogliere ed amare, viene da Dio. Non è mia”. Diciotto anni fa Isabel cominciò a frequentare a delle riunioni di formazione cristiana organizzate dall’Opus Dei. “Perché bisogna avere un’anima forte. L’Opera ti forma e si prende cura di te, affinché tu possa dar frutto. Ti ricorda che ogni cosa piccola che puoi fare per qualcuno del tuo ambiente, cambia il mondo. È come la forza della preghiera, che non si vede ma c’è”.

Non guardo le masse



" Non guardo le masse, ma le singole persone.

Se guardassi le masse non inizierei mai ".


- Mother -

TI ADORO O CROCE SANTA

TI ADORO O CROCE SANTA
Ti adoro, o Croce Santa, che fosti ornata del Cor­po Sacratissimo del mio Signore, coperta e tinta del suo Preziosissimo Sangue. Ti adoro, mio Dio, posto in croce per me. Ti adoro, o Croce Santa, per amore di Colui che è il mio Signore. Amen.
(Recitata 33 volte il Venerdì Santo, libera 33 Anime del Purgatorio.
Recitata 50 volte ogni venerdì, ne libera 5. )
Venne confermata dai Papi Adriano VI, Gregorio XIII e Paolo VI).

Padre Eugenio La Barbera - Messa del 04.01.2012 a Medjugorje parte seconda

MA AVRANNO MAI VISTO UNA SUORA VERA?


Mi chiedo: ma questi registi, attori e
professionisti dell’arte cinematografica
hanno mai visto una suora vera? Un prete
o un vescovo vero? Forse perché io ne conosco
moltissimi e so quanto dignitoso sia
l’abito che indossano, anche se con sacrificio,
quanto seria sia la loro scelta di vita,
quanto drammatico può arrivare a essere il
loro ruolo sociale, quanto faticoso il loro
cammino di fede, forse per questo mi intristisce
vedere questi bei chiostri conventuali,
percorsi da buffe figure di suore con
Alzheimer o sorde, messe lì per far ridere.
Le suore sono persone consacrate. Hanno
scelto una vita difficile e impegnativa,
sono persone di grande valore umano,
morale, spirituale, etico e religioso. Anche
le più semplici, senza aver fatto studi particolari
né aver avuto ruoli importanti, si
sono sempre impegnate seriamente nelle
diverse situazioni di bisogno lasciando
dietro di sé ricordi indimenticabili.
È vero che anch’esse hanno molti difetti
e che spesso la loro immagine viene sfigurata
da comportamenti non coerenti con
la loro scelta, ma, credetemi, una suora si
troverà sempre pronta quando negli ospedali
tutti fanno sciopero, quando nelle zone
più impervie nessuno vuole andare,
quando si tratterà di avvicinare un uomo
infetto che tutti evitano, quando nessuno
ha il coraggio di accompagnare un prigioniero
condannato a morte; quando la morte
è prossima e il sacerdote non c’è, una
suora sarà sempre pronta a stargli vicino,
a pregare nel momento più difficile della
vita di una persona. C’è sempre una suora
quando ci sono uragani e terremoti, guerre
e persecuzioni. È vero, le suore non sono
tutte uguali, sono peccatrici come tutti,
ma la loro immagine va rispettata e presentata
con correttezza. Come si fa a farlo
capire a quelli che detengono il potere dei
media?
Ho avuto occasione in Colombia, nelle
periferie di Bogotá, di visitare un quartiere
malfamato sotto tutti gli aspetti. Un bravissimo
religioso aveva organizzato una
serie di piccoli centri per tentare di recuperare
ragazzi e ragazze dalla malavita.
Aveva chiesto la collaborazione di alcune
suore di varie congregazioni religiose che
ogni giorno affrontavano rischi indescrivibili.
Una di esse mi accompagnava nelle
strade infestate da piccoli e grandi delinquenti:
lei ci passava in mezzo con una
leggerezza impressionante e mi diceva di
non voltarmi a guardare quello che succedeva.
«Noi dobbiamo dare la testimonianza
di persone vicine, non nel male, ma
nella situazione del limite estremo del disagio
che questa gente vive. Poi ci sarà un
momento in cui forse riusciremo a parlare
con uno di questi ragazzi e ad attrarli nella
legalità». Avevano salvato varie centinaia
di giovani con degli stratagemmi che
solo Dio può ispirare. Quelle suore rischiavano
la vita tutti i giorni perché erano
mal viste dalle gang del luogo.
Ricordo una vecchia suora che ormai
camminava a fatica: ogni giorno si trascinava
nella casina degli attrezzi dell’orto
dove si era fatta un piccolo centro di accoglienza.
Là riciclava abiti usati, li lavava, li
cuciva, li stirava ed erano pronti per i poveri
che venivano a decine e decine tutti i
giorni. Aveva imparato a preparare sciroppi
con le erbe e guariva molti raffreddori,
allergie e mal di pancia. Riceveva gente di
tutti i tipi per parlare di Dio. Noi la prendevamo
un po’ in giro per le sue stravaganze
caritative, e nessuna di noi avrebbe
mai assaggiato un cucchiaino del suo sciroppo.
Alla sua morte vennero centinaia
di persone al funerale, ma quello che più
mi impressionò fu vedere alcune decine di
sacerdoti concelebrare nella messa di esequie,
nonostante ci trovassimo in un paesino sperduto.
Uno di questi preti mi confessò
che a lei doveva la sua vocazione, un
altro mi disse che se non fosse per lei non
avrebbe perseverato; un altro ancora ci
confidò che «lei mi faceva da direttore
spirituale», un quarto: «Quando ero scoraggiato,
venivo da lei». Questa suora non
aveva apparenze attraenti, era solo una
buona suora, una consacrata.
In una visita a un riformatorio per ragazzi
difficili, ho conosciuto una giovane
religiosa che parlava più in dialetto che in
italiano, e si occupava di un centinaio di
ragazzi estremamente indisciplinati. Quando
i ragazzi erano a tavola, c’erano dieci
secondini in borghese pronti con i manganelli,
perché bastava un segnale e i ragazzi
facevano volare piatti e bicchieri (a quel
tempo erano tutti di alluminio): succedeva
un pandemonio che poteva essere domato
solo a manganellate. Quando entrava la
suora si ristabiliva la serenità, con lei ubbidivano,
mangiavano in pace, collaboravano
nella pulizia. La religiosa a quel tempo
non era né una psicologa, né un’assistente
sociale, e non possedeva una preparazione
speciale: semplicemente amava i
ragazzi. E le suore della sua congregazione
la ricordano come una santa.
Una suora ammalata di cancro alla testa
mi confidò che aveva pochi mesi da vivere,
ma che era molto, molto contenta, perché
in quarant’anni di ospedale aveva accompagnato
centinaia di persone nell’ultimo
viaggio, e quelle persone erano partite
serene da questa vita perché avevano ritrovato
Dio. Proprio oggi una suora di 95
anni, molto malata, mi ha detto che vuole
partecipare all’assemblea annuale che teniamo
nella nostra Provincia: «Voglio sapere
bene tutto, verso dove va la nostra
congregazione, voglio intravedere il futuro
e, quando arrivo in Paradiso, lo voglio
raccontare alle altre sorelle che trovo lassù».
Le suore sono spesso depositarie di
drammatici segreti, di confidenze inconfessabili,
sono gravide del dolore della
gente. Portano il peso delle lacrime di
giovani, bambini, donne e uomini. Caricano
nel cuore la morte ingiusta di tante
persone che loro avrebbero voluto salvare
ma non hanno potuto. Nel loro volto
spesso si legge la stanchezza, il dolore, la
fatica e anche l’amore che le ha consumate.
E così si può dire di molti preti, religiosi
e vescovi che passano la vita per gli altri
nel più grande anonimato, senza alcuna
ricompensa se non quella che dà Dio alla
fine della «corsa di questo sacro tempo».
Ne ho conosciuti tanti che stanchi e sporchi,
dopo giorni e giorni di viaggi pastorali,
tornando a casa non trovavano niente,
e li vedevi lavarsi la biancheria, cucinarsi
e pulire la casa. Un giorno un frate
ci portò un suo saio pregandoci di lavarlo:
fummo costrette a bruciarlo perché era
pieno di insetti. Come faceva a indossarlo
Un vescovo, nostro amico, era così povero
che per qualche anno dovemmo
mandargli il pranzo perché lui lo saltava:
da mangiare aveva solo quello che la gente
ogni tanto gli mandava. Non solo in
missione accade questo.
Quando sono anziani
e malati, molti sacerdoti, anche in
Italia, non hanno più dove andare. E se
non c’è una casa apposita per loro o se
non hanno parenti, sono veramente abSono
tanti i preti e i vescovi
che passano la vita per gli altri
nel più grande anonimato
Ne ho conosciuti tanti stanchi e sporchi
che dopo giorni e giorni di viaggi pastorali
tornando a casa non trovano niente
bandonati. E quanti altri
hanno dato la vita per difendere
qualcuno, per condividere
l’oppressione del loro
popolo, per dare ancora un
p o’ di speranza a chi non ce
l’ha più. Possibile che la
gente del cinema e della televisione
non riesca a vedere
niente di tutto questo? Possibile
che veda solo quelle
poco significative vicende
che con tanti dettagli riproducono
nei film? Stento a crederlo per la stima
che ho per la loro arte.
Fortunatamente la vera storia dell’umanità
non se ne fa niente di quelle parodie
di suore e preti dello schermo, ma conserva
invece per secoli e secoli la memoria di
chi ha dato la vita perché diventassimo
tutti migliori. E mentre di molti film nessuno
si ricorderà più, queste persone anonime
hanno una vita veramente eterna.
MARIA BARBAGALLO

venerdì 19 febbraio 2016

s. Caterina da Siena ...fatti capacità



Fatti capacità
e io sarò torrente
Gesù a s. Caterina da Siena

PAPA ritorna dal messico intervista


Nella giornata che si è conclusa con la messa e la preghiera silenziosa davanti al confine con gli Stati Uniti sul quale migliaia di migranti provenienti dal Messico e dal Sudamerica hanno trovato la morte, Papa Francesco dialogando con i giornalisti ha risposto a una domanda sulle ultime dichiarazioni di Donald Trump. E pur concedendo al controverso politico repubblicano il beneficio del dubbio, Francesco ha detto papale papale che non può essere cristiano chi pensa solo a costruire muri invece di gettare ponti. Parole riferite alla situazione americana, ma applicabili anche a chi in Europa evoca o già costruisce muri e barriere per bloccare i migranti. Francesco per 45 minuti ha risposto a tutte le domande dei cronisti che viaggiavano con lui. Ecco la trascrizione dell’intervista.
Santo Padre, in Messico ci sono migliaia di persone scomparse, e il caso dei 43 studenti di Ayotzinapa è emblematico. Vorrei chiedere: perché non ha ricevuto i loro familiari?  
«Nei miei messaggi ho fatto continui riferimenti agli assassinati, alle morti e alla vita comprata da tutte queste bande di narcotrafficanti e di trafficanti di persone, dunque di questo problema ho parlato, ho parlato delle piaghe che sta soffrendo il Messico. C’erano molti gruppi, anche contrapposti tra loro, con lotte interne, che volevano essere ricevuti e allora ho preferito dire che alla messa di Ciudad Juarez li avrei visti tutti, o se preferivano in una delle altre messe, che c’era questa disponibilità. Era praticamente impossibile ricevere tutti questi gruppi, che d’altra parte si affrontavano tra di loro, in una situazione difficile da comprendere per me che sono straniero. Ma credo che sia la società messicana a essere vittima di tutto questo, dei crimini, dello scarto delle persone: è un dolore tanto grande, questo popolo non si merita un dolore così».
Il tema della pedofilia, come ben sa il Messico, ha radici molto dolorose. Il caso di padre Maciel ha lasciato eredità pesanti, soprattutto con le vittime. Le vittime si sentono non protette. Che pensa di questo tema? Ha pensato di riunirsi con le vittime? E quando i sacerdoti vengono coinvolti in casi di questo tipo ciò che si fa è di cambiare loro parrocchia, niente di più…  
«Innanzitutto, un vescovo che cambia di parrocchia un prete che ha commesso abusi sui minori è un incosciente, è meglio che rinunci. Chiaro! Nel caso Maciel bisogna fare un omaggio a colui che si è opposto a tutto questo, Ratzinger, il cardinale Ratzinger, un uomo che ha presentato tutta la documentazione sul caso Maciel e come Prefetto ha fatto l’indagine, ha raccolto tutta la documentazione e poi non ha potuto andare oltre nella sua messa in pratica. Ma se vi ricordate, dieci giorni prima della morte di san Giovanni Paolo II, durante la Via Crucis, Ratzinger disse a tutta la Chiesa che bisognava pulire la sporcizia della Chiesa. E nella messa “Pro eligendo Pontifice” pur sapendo che era candidato – ma non tonto – non gli è importato di fare operazioni di maquillage sulla sua posizione, disse esattamente lo stesso. Oggi stiamo lavorando abbastanza, con il cardinale Segretario di Stato e con il C9.

Ho deciso di nominare un altro segretario aggiunto della Congregazione per la dottrina della fede perché si occupi solo di questi casi. Si è costituito un tribunale d’appello presieduto da monsignor Scicluna. I casi continuano. Poi c’è la commissione per la tutela dei minori, che si occupa di protezione: mi sono riunito una mattina intera con i sei membri, già vittime di abusi. E a Philadelphia mi sono incontrato con le vittime. Rendo grazie a Dio perché questa pentola è stata scoperchiata, bisogna continuare scoperchiandola ancora. Gli abusi sono una mostruosità, perché un sacerdote è consacrato per portare un bimbo a Dio e invece se lo “mangia” e con un sacrificio diabolico lo distrugge».

Lei ha parlato molto dei problemi degli immigrati, dall’altra parte della frontiera, negli Usa c’è una campagna abbastanza dura su questo. Il candidato repubblicano Donald Trump ha detto in un’intervista che lei è un “uomo politico” e una “pedina” del governo messicano per le politiche migratorie. Trump ha detto di voler costruire 2.500 chilometri di muro e di voler deportare 11 milioni di immigrati illegali. Che cosa pensa? Un cattolico americano può votarlo?  
«Grazie a Dio ha detto che io sono politico, perché Aristotele definisce la persona umana come “animale politico”, e questo significa che almeno io sono una persona umana. Io una pedina? Mah, lo lascio al vostro giudizio e al giudizio della gente. Una persona che pensa solo a fare muri e non ponti, non è cristiana. Questo non è nel Vangelo. Votarlo o non votarlo? Non mi immischio, soltanto dico che quest’uomo non è cristiano, se veramente ha parlato così e ha detto quelle cose».
L’incontro con Kirill e la firma della dichiarazione comune ha provocato reazioni dei greco cattolici dell’Ucraina: hanno detto di sentirsi traditi e parlano di un documento politico, di appoggio alla politica russa. Lei pensa di andare a Mosca o a Creta per il sinodo pan-ortodosso?  
«Io sarò presente, spiritualmente, a Creta con un messaggio. Mi piacerebbe andarci ma bisogna rispettare il sinodo. Ci saranno degli osservatori cattolici e dietro di loro ci sarò io, pregando con i migliori auguri che gli ortodossi possano andare avanti. I loro vescovi sono vescovi come noi. Con Kirill, mio fratello, ci siamo abbracciati e baciati e poi abbiamo avuto un colloquio di due ore, dove abbiamo parlato come fratelli sinceramente: nessuno sa di che cosa abbiamo parlato. Sulla dichiarazione degli ucraini: quando l’ho letta, mi sono un po’ preoccupato perché l’ha fatta l’arcivescovo maggiore di Kyiv-Halyc degli Ucraini Sviatoslav Schevchuk. È lui che ha detto che il popolo si sente profondamente deluso e tradito. Io conosco bene Sviatoslav, a Buenos Aires per quattro anni abbiamo lavorato insieme. Quando, a 42 anni è stato eletto arcivescovo maggiore, è venuto a salutarmi e mi ha regalato un’icona della Madonna della tenerezza dicendo: mi ha accompagnato tutta la vita, voglio lasciarla a te che mi hai accompagnato in questi quattro anni. Io ce l’ho a Roma, tra le poche cose che ho portato da Buenos Aires. Ho rispetto per lui, ci diamo del tu, mi è sembrata un po’ strana la sua dichiarazione. Ma per capire una notizia o una dichiarazione bisogna cercare l’ermeneutica complessiva. Ora quella dichiarazione di Schevchuk è nell’ultimo paragrafo di una lunga intervista. Lui si dichiara figlio della Chiesa, in comunione col vescovo di Roma, parla del Papa e della sua vicinanza col il Papa. Sulla parte dogmatica, nessuna difficoltà, è ortodossa nel buon senso della parola, cioè è dottrina cattolica. Poi ognuno ha il diritto di esprimere le sue opinioni, sono sue idee personali. Tutto quello che ha detto è sul documento, non sull’incontro con Kirill. Il documento è discutibile, e anche c’è da aggiungere che l’Ucraina è in un momento di guerra, di sofferenza: tante volte ho manifestato la mia vicinanza al popolo ucraino. Si capisce che un popolo in quella situazione senta questo, il documento è opinabile su questa questione dell’Ucraina, ma in quella parte della dichiarazione si chiede di fermare questa guerra, che si facciano degli accordi. Io personalmente ho auspicato che gli accordi di Minsk vadano avanti e che non si cancelli col gomito quello che hanno scritto con le mani. Ho ricevuto ambedue i presidenti e per questo quando Schevchuk dice che ha sentito questo dal suo popolo, io lo capisco. Non bisogna spaventarsi per quella frase. Una notizia la si deve interpretare con l’ermeneutica del tutto, non della parte».
Il patriarca Kirill l’ha invitata a Mosca?  
«Il patriarca Kirill mi ha invitato? Io preferisco fermarmi solo a quello che abbiamo detto in pubblico. Il colloquio privato è privato ma posso dirle che io sono uscito felice, e anche lui lo era».
Lei in questi giorni ha parlato di famiglia: in Italia si dibatte sulle unioni civili. Che cosa pensa delle adozioni e in particolare dei diritti dei figli?

«Prima di tutto io non so come stanno le cose nel Parlamento italiano, il Papa non s’immischia nella politica italiana. Nella prima riunione che ho avuto con i vescovi nel maggio 2013 ho detto loro: col Governo italiano arrangiatevi voi. Il Papa non si mette nella politica concreta di un Paese. L’Italia non è il primo paese che fa questa esperienza. Quanto al mio pensiero, io penso quello che la Chiesa sempre ha detto su questo tema».
Da qualche settimana c’è molta preoccupazione per il virus Zika, con il rischio per le donne in gravidanza. Alcune autorità hanno proposto l’aborto e la contraccezione per evitare le gravidanze. La Chiesa può prendere in considerazione in questo caso il male minore?  
«L’aborto non è un male minore, è un crimine, è far fuori, è quello che fa la mafia. Per quanto riguarda il male minore, quello di evitare la gravidanza, si tratta di un conflitto fra il quinto e il sesto comandamento. Il grande Paolo VI, in Africa aveva permesso alle suore di usar gli anticoncezionali in una situazione difficile. Ma non bisogna confondere l’evitare la gravidanza con l’aborto, che non è un problema teologico, ma è un problema umano, medico, si uccide una persona, contro il giuramento di Ippocrate. Si assassina una persona per salvarne un’altra, nel migliore dei casi. È un male umano, come ogni uccisione. Invece evitare una gravidanza non è un male assoluto, e in certi casi, come in quello che ho citato del beato Paolo VI, questo è chiaro. Io esorterei i medici perché facciano di tutto per trovare i vaccini contro queste zanzare che portano questo male».
Lei riceverà il premio Carlo Magno, tra i più prestigiosi della Comunità europea. Anche Giovanni Paolo II teneva molto a questo premio e all’unità dell’Europa che sembra stia andando un po’ in pezzi. Lei ha una parola per noi europei che viviamo questa crisi?  
«Per quanto riguarda il premio: io avevo l’idea di non accettare onorificenze o dottorati, non per umiltà, ma perché non mi piacciono queste cose. Però in questo caso sono stato convinto dalla santa e teologica testardaggine del cardinale Kasper che è stato scelto per convincermi. Ho detto sì, ma a riceverlo in Vaticano e lo offro per l’Europa: che sia un premio perché l’Europa possa fare quello che io ho indicato a Strasburgo, per far sì che l’Europa non sia nonna ma sia madre. L’altro giorno, mentre sfogliavo un giornale, ho letto una parola che mi è piaciuta, la “rifondazione” dell’Europa e ho pensato ai grandi padri. Oggi dove c’è un Schumann, un Adenauer, questi grandi che nel dopoguerra hanno fondato l’Unione Europea? Mi piace questa idea della rifondazione, magari si potesse fare, perché l’Europa ha una storia, una cultura che non si può sprecare e dobbiamo fare di tutto perché la Ue abbia la forza e anche l’ispirazione di andare avanti».

Lei ha parlato molto delle famiglie nell’anno santo della misericordia, ma come essere misericordiosi con i divorziati risposati? Si ha l’impressione che sia più facile perdonare un assassino che un divorziato che si risposa…  
«Sulla famiglia hanno parlato due sinodi e il Papa ha parlato tutto l’anno nelle catechesi del mercoledì. La sua domanda è vera, mi piace. Nel documento post-sinodale che uscirà forse prima di Pasqua si riprende tutto quello che il sinodo ha detto: in uno dei capitoli ha parlato dei conflitti, delle famiglie ferite. La pastorale delle famiglie ferite è una delle preoccupazioni, come pure una preoccupazione è la preparazione al matrimonio. Per diventare prete ci vogliono otto anni, e poi se non ce la fai, chiedi la dispensa. Invece per un sacramento che dura tutta la vita, solo quattro incontri. La preparazione al matrimonio è molto importante. La Chiesa, almeno nella pastorale comune in Sudamerica, non ha valutato tanto questo. Alcuni anni fa nella mia patria c’era l’abitudine a sposarsi di fretta quando c’era un bambino in arrivo e così coprire socialmente l’onore della famiglia. Lì non erano liberi e tante volte questi matrimoni sono nulli. Come vescovo ho proibito ai sacerdoti di fare questo: che venga il bambino, che i due continuino da fidanzati e quando si sentono di impegnarsi per tutta la vita, che si sposino. Poi ricordiamo che le vittime dei problemi della famiglia sono i figli: ma sono anche vittime che i genitori non vogliono, quando papà o mamma non hanno tempo di stare con i loro figli. Quando io confesso uno sposo o una sposa, domando “quanti figli ha”? Si spaventano un po’, forse perché pensano che i figli dovrebbero essere di più, e allora io domando: lei gioca con i suoi figli? Tante volte dicono: non ho mai tempo! Interessante che nell’incontro con le famiglie a Tuxtla Gutierrez, ci fosse una coppia di risposati in seconda unione, bene integrati nella pastorale della Chiesa. La parola chiave che usò il Sinodo, e io riprenderò nell’esortazione, è “integrare” nella vita delle Chiesa le famiglie ferite. E non dimenticare i bambini, sono le prime vittime».
Significa che i divorziati risposati potranno fare la comunione?  
«Integrare non significa dare la comunione. Io conosco cattolici risposati che vanno in chiesa due volte l’anno e vogliono fare la comunione, come se fosse un’onorificenza. Lavoro di integrazione, tutte le porte sono aperte, ma non si può dire che possono fare la comunione, perché questo sarebbe una ferita per i matrimoni e non farà fare loro quel cammino di integrazione. Questa coppia di divorziati risposati era felice. Hanno usato un’espressione molto bella: noi non ci comunichiamo con l’eucaristia, ma sì, siamo in comunione quando visitiamo gli ospedali e condividiamo cose. La loro integrazione è questa. Se poi ci sarà qualcosa di più lo dirà il Signore. È una strada, un cammino».
Numerosi media hanno evocato e fatto clamore sull’intensa corrispondenza fra Giovanni Paolo II e la filosofa Anna Teresa Tymieniecka. Un Papa può avere un’intensa corrispondenza con una donna? E lei ne ha?  
«Questo rapporto di amicizia tra san Giovanni Paolo II e Teresa Tymieniecka lo conoscevo. Un uomo che non sa avere un buon rapporto di amicizia con una donna – non parlo dei misogini che sono malati – è un uomo a cui manca qualcosa, e io per mia esperienza, quando chiedo consiglio a un collaboratore amico, anche mi interessa sentire il parere di una donna: loro ti danno tanta ricchezza, guardano le cose in un altro modo. A me piace dire che la donna è quella che costruisce la vita nel grembi e ha questo carisma di darti cose per costruire. Un’amicizia con una donna non è peccato. Un rapporto amoroso con una donna che non sia tua moglie è peccato! Il Papa è un uomo, e ha bisogno anche del pensiero delle donne. Anche il Papa ha un cuore che può avere un’amicizia santa e sana con una donna. Ci sono stati santi come Francesco e Chiara… Non spaventarsi! Però le donne ancora non sono ben considerate nella Chiesa, non abbiamo ancora capito il bene che possono fare alla vita di un prete, alla vita della Chiesa, con un consiglio, un aiuto, una sana amicizia».
Torno sull’argomento della legge sulle unioni civili che sta per essere votata al Parlamento italiano. C’è un documento della Congregazione per la dottrina della fede del 2003 dove si afferma che i parlamentari cattolici non devono votare queste leggi. Qual è il comportamento per un parlamentare cattolico in questi casi?
«Non ricordo bene quel documento, ma un parlamentare cattolico deve votare secondo la propria coscienza ben formata, questo direi, soltanto questo, è sufficiente, e parlo di coscienza ben formata, cioè non quello che mi sembra o che mi pare. Ricordo quando fu votato il matrimonio fra persone dello stesso sesso a Buenos Aires, io stavo lì, i voti erano pari allora un parlamentare ha consigliato all’altro: “Tu ci vedi chiaro?”. “No”. “Neanch’io, pero così perdiamo. Se non andiamo a votare non si raggiunge il quorum, ma se raggiungiamo il quorum diamo il voto a Kirchner. Preferisco darlo a Kirchner e non a Bergoglio, e andiamo!”. Questa non è una coscienza ben formata».

Dopo l’incontro con il Patriarca di Mosca il Cairo, c’è un altro disgelo all’orizzonte, ci sarà l’udienza con l’imam di Al Azhar? 
«La scorsa settimana monsignor Ayuso, segretario del cardinale Tauran, è andato a incontrare il vice dell’imam. Io voglio incontralo, so che a lui piacerebbe, stiamo cercando il punto, sempre tramite il cardinale Tauran».
Dopo questo viaggio messicano, che viaggi farà, quali viaggi sogna?  
«Rispondo: la Cina, andare là, mi piacerebbe tanto! Vorrei anche dire una cosa giusta sul popolo messicano: è un popolo che rappresenta una ricchezza tanto grande, un popolo che sorprende, ha una cultura millenaria. Voi sapete che oggi in Messico si parlano 65 lingue, è un popolo di una grande fede ma che anche ha sofferto persecuzioni religiose, ci sono martiri, adesso ne canonizzerò due. Un popolo non lo si può spiegare, non è una categoria logica, è una categoria mitica, non si può spiegare questa ricchezza, questa gioia, questa capacità di far festa nonostante le tragedie che vive. Questa unità, un popolo che è riuscito a non fallire, a non finire, con tante cose che accadono: a Ciudad Juarez c’era un patto per il cessate il fuoco, dodici ore per la mia visita, poi riprenderanno. Questo popolo solo si spiega con Guadalupe e io vi invito a studiare seriamente il fatto Guadalupe, la Madonna è lì, io non trovo altra spiegazione».
Che cosa ha chiesto alla Madonna di Guadalupe? Lei sogna in lingua italiana o in spagnolo?  
«Sogno in esperanto! Alcune volte sì, ricordo un sogno in altra lingua, ma sognare in lingue no, sogno piuttosto immagini. Ho chiesto alla Guadalupana per prima cosa la pace, quella poverina deve aver finito con la testa così… Ho chiesto perdono, ho chiesto che la Chiesa cresca sana, ho pregato per il popolo messicano. Ho chiesto tanto che i preti siano veri preti, e le suore vere suore, i vescovi veri vescovi. Ma le cose che un figlio dice alla mamma sono un segreto».