lunedì 22 febbraio 2016

MA AVRANNO MAI VISTO UNA SUORA VERA?


Mi chiedo: ma questi registi, attori e
professionisti dell’arte cinematografica
hanno mai visto una suora vera? Un prete
o un vescovo vero? Forse perché io ne conosco
moltissimi e so quanto dignitoso sia
l’abito che indossano, anche se con sacrificio,
quanto seria sia la loro scelta di vita,
quanto drammatico può arrivare a essere il
loro ruolo sociale, quanto faticoso il loro
cammino di fede, forse per questo mi intristisce
vedere questi bei chiostri conventuali,
percorsi da buffe figure di suore con
Alzheimer o sorde, messe lì per far ridere.
Le suore sono persone consacrate. Hanno
scelto una vita difficile e impegnativa,
sono persone di grande valore umano,
morale, spirituale, etico e religioso. Anche
le più semplici, senza aver fatto studi particolari
né aver avuto ruoli importanti, si
sono sempre impegnate seriamente nelle
diverse situazioni di bisogno lasciando
dietro di sé ricordi indimenticabili.
È vero che anch’esse hanno molti difetti
e che spesso la loro immagine viene sfigurata
da comportamenti non coerenti con
la loro scelta, ma, credetemi, una suora si
troverà sempre pronta quando negli ospedali
tutti fanno sciopero, quando nelle zone
più impervie nessuno vuole andare,
quando si tratterà di avvicinare un uomo
infetto che tutti evitano, quando nessuno
ha il coraggio di accompagnare un prigioniero
condannato a morte; quando la morte
è prossima e il sacerdote non c’è, una
suora sarà sempre pronta a stargli vicino,
a pregare nel momento più difficile della
vita di una persona. C’è sempre una suora
quando ci sono uragani e terremoti, guerre
e persecuzioni. È vero, le suore non sono
tutte uguali, sono peccatrici come tutti,
ma la loro immagine va rispettata e presentata
con correttezza. Come si fa a farlo
capire a quelli che detengono il potere dei
media?
Ho avuto occasione in Colombia, nelle
periferie di Bogotá, di visitare un quartiere
malfamato sotto tutti gli aspetti. Un bravissimo
religioso aveva organizzato una
serie di piccoli centri per tentare di recuperare
ragazzi e ragazze dalla malavita.
Aveva chiesto la collaborazione di alcune
suore di varie congregazioni religiose che
ogni giorno affrontavano rischi indescrivibili.
Una di esse mi accompagnava nelle
strade infestate da piccoli e grandi delinquenti:
lei ci passava in mezzo con una
leggerezza impressionante e mi diceva di
non voltarmi a guardare quello che succedeva.
«Noi dobbiamo dare la testimonianza
di persone vicine, non nel male, ma
nella situazione del limite estremo del disagio
che questa gente vive. Poi ci sarà un
momento in cui forse riusciremo a parlare
con uno di questi ragazzi e ad attrarli nella
legalità». Avevano salvato varie centinaia
di giovani con degli stratagemmi che
solo Dio può ispirare. Quelle suore rischiavano
la vita tutti i giorni perché erano
mal viste dalle gang del luogo.
Ricordo una vecchia suora che ormai
camminava a fatica: ogni giorno si trascinava
nella casina degli attrezzi dell’orto
dove si era fatta un piccolo centro di accoglienza.
Là riciclava abiti usati, li lavava, li
cuciva, li stirava ed erano pronti per i poveri
che venivano a decine e decine tutti i
giorni. Aveva imparato a preparare sciroppi
con le erbe e guariva molti raffreddori,
allergie e mal di pancia. Riceveva gente di
tutti i tipi per parlare di Dio. Noi la prendevamo
un po’ in giro per le sue stravaganze
caritative, e nessuna di noi avrebbe
mai assaggiato un cucchiaino del suo sciroppo.
Alla sua morte vennero centinaia
di persone al funerale, ma quello che più
mi impressionò fu vedere alcune decine di
sacerdoti concelebrare nella messa di esequie,
nonostante ci trovassimo in un paesino sperduto.
Uno di questi preti mi confessò
che a lei doveva la sua vocazione, un
altro mi disse che se non fosse per lei non
avrebbe perseverato; un altro ancora ci
confidò che «lei mi faceva da direttore
spirituale», un quarto: «Quando ero scoraggiato,
venivo da lei». Questa suora non
aveva apparenze attraenti, era solo una
buona suora, una consacrata.
In una visita a un riformatorio per ragazzi
difficili, ho conosciuto una giovane
religiosa che parlava più in dialetto che in
italiano, e si occupava di un centinaio di
ragazzi estremamente indisciplinati. Quando
i ragazzi erano a tavola, c’erano dieci
secondini in borghese pronti con i manganelli,
perché bastava un segnale e i ragazzi
facevano volare piatti e bicchieri (a quel
tempo erano tutti di alluminio): succedeva
un pandemonio che poteva essere domato
solo a manganellate. Quando entrava la
suora si ristabiliva la serenità, con lei ubbidivano,
mangiavano in pace, collaboravano
nella pulizia. La religiosa a quel tempo
non era né una psicologa, né un’assistente
sociale, e non possedeva una preparazione
speciale: semplicemente amava i
ragazzi. E le suore della sua congregazione
la ricordano come una santa.
Una suora ammalata di cancro alla testa
mi confidò che aveva pochi mesi da vivere,
ma che era molto, molto contenta, perché
in quarant’anni di ospedale aveva accompagnato
centinaia di persone nell’ultimo
viaggio, e quelle persone erano partite
serene da questa vita perché avevano ritrovato
Dio. Proprio oggi una suora di 95
anni, molto malata, mi ha detto che vuole
partecipare all’assemblea annuale che teniamo
nella nostra Provincia: «Voglio sapere
bene tutto, verso dove va la nostra
congregazione, voglio intravedere il futuro
e, quando arrivo in Paradiso, lo voglio
raccontare alle altre sorelle che trovo lassù».
Le suore sono spesso depositarie di
drammatici segreti, di confidenze inconfessabili,
sono gravide del dolore della
gente. Portano il peso delle lacrime di
giovani, bambini, donne e uomini. Caricano
nel cuore la morte ingiusta di tante
persone che loro avrebbero voluto salvare
ma non hanno potuto. Nel loro volto
spesso si legge la stanchezza, il dolore, la
fatica e anche l’amore che le ha consumate.
E così si può dire di molti preti, religiosi
e vescovi che passano la vita per gli altri
nel più grande anonimato, senza alcuna
ricompensa se non quella che dà Dio alla
fine della «corsa di questo sacro tempo».
Ne ho conosciuti tanti che stanchi e sporchi,
dopo giorni e giorni di viaggi pastorali,
tornando a casa non trovavano niente,
e li vedevi lavarsi la biancheria, cucinarsi
e pulire la casa. Un giorno un frate
ci portò un suo saio pregandoci di lavarlo:
fummo costrette a bruciarlo perché era
pieno di insetti. Come faceva a indossarlo
Un vescovo, nostro amico, era così povero
che per qualche anno dovemmo
mandargli il pranzo perché lui lo saltava:
da mangiare aveva solo quello che la gente
ogni tanto gli mandava. Non solo in
missione accade questo.
Quando sono anziani
e malati, molti sacerdoti, anche in
Italia, non hanno più dove andare. E se
non c’è una casa apposita per loro o se
non hanno parenti, sono veramente abSono
tanti i preti e i vescovi
che passano la vita per gli altri
nel più grande anonimato
Ne ho conosciuti tanti stanchi e sporchi
che dopo giorni e giorni di viaggi pastorali
tornando a casa non trovano niente
bandonati. E quanti altri
hanno dato la vita per difendere
qualcuno, per condividere
l’oppressione del loro
popolo, per dare ancora un
p o’ di speranza a chi non ce
l’ha più. Possibile che la
gente del cinema e della televisione
non riesca a vedere
niente di tutto questo? Possibile
che veda solo quelle
poco significative vicende
che con tanti dettagli riproducono
nei film? Stento a crederlo per la stima
che ho per la loro arte.
Fortunatamente la vera storia dell’umanità
non se ne fa niente di quelle parodie
di suore e preti dello schermo, ma conserva
invece per secoli e secoli la memoria di
chi ha dato la vita perché diventassimo
tutti migliori. E mentre di molti film nessuno
si ricorderà più, queste persone anonime
hanno una vita veramente eterna.
MARIA BARBAGALLO

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