domenica 27 novembre 2016

Canada. Bolen, il vescovo che è stato un clochard 15 novembre

Bolen, il vescovo che è stato un clochard
Trentasei ore sulla strada, condividendo in tutto e per tutto la vita di un senza fissa dimora. Con tutte le sue fatiche - chiedere l’elemosina, trovare un posto dove lavarsi, dormire su una branda in un dormitorio pubblico…. È l’esperienza del tutto particolare vissuta da un vescovo in Canada, nella regione dello Saskatchewan.
Nel mese di giugno monsignor Donald Bolen - dal 2009 alla guida della diocesi di Saskatoon che ha guidato fino a un mese fa quando per volontà di papa Francesco è entrato come nuovo pastore nell’arcidiocesi di Regina - ha vissuto per un giorno e mezzo in incognito per strada come un homeless. Gesto decisamente significativo nell’Anno Santo della misericordia. E compiuto da un pastore che - come motto episcopale - già sette anni fa aveva scelto una frase di Thomas Merton che in italiano suona “Misericordia nella misericordia nella misericordia”, quasi a dilatare nella ripetizione l’apertura del cuore. Quella di Bolen non è stata un’iniziativa solo personale: il presule ha infatti aderito a una campagna di solidarietà promossa dal Sanctum Care Group, un ente assistenziale che si prende cura dei malati di Aids (e di cui il presule è membro del Cda).
Per raccogliere i fondi necessari per aprire una nuova casa per la cura pre-natale dei figli di madri sieropositive il Sanctum Care Group ha pensato a un’iniziativa che fosse l’occasione per far aprire gli occhi sulla realtà degli homeless a Saskatoon. Così dieci personalità in vista della comunità - dal vescovo al cantante folk, dal luminare della medicina al leader dei nativi - sono stati tutti coinvolti in questa specie di realityshow: rivestiti di abiti di seconda mano e rigorosamente senza soldi, sono finiti sulla strada con in tasca solo un cellulare per poter essere geolocalizzati costantemente. Poi, in una cena di gala, ciascuno ha raccontato che cosa gli ha lasciato in eredità quella giornata e mezza vissuta da senza fissa dimora. «La sensazione più forte – ha detto Bolen – è stata sperimentare la vulnerabilità delle situazioni in cui ci trovavamo.
Nel quartiere in cui vivo ci sono tante realtà di cui sapevo l’esistenza, ne avevo sentito parlare; ma lì ho avuto modo di toccarle con mano, di sperimentare la durezza e il dolore che ci sono a pochi passi da casa mia, come pure la gioia delle relazioni semplici tra le persone». Il vescovo ha sottolineato in particolare due aspetti: innanzitutto la profondità dello sguardo che si ottiene rallentando il proprio passo. «Quando vai piano, quando diventi vulnerabile, quando la realtà ti porta ad affrontare ogni situazione e a metterti in relazione per cercare un dialogo, ci sono tante cose che poi ti porti a casa», ha spiegato. Ma stare sulla strada non è poesia; si avverte anche tutto il dolore dell’indifferenza di chi ti sta intorno.
Bolen racconta di averla sperimentata mentre chiedeva l’elemosina in un angolo della Ventesima Strada, nel cuore della sua città. «Quasi nessuno ci guardava – ha ricordato –. È stata l’esperienza dell’invisibilità degli homeless e di chiunque sia povero o debole». Intervistato da RadioVaticana, Bolen ha detto di trovare grande ispirazione nel suo ministero dalla capacità di papa Francesco di tenere insieme la promozione della giustizia dal punto di vista delle strutture sociali, con la disponibilità a non perdere di vista la persona povera concreta che si incontra lungo la strada. «Far dialogare questi due aspetti oggi – ha concluso – è incarnare in modo credibile la Dottrina sociale della Chiesa».

paolo rodari

 bella Paolo!!!

Paolo Rodari
Io penso che alla fine di tutto resterà soltanto l’amore. La
 gioia per l'amore che siamo stati in grado di dare. Ma 
anche la sofferenza per l'amore che ci è rimasto dentro, 
incapaci di farlo uscire, di lasciarlo correre. Sarà questo il 
nostro unico purgatorio, dolorosissimo ma necessario: 
l'amore che non abbiamo dato, l'amore rimasto inesploso 
nel nostro povero petto.
(Questo e altro pensavo questo pomeriggio, guardando le 
persone che amo)

Josemaría Escrivá de Balaguer (1902 – 1975)

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“Guarda che viscere di misericordia ha la giustizia di 
Dio! Nei giudizi umani si castiga colui che confessa la
 propria colpa: nel giudizio divino, lo si perdona”.
– Josemaría Escrivá de Balaguer (1902 – 1975)

CENACOLO “SANT’ANTONIO DA PADOVA” - INVERIGO (CO)

ai suoi amici

Ai suoi assassini disse:
"Temo che non abbiate intenzione
di includermi nel vostro giro di amicizie".

Papa, ex parroco: “E’ stata una sorpresa. Ho assaporato gusto Vangelo”

don divo messa

Senza la Messa non c’è l’uomo 

tutto è vuoto, illusione, fantasma. 


Non c’è l’uomo 

- o piuttosto c’è solo l’inferno.


Non c’è Dio

- o piuttosto c’è il Dio che vive

nella solitudine infinita dell’Essere suo,

assolutamente trascendente

ogni creatura senza rapporto con esse...

Don Divo

testimonianza

Don Marco Ferrari
Per dare testimonianza davanti ad un altro bisogna vivere ciò che si vuole dire e difendere. Per dirci figli di Dio e fratelli di Gesù e fra noi bisogna che esista una qualche relazione fra noi e con Lui. Il peccato ci porta anche a giustificare una qualche doppia vita; noi però non ci stiamo e moriamo dentro se viviamo così! Annuncia ciò che credi, credi ciò che annunci: prima però vivi ciò che credi o almeno provaci! #discepolo

footprints

don divo

Se una qualunque cosa umana diviene per noi un riposo o un modo di radicarsi in questo mondo, certo tu devi farne a meno. La nostra spiritualità ci porta a questo. Spiritualità austera e tuttavia semplice; spiritualità verticale che non ha tuttavia nulla di violento né di eccessivo.
Direi che sia proprio questo uno dei caratteri fondamentali della nostra spiritualità, quello cioè di unire insieme proprio due cose che sembrano opposte: le verticalità del cammino con l’abbandono, la dolcezza, la semplicità di una vita che non ha nulla di violento, di sforzato, di eccessivo. Rinunzia senza durezza che chiude l’anima. 
Certo, il mantenere unite le due cose è una necessità assoluta, perché, quando non sono unite, il tendere esclusivamente a Dio ci farebbe impazzire, e la semplicità potrebbe essere un aprirsi di tutte le falle – le maglie della rete si spezzano e si vive la vita naturale, tranquilla… tanto semplice da non esser più spirituale, da non essere più impegno di perfezione.
Bisogna che le due cose siano strettamente unite: la semplicità con questo impegno verticale di tensione a Dio, questa semplicità con questo primato dei valori contemplativi che impone una rinunzia continua, nonostante tutto, anche se questa rinunzia vien fatta in un certo modo, più dolce, più sereno.
Don Divo Barsotti - Dalla Meditazione "Dio è presente e si dona" 

cari figli

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alla vita

L'immagine può contenere: una o più persone
Consentitemi di essere chiaro. Io sono per il diritto alla vita. Ho questa posizione pur ammettendo eccezioni in casi di stupro, incesto o quando è a rischio la vita della madre. Non sempre l’ho pensata così, ma una esperienza personale assai significativa mi ha portato a riconsiderare il prezioso dono della vita. L’aneddoto è ben documentato e quindi non lo racconterò di nuovo ora (1). Tuttavia, nello spazio che mi rimane, voglio esprimere ciò che provo nei confronti della vita e della cultura della vita proprio mentre cade il 43° anniversario del caso Roe v. Wade (2).
Io sono un costruttore. Per costruire bisogna seguire un metodo. Ci si serve di molte arti di cui l’ingegneria è la più importante. Le regole per assemblare le strutture sono molto rigide proprio come lo sono le regole della fisica. Le regole hanno superato la prova del tempo e sono diventate il modo per assembleare le strutture che perdura e che produce bellezza. Gli Stati Uniti, quando sono al loro meglio, seguono un insieme di regole che funzionano sin dall’epoca della fondazione. Una di queste regole è che noi, come statunitensi, onoriamo la vita e questo abbiamo fatto sin da quando i nostri fondatori hanno fatto della vita il primo, e il più importante, dei nostri diritti «inalienabili» (3).
Con il tempo la cultura della vita di questo Paese ha preso a scivolare verso una cultura della morte. La prova forse più decisiva su cui si regge quest’affermazione è che dalla sentenza pronunciata dalla Corte Suprema nel caso Roe v. Wade 43 anni fa a oggi più di 50 milioni di statunitensi non hanno avuto la possibilità di godere delle opportunità che il nostro Paese offre. Non hanno avuto la possibilità di diventare dottori, musicisti, agricoltori, insegnanti, mariti, padri, figli e figlie. Non hanno avuto la possibilità di arricchire la cultura questa nazione o di contribuire con i propri talenti, le proprie esistenze, i propri affetti e le proprie passioni al tessuto di questo Paese. Mancano e ci mancano.
Nel 1973 la Corte Suprema fondò quella sentenza immaginando diritti e libertà che nella Costituzione non ci sono. Se prendessimo per vera la parola di quel tribunale, ovvero che l’aborto sia una questione di privacy, dovremmo logicamente concludere che è il denaro privato quello che deve finanziare questa scelta e non il mezzo miliardo di dollari erogato ogni anno dal Congresso federale ai procuratori di aborti. Il finanziamento pubblico dei procuratori di aborti è quanto meno un insulto alla coscienza delle persone e al meglio un affronto al buon governo.
Inoltre, come se usare il denaro dei contribuenti per agevolare lo scivolamento verso la cultura della morte non fosse già abbastanza, la sentenza del 1973 è diventata una pietra miliare nel dimostrare il disprezzo totale che quel tribunale riserva al federalismo e al Decimo Emendamento (4). Il caso Roe v. Wade ha infatti dato alla Corte Suprema una scusa per smantellare le decisioni prese dalle assemblee legislative dei diversi Stati dell’Unione e il voto espresso dalla gente. Un modo di fare, questo, che da allora la Corte ha ripetuto mille volte. La sentenza nel caso Roe v. Wade è quindi diventata solo l’ennesimo esempio dello scollamento tra il popolo e il suo governo.
Siamo nel pieno di un ciclo politico che porterà all’elezione di un nuovo presidente federale e fra pochi giorni si voterà. I cittadini di questo Paese avranno la possibilità di votare per il candidato che rappresenta la loro visione del mondo. Spero che sceglieranno il costruttore, l’uomo che ha la capacità d’immaginare la grandezza di questa nazione. Il prossimo presidente dovrà seguire i princìpi che meglio funzionano e che rafforzano la venerazione che gli statunitensi hanno nei confronti della vita. La cultura della vita è troppo importante perché la si lasci eclissare per convenienza o correttezza politica. È preservando la cultura della vita che Faremo Grandi Ancora gli Stati Uniti.
(1) Il 6 agosto 2015, durante il primo dibattito pubblico tra i candidati del Partito Repubblicano nelle primarie, rispondendo a una domanda relativa alle sue precedenti posizioni filoabortiste e sul cambiamento poi intercorso, Trump ha raccontato: «E quel che è successo è che anni fa dei miei amici aspettavano un bambino e che quel bambino avrebbe dovuto essere abortito. E invece non è stato abortito. E oggi quel bambino è una superstar assoluta, un bambino grande, davvero grande. E io questo l’ho visto. E ho visto altre cose così. E sono molto, molto orgoglioso di dire che io sono per il diritto alla vita».
(2) Il 22 gennaio 1973 la Corte Suprema federale concluse il caso Roe v. Wade con una sentenza che cancellò le precedenti norme a difesa della vita umana nascente approvate e vigenti nei singoli Stati dell’Unione, legalizzando così l’aborto in tutto il Paese. Il mondo pro-life considera la sentenza un abuso giacché la Corte Suprema, come sancisce la Costituzione federale, non ha alcun potere di legiferare, ma solo quello di vigilare sulla costituzionalità delle leggi e di esprimersi negli ambiti strettamente costituzionali dei casi che è chiamata a giudicare. Del resto, il caso Roe v. Wade si fonda su una grande menzogna: una ragazza dall’adolescenza rovinata, lesbica, coperta da anonimato, “Jane Roe”, alla terza gravidanza indesiderata, s’inventò di essere rimasta incinta a causa di uno stupro. Supportata da alcune avvocatesse fortemente politicizzate, “Jane” adì il Tribunale distrettuale del Texas e dopo tre anni giunse alla Corte Suprema. Intanto quel suo terzogenito era nato, era stato dato come gli altri due in adozione e “Jane” cambiò la versione dei fatti invocando la necessità dell’aborto a causa dello stato di povertà e di depressione in cui viveva. Anni dopo “Jane” rivelò di essere Norma Leah Nelson McCorvey: accadde quando si convertì prima al protestantesimo e poi al cattolicesimo con don Frank A. Pavone, che oggi è uno dei consiglieri cattolici di Trump.
(3) Sono le parole del preambolo della Dichiarazione d’indipendenza del 1776: «Noi asseriamo che queste verità sono per se stesse evidenti: che tutti gli uomini sono creati uguali, che sono dotati dal loro Creatore di determinati diritti inalienabili, che tra questi vi sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità».
(4) Il Decimo Emendamento alla Costituzione federale degli Stati Uniti, l’ultimo di quelli approvati nel 1791 e noti come Bill of Rights, sancisce che i poteri non delegati dalla Costituzione al governo federale o da essa non vietati agli Stati sono riservati agli Stati o al popolo.
M

La Fede

Don Carlo Pizzocaro
La Fede non è inseguirLO chissà dove, ma 
riconoscerLO ovunque; non è incontrarLO chissà 
quando, ma accoglierLO qui, adesso. È il dramma 
dell’imprevedibilità dell’Amante, che ama 
sorprendere 
l’amata. Se vuoi andare dove va LUI, allora devi 
accettare che non c’è un luogo più straordinario della 
tua carne, vero tempio dello Spirito, non c’è evento 
speciale, perché Dio non è un appuntamento in 
agenda, ma è l’agenda che deve essere di Dio. Tutto 
sta nella virtù dell’abbandono, che sconfigge la 
tentazione di prevedere, di controllare Dio. È come 
quando provi a far volare un aquilone: la cordicella 
non serve a incatenare l’aquilone, ma a legare te al 
cielo verso cui lui corre. La cordicella è la Fede, 
l’aquilone è Cristo, il Cielo…beh: è il Cielo! Se vuoi il 
Cielo, lascia che sia l’Aquilone a dirti da dove si 
passa.

manca qualcosa?

"Solo chi sente che gli manca 
qualcosa cerca,
ed è disposto a seguire Gesù".

don stefano lavelli


  
"È entrato nel Duomo di Piacenza, un giorno della
 quarta superiore. «Ero agitato, speravo solo non
 mi chiedessero da quanto tempo...». Prima 
domanda: da quantonon ti confessi? «Ho pensato: 
adesso mi distrugge. Invece mi chiede: «Come ti 
chiami?». Stefano. “Stefano, pensa quanto ti vuole 
bene il Signore, non solo non ti ha mai 
abbandonato in questi anni, ma ha vigilato su di te 
e ti è venuto a cercare, aspettandoti per poterti 
riabbracciare»".
Padre Stefano Lavelli, piacentino, da aspirante chef 
lontano dalla Chiesa a missionario "in casa nostra" 
al Rione Sanità di Napoli e alla parrocchia di Santa 
Giulia a Torino: sarà nostro ospite sabato 27 
agosto alla Festa Missionaria.

uomini

"La maggior parte degli uomini,
 quando muore, va in Purgatorio. 
Un numero pure molto grande va all’Inferno. 
Soltanto un piccolo
 numero di anime va direttamente in Paradiso"
...( dal Messaggio del 2 novembre 1983).

trailer - Il RISVEGLIO DI UN GIGANTE - Santa Veronica Giuliani OFFICIAL ...

Le politiche pro-vita funzionano: drastico calo d’aborti in Ungheria

e in Italia no??

Le politiche pro-vita funzionano: drastico calo d’aborti in Ungheria
Non solo ripresa economica e diminuzione dei disoccupati, le misure a sostegno delle famiglie hanno prodotto un calo del 23% di interruzioni di gravidanza tra il 2010 e il 2015
Stavolta si può dire. L’ascesa del Governo di Viktor Orbán in Ungheria ha subito una battuta d’arresto. Si tratta della prima vera delusione dopo il parziale successo del referendum del 2 ottobre sulla ripartizione dei migranti, che pur non raggiungendo il quorum aveva comunque sancito una sorta di plebiscito (98%) a favore del Governo.
Ma nelle scorse ore il Parlamento di Budapest ha fatto uno sgambetto all’Esecutivo. Chiamati a votare sulla riforma costituzionale voluta da Orbán per impedire l’applicazione delle quote previste da Bruxelles per la spartizione di migranti, dei 199 parlamentari magiari, 131 hanno votato a favore della modifica a fronte dei 133 necessari.
La crisi sul tema dei migranti non offusca tuttavia i risultati positivi ottenuti dal Governo Orbán in questi anni. Giova ricordare a tal proposito che nel 2014 il Pil ungherese è cresciuto del 3,6%, il valore più alto di tutti i Paesi Ue. Secondo l’Ocse la crescita proseguirà, su valori più contenuti, anche nel 2016: intorno al 2,2%. Diminuita anche la disoccupazione, che nel 2011 si attestava all’11% e lo scorso anno è scesa al 7,3%.
A seguito della riforma costituzionale varata nel 2011, che protegge la vita dell’embrione e del feto fin dal concepimento e promuove la famiglia come unione tra un uomo e una donna, segnali di lenta ma incoraggiante risalita si registrano anche sul fronte demografico.
Nel 2014 sono nati in Ungheria più bambini che nei cinque anni precedenti. Il tasso di fecondità è ancora basso, all’1,41%, ma ha registrato una notevole crescita rispetto agli 1,25 figli per donna del 2010.
Del resto alla riforma costituzionale è seguita una lungimirante politica di aiuti economici e sociali alle famiglie e alle donne in difficoltà. Stanziati 32mila euro e un prestito dello stesso importo per le famiglie con tre figli, erogato quando l’ultimo nato ha compiuto tre mesi. Il periodo di maternità della donna, a seguito del parto, è di ben tre anni. E ancora: lo Stato copre anche il pagamento dell’affitto di casa per un anno e mezzo dalla nascita di un figlio. Inoltre, nei piccoli centri abitati, se almeno tre coppie ne fanno richiesta, lo Stato e le istituzioni locali si impegnano a costruire un asilo nido entro un anno.
Questo pacchetto di misure, oltre a far lentamente registrare segnali di ripresa demografica, sta producendo un drastico calo delle interruzioni volontarie di gravidanza. Tra il 2010 e il 2015 il tasso di aborti è sceso del 23%, e nel primo trimestre del 2016 – come ha riferito il segretario di Stato e portavoce governativo, Zoltan Kovacs, al quotidiano Magyar Hirlap – vi è stato un ulteriore calo del 4%.
Effetto – il calo degli aborti – di una campagna mediatica del Governo del 2011 corredata da manifesti con l’immagine di un bambino nel grembo materno e la frase “capisco che non sei ancora pronta per me… ma dammi in adozione, lasciami vivere!”.
L’iniziativa ungherese suscitò le ire dell’Unione Europea. L’allora commissario per i diritti umani, Viviane Reding, affermò che “tale campagna va contro i valori europei”, ipotizzando persino la restituzione dei fondi europei da parte di Budapest. Le rispose il sottosegretario per la Famiglie e la Gioventù ungherese, Miklós Soltész, sottolineando che la campagna era finalizzata a promuovere “l’importanza della vita”. Un valore per l’Ungheria, forse non per l’Unione Europea.
ZENIT

il cielo

Hai abbellito, o Dio,

il cielo con le stelle,

l'aria con le nuvole,

la terra coi mari,

i fiumi e i verdi giardini
dove cinguettano gli uccelli,
ma la mia anima ha amato solo Te

Sii

Sii continente
nella lingua
e nel ventre
da li provengono
Invidia orgoglio
avarizia gola lussuria

la via

Quale è la via migliore per salvarmi ?
Non confidare nella tua giustizia

Le tentazioni

Le tentazioni sono importanti
perché provano la nostra fede
Le tentazioni tengono l'anima vigile
sempre pronta fino all'ultimo istante della vita.
Cosi il nemico non la conquista
con un assalto improvviso

tentato

Nessuno se non tentato
può entrare nel regno dei cieli
M

amore a Dio

Il vero amore a Dio
... fare la sua volontà