Trentasei ore sulla strada, condividendo in tutto e per tutto la vita di un senza fissa dimora. Con tutte le sue fatiche - chiedere l’elemosina, trovare un posto dove lavarsi, dormire su una branda in un dormitorio pubblico…. È l’esperienza del tutto particolare vissuta da un vescovo in Canada, nella regione dello Saskatchewan.
Nel mese di giugno monsignor Donald Bolen - dal 2009 alla guida della diocesi di Saskatoon che ha guidato fino a un mese fa quando per volontà di papa Francesco è entrato come nuovo pastore nell’arcidiocesi di Regina - ha vissuto per un giorno e mezzo in incognito per strada come un homeless. Gesto decisamente significativo nell’Anno Santo della misericordia. E compiuto da un pastore che - come motto episcopale - già sette anni fa aveva scelto una frase di Thomas Merton che in italiano suona “Misericordia nella misericordia nella misericordia”, quasi a dilatare nella ripetizione l’apertura del cuore. Quella di Bolen non è stata un’iniziativa solo personale: il presule ha infatti aderito a una campagna di solidarietà promossa dal Sanctum Care Group, un ente assistenziale che si prende cura dei malati di Aids (e di cui il presule è membro del Cda).
Per raccogliere i fondi necessari per aprire una nuova casa per la cura pre-natale dei figli di madri sieropositive il Sanctum Care Group ha pensato a un’iniziativa che fosse l’occasione per far aprire gli occhi sulla realtà degli homeless a Saskatoon. Così dieci personalità in vista della comunità - dal vescovo al cantante folk, dal luminare della medicina al leader dei nativi - sono stati tutti coinvolti in questa specie di realityshow: rivestiti di abiti di seconda mano e rigorosamente senza soldi, sono finiti sulla strada con in tasca solo un cellulare per poter essere geolocalizzati costantemente. Poi, in una cena di gala, ciascuno ha raccontato che cosa gli ha lasciato in eredità quella giornata e mezza vissuta da senza fissa dimora. «La sensazione più forte – ha detto Bolen – è stata sperimentare la vulnerabilità delle situazioni in cui ci trovavamo.
Nel quartiere in cui vivo ci sono tante realtà di cui sapevo l’esistenza, ne avevo sentito parlare; ma lì ho avuto modo di toccarle con mano, di sperimentare la durezza e il dolore che ci sono a pochi passi da casa mia, come pure la gioia delle relazioni semplici tra le persone». Il vescovo ha sottolineato in particolare due aspetti: innanzitutto la profondità dello sguardo che si ottiene rallentando il proprio passo. «Quando vai piano, quando diventi vulnerabile, quando la realtà ti porta ad affrontare ogni situazione e a metterti in relazione per cercare un dialogo, ci sono tante cose che poi ti porti a casa», ha spiegato. Ma stare sulla strada non è poesia; si avverte anche tutto il dolore dell’indifferenza di chi ti sta intorno.
Bolen racconta di averla sperimentata mentre chiedeva l’elemosina in un angolo della Ventesima Strada, nel cuore della sua città. «Quasi nessuno ci guardava – ha ricordato –. È stata l’esperienza dell’invisibilità degli homeless e di chiunque sia povero o debole». Intervistato da RadioVaticana, Bolen ha detto di trovare grande ispirazione nel suo ministero dalla capacità di papa Francesco di tenere insieme la promozione della giustizia dal punto di vista delle strutture sociali, con la disponibilità a non perdere di vista la persona povera concreta che si incontra lungo la strada. «Far dialogare questi due aspetti oggi – ha concluso – è incarnare in modo credibile la Dottrina sociale della Chiesa».
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