Quando ti fidi del Signore succedono cose grosse
di Costanza Miriano
A Staggia Senese c’è un’epidemia di felicità. Non si riesce ad arginarla. E aumenta, pure. Perché continuano a nascere bambini da genitori infetti, è difficile pensare che possano guarire.
A Staggia Senese, poi, c’è anche un prete che fa il prete. Davvero. Come diciamo tra amici, un prete che ci crede, uno cattolico.
Ecco, io non so quanto mettere in connessione queste due informazioni. Penso parecchio, sinceramente. Perché ho sperimentato che quando c’è qualcuno che comincia a dare la sua vita seriamente, il bene si irraggia. È diffusivo. Il Signore parte da un sì detto seriamente, con tutto il cuore – magari un cuore sgangherato, fragile, incostante, pieno di domande, ma che ha detto sì con tutto se stesso – e non si lascia certo battere in generosità. Parte da un sì totale, e fa nascere opere miracolose, gigantesche, ciclopiche. Pensiamo ai sì di Benedetto da Norcia, a quello di Teresa d’Avila, Caterina da Siena. Gente che ha cambiato il corso della storia.
A Staggia Senese, poi, c’è anche un prete che fa il prete. Davvero. Come diciamo tra amici, un prete che ci crede, uno cattolico.
Ecco, io non so quanto mettere in connessione queste due informazioni. Penso parecchio, sinceramente. Perché ho sperimentato che quando c’è qualcuno che comincia a dare la sua vita seriamente, il bene si irraggia. È diffusivo. Il Signore parte da un sì detto seriamente, con tutto il cuore – magari un cuore sgangherato, fragile, incostante, pieno di domande, ma che ha detto sì con tutto se stesso – e non si lascia certo battere in generosità. Parte da un sì totale, e fa nascere opere miracolose, gigantesche, ciclopiche. Pensiamo ai sì di Benedetto da Norcia, a quello di Teresa d’Avila, Caterina da Siena. Gente che ha cambiato il corso della storia.
Non so cosa farà il Signore del sì di don Stefano. Per ora quello che ho visto è che tante altre persone dietro a lui, prima alcune poi molte altre, hanno cominciato a scommettere tutto su Gesù. Ma proprio tutto.
La giornata del Timone alla quale sono stata invitata (e premiata) ha mostrato chiaramente come chi ha fede fa le cose in modo meraviglioso: la crisi della nostra civiltà e la crisi economica sono infatti innanzitutto crisi di fede (io dico sempre che il gesto più ecologico che possiamo fare è pregare: dalla preghiera discende tutto).
L’organizzazione e l’efficienza della parrocchia sono state davvero impressionanti. Ognuno dei collaboratori aveva un compito pianificato e specificato nei particolari (lo schemino nella tasca di Don Stefano era un po’ allarmante nella sua teutonica precisione: c’era persino scritto chi doveva spostare cosa in caso di pioggia), e tutto è stato fatto a regola d’arte, a cominciare da un pranzo degno di un ristorante a non so quante stelle, caldo al punto giusto, non scotto non freddo non salato non sciapo (come si fa che io vado in crisi quando un figlio torna prima, uno dopo?). La scuola parentale che ho potuto visitare mi ha fatto venir voglia di chiedere il trasferimento e traslocare in Toscana, solo per poter permettere ai nostri figli di avere il meglio del meglio a scuola.
Ma vorrei soffermarmi su un altro fatto, e cioè che ci sono molte, davvero molte donne, che hanno deciso di lasciare il lavoro e mettersi a fare le mogli e le mamme a tempo pieno. Non voglio dire con questo che segue il Signore solo una donna che non lavora (tanto lo so che qualcuno la leggerà così), perché io sarei la prima a non rientrare nel canone.
Voglio dire che segue il Signore chi non decide come se la sua vita fosse sua, e quindi la consegna, perché neppure il tempo è nostro. Queste donne, incoraggiate da don Stefano, che ha una moltitudine di figli spirituali (ho visto la sua agenda con gli appuntamenti per i colloqui e mi chiedo come sopravviva), hanno deciso che il tempo per le relazioni, prima di tutto la famiglia, era più importante di tutto il resto. E si sono buttate. C’è quella che ha quattro figli piccoli, e quella che non ne ha, quella che ne ha uno malato particolarmente bisognoso di cure, quella che li ha grandi. In comune, la decisione ferma di non dare via il proprio tempo solo in cambio di denaro, perché di denaro forse ne serve meno di quanto pensiamo.
La prima obiezione che a tutte noi verrebbe, anzi, viene, è: la nostra famiglia non se lo può permettere. Io ho provato a fare questo esercizio, con don Stefano, a cena. Eravamo ospiti di una meravigliosa coppia che i figli non li ha avuti, ma lei ha lo stesso deciso di lasciare il lavoro per avere più tempo per la famiglia (una coppia aperta alla vita E’ una famiglia), per gli amici, le persone bisognose, la casa, la parrocchia. Raccontava che è rinata da quando ha fatto questo salto nel vuoto, perché di salto si tratta. Rinunci a uno stipendio fisso e sicuro. Devi fare delle scelte diverse. Devi fidarti. Devi rinunciare a tenere tutto sotto controllo.
Parlando con loro e analizzando tutte le voci di spesa, mi era sempre più chiaro che io considero necessario e imprescindibile ciò che forse non lo è. Se i soldi si dimezzano si adotta tutto un altro stile di vita: forse, che so, non si va più al bar, la merenda si prepara solo a casa, i vestiti sono un po’ di meno, magari l’abbonamento a Sky non appare più indispensabile, le vacanze sono molto più sobrie. Però si acquista una libertà incredibile: la libertà di esserci quando c’è bisogno di noi. Viviamo immersi in uno stile di vita che ci induce a consumare sicuramente molto oltre il necessario, oltre il minimo indispensabile sicuramente.
Chissà, forse ci possiamo fare qualche domanda in più. A cosa ci stiamo dedicando? Là dove è il tuo tesoro, lì sarà il tuo cuore. Vale la pena correre come matte dalla mattina alla sera, chiedendo a qualcun altro di custodire i nostri tesori più cari?
Io guardando i visi di quelle spose e madri contente, allegre, non continuamente in lotta con l’orologio, col tempo che non basta, coi sensi di colpa, ho visto dei visi allegri e senza rimpianti.
Credo che la questione sia molto complessa, e credo che le variabili siano moltissime: quali sono le spese fisse (un mutuo?), quale lo stipendio dell’uomo, quale l’orario di assenza da casa e anche che tipo di contributo ci permette di dare al regno dei cieli in terra il nostro lavoro, quale l’età dei figli. Ma ho visto un don Stefano convintissimo nell’incoraggiare la scelta di rimanere a casa (a ogni figlio la parrocchia regala 2000 euro alla nascita!), e ho visto felici quelle che si sono fidate di lui. Gli uomini, dice il don, all’inizio hanno paura, preoccupati come sono dell’aspetto economico, ma se la donna è capace di far capire loro che per lei è importante, che ne ha bisogno, che sarà una scelta per il bene di tutta la famiglia, dell’unione, lui si butta.
Sarebbe bello che noi donne per prime cominciassimo a riconsiderare il dogma del lavoro. Non è indiscutibile come un dogma. È una possibilità. Sarebbe bello, lo dico sempre, per esempio che a noi donne venisse data la possibilità di stare a casa negli anni dei figli piccoli, e poi di lavorare quando a casa se la cavano alla grande senza di noi. Magari mettendo a disposizione di altri quello che abbiamo imparato facendo le mamme (gestire guerre nucleari, guidare carrarmati stirando, paracadutarci nella giungla perché chi è sopravvissuto alle coliche notturne è pronto a qualsiasi privazione).
Insomma, il discorso aprirebbe finestre infinite. Io volevo solo dire che forse non è tutto così scontato e ovvio e inevitabile come il pensiero unico ci vuol far credere. E che quando qualcuno si fida del Signore, succedono cose grosse. Se le temete, state alla larga dalla parrocchia di Staggia.
Ma vorrei soffermarmi su un altro fatto, e cioè che ci sono molte, davvero molte donne, che hanno deciso di lasciare il lavoro e mettersi a fare le mogli e le mamme a tempo pieno. Non voglio dire con questo che segue il Signore solo una donna che non lavora (tanto lo so che qualcuno la leggerà così), perché io sarei la prima a non rientrare nel canone.
Voglio dire che segue il Signore chi non decide come se la sua vita fosse sua, e quindi la consegna, perché neppure il tempo è nostro. Queste donne, incoraggiate da don Stefano, che ha una moltitudine di figli spirituali (ho visto la sua agenda con gli appuntamenti per i colloqui e mi chiedo come sopravviva), hanno deciso che il tempo per le relazioni, prima di tutto la famiglia, era più importante di tutto il resto. E si sono buttate. C’è quella che ha quattro figli piccoli, e quella che non ne ha, quella che ne ha uno malato particolarmente bisognoso di cure, quella che li ha grandi. In comune, la decisione ferma di non dare via il proprio tempo solo in cambio di denaro, perché di denaro forse ne serve meno di quanto pensiamo.
La prima obiezione che a tutte noi verrebbe, anzi, viene, è: la nostra famiglia non se lo può permettere. Io ho provato a fare questo esercizio, con don Stefano, a cena. Eravamo ospiti di una meravigliosa coppia che i figli non li ha avuti, ma lei ha lo stesso deciso di lasciare il lavoro per avere più tempo per la famiglia (una coppia aperta alla vita E’ una famiglia), per gli amici, le persone bisognose, la casa, la parrocchia. Raccontava che è rinata da quando ha fatto questo salto nel vuoto, perché di salto si tratta. Rinunci a uno stipendio fisso e sicuro. Devi fare delle scelte diverse. Devi fidarti. Devi rinunciare a tenere tutto sotto controllo.
Parlando con loro e analizzando tutte le voci di spesa, mi era sempre più chiaro che io considero necessario e imprescindibile ciò che forse non lo è. Se i soldi si dimezzano si adotta tutto un altro stile di vita: forse, che so, non si va più al bar, la merenda si prepara solo a casa, i vestiti sono un po’ di meno, magari l’abbonamento a Sky non appare più indispensabile, le vacanze sono molto più sobrie. Però si acquista una libertà incredibile: la libertà di esserci quando c’è bisogno di noi. Viviamo immersi in uno stile di vita che ci induce a consumare sicuramente molto oltre il necessario, oltre il minimo indispensabile sicuramente.
Chissà, forse ci possiamo fare qualche domanda in più. A cosa ci stiamo dedicando? Là dove è il tuo tesoro, lì sarà il tuo cuore. Vale la pena correre come matte dalla mattina alla sera, chiedendo a qualcun altro di custodire i nostri tesori più cari?
Io guardando i visi di quelle spose e madri contente, allegre, non continuamente in lotta con l’orologio, col tempo che non basta, coi sensi di colpa, ho visto dei visi allegri e senza rimpianti.
Credo che la questione sia molto complessa, e credo che le variabili siano moltissime: quali sono le spese fisse (un mutuo?), quale lo stipendio dell’uomo, quale l’orario di assenza da casa e anche che tipo di contributo ci permette di dare al regno dei cieli in terra il nostro lavoro, quale l’età dei figli. Ma ho visto un don Stefano convintissimo nell’incoraggiare la scelta di rimanere a casa (a ogni figlio la parrocchia regala 2000 euro alla nascita!), e ho visto felici quelle che si sono fidate di lui. Gli uomini, dice il don, all’inizio hanno paura, preoccupati come sono dell’aspetto economico, ma se la donna è capace di far capire loro che per lei è importante, che ne ha bisogno, che sarà una scelta per il bene di tutta la famiglia, dell’unione, lui si butta.
Sarebbe bello che noi donne per prime cominciassimo a riconsiderare il dogma del lavoro. Non è indiscutibile come un dogma. È una possibilità. Sarebbe bello, lo dico sempre, per esempio che a noi donne venisse data la possibilità di stare a casa negli anni dei figli piccoli, e poi di lavorare quando a casa se la cavano alla grande senza di noi. Magari mettendo a disposizione di altri quello che abbiamo imparato facendo le mamme (gestire guerre nucleari, guidare carrarmati stirando, paracadutarci nella giungla perché chi è sopravvissuto alle coliche notturne è pronto a qualsiasi privazione).
Insomma, il discorso aprirebbe finestre infinite. Io volevo solo dire che forse non è tutto così scontato e ovvio e inevitabile come il pensiero unico ci vuol far credere. E che quando qualcuno si fida del Signore, succedono cose grosse. Se le temete, state alla larga dalla parrocchia di Staggia.
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