Ha 42 anni ma ne dimostra di meno. Non smette mai di sorridere, nonostante i tanti guai passati. L’ultimo Natale l’ha trascorso nel ramo femminile del penitenziario di Toronto. L’accusa? Prega per le donne che stanno per abortire e, soprattutto, cerca di dissuaderle, spesso con successo.
Mary Wagner è una cattolica canadese che ha rinunciato a ogni ambizione personale, per un’unica causa: salvare tanti piccoli innocenti da morte sicura. Per lei è una vera e propria missione: ha iniziato intorno ai vent’anni, pregando per tutte le vite nascenti. Poi ha realizzato che, alla contemplazione dovevano accompagnarsi l’azione e l’apostolato. Sfidando i pregiudizi libertari, ha così iniziato a recarsi nelle cliniche abortiste, pregando lì, davanti a tanti sguardi ostili, e confrontandosi con tante donne in procinto di compiere un gesto disperato.
Questa peculiarissima vocazione le è nata in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù di Denver del 1993, quando San Giovanni Paolo II tuonò contro l’aborto e l’eutanasia, invitando i giovani a diventare testimoni attivi del diritto alla vita, dal concepimento alla morte naturale.
Non è la prima volta che la Wagner finisce dietro le sbarre. In altre sette occasioni, nell’arco di sedici anni, l’accusa è sempre stata la stessa: disobbedienza e violazione dello “spazio di protezione” delle cliniche. Nel processo a suo carico dello scorso anno ha rinunciato all’avvocato in sua difesa ed è rimasta in silenzio per tutta l’udienza.
L’ultimo arresto lo ha subito in una data incredibilmente provvidenziale: 12 dicembre, festa della Vergine di Guadalupe, patrona delle Americhe e protettrice dei nascituri. Poco prima l’attivista pro life era entrata nel Bloor West Village Women’s Center, nota clinica abortiva di Toronto, dove già era finita in manette lo scorso anno, e, come sempre, si era avvicinata a delle pazienti porgendo loro mazzi di rose bianche e rosse legati ad una Medaglia Miracolosa e ad un biglietto da visita di un consultorio, per ottenere aiuto e portare avanti la gravidanza.
In una recente lettera al personale delle cliniche abortive, la Wagner fa notare che “la storia ci dà tanti esempi di come la parola ‘legalità’ non sempre sia sinonimo di giustizia”. E cita i gerarchi nazisti che, durante il processo di Norimberga, si difendevano dicendo: “Io ho solo adempiuto la legge” e, ciononostante, erano stati condannati.
“Ognuno di noi – scrive la pro life canadese – è tenuto ad agire secondo la propria coscienza rettamente formata, anche se questo significa andare controcorrente; anche se questo significa sacrificio e disagio”.
Secondo quanto testimoniano le persone che le sono più vicine, a Mary non pesa tanto la solitudine del carcere quanto l’impossibilità di pregare la Liturgia delle Ore, non poter seguire la messa quotidiana e ricevere la Santa Comunione, non poter adorare il Santissimo Sacramento, non avere nemmeno a disposizione un cappellano per la confessione.
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