ho deciso di aggrapparmi a quel piccolo 1 per cento
- Il muso dell’aereo del sottotenente della Marina militare Lorenzo Pietrini, 28 anni, è tirato a lucido e riflette i colori del cielo. Quando Lorenzo vide per la prima volta il muso di un aereo, era solo un bimbo che accompagnava la mamma al lavoro in aeroporto: «È stato allora che ho immaginato che da grande gli aerei li avrei pilotati io», racconta il pilota a tempi.it. Per arrivare a realizzare quel sogno, Lorenzo però ha dovuto vivere due vite. La prima, simile a quella di tanti altri giovani come lui, si è interrotta bruscamente il 19 maggio 2012, quando «a causa di un incidente, sono rimasto paralizzato dal collo in giù. I medici mi dissero che al 99 per cento non avrei più potuto riprendere la mia vita e tanto meno pilotare un aereo». A centrare l’1 per cento di speranza residua è stato l’amore di Lorenzo per la vita e per il volo (e forse anche per i violini).
- L’ADDESTRAMENTO E L’INCIDENTE. Lorenzo da una settimana è in forza al 41esimo Stormo interforze (Marina e Aeronautica) nella base americana di Sigonella. Ricorda: «Volare era il mio sogno da bambino, una passione che è maturata negli anni. Alla fine del liceo, ho proseguito in Accademia e sono entrato in Marina militare nel 2005. Nel 2010 finalmente ho fatto un corso specifico di pre-pilotaggio, e nel 2011, a 25 anni, come tutti i piloti italiani, mi hanno trasferito alla scuola di volo in Florida. Lì ho preso la prima abilitazione per guidare i T6B, dopo di che sono stato trasferito in una base del Texas del Sud per guidare il T44C, un bimotore. Sarei dovuto rimanere otto mesi, ma un fatto mi ha cambiato la vita. Ho avuto un incidente molto grave: era il 19 maggio 2012, ho riportato la frattura delle prime due vertebre cervicali, proprio quelle che controllano l’80 per cento dei movimenti del collo». È così che è finita la prima vita di Pietrini, per lui cominciava una nuova esistenza.
- L’1 PER CENTO DI PROBABILITÀ. Lontano da casa e dalla famiglia, lui che non stava mai fermo si è ritrovato paralizzato in un letto d’ospedale. «I medici mi hanno messo davanti due strade: avrei potuto subire un intervento più semplice e sarei stato dimesso dopo due mesi, ma rinunciando per sempre all’80 per cento dei movimenti del mio corpo; oppure avrei potuto scegliere di farmi impiantare un halo drace, un busto toracico con quattro sbarre di metallo e un anello imbullonato alla testa, per tenerla ferma sul mio corpo. Chiesi subito: “E in questo modo quando potrò tornare a volare?”. Mi risposero che avevo l’1 per cento di possibilità di tornare alla vita normale. Ero circondato da amici e colleghi, mi hanno dato la forza di riprendere. Ma in quel momento, paralizzato completamente dal collo in giù, mi sono sentito come una corda di violino spezzata».
- Pietrini durante la terapia con l’halo brace
- LA CORDA DEL VIOLINO. Lorenzo non era riuscito nemmeno a dare la notizia ai suoi genitori, li hanno avvertiti i colleghi. La madre si è imbarcata sul primo volo possibile. Lei non sapeva nulla della storia della “corda di violino”, eppure, ricorda Lorenzo, «quando è entrata in ospedale, con il suo solito sorriso sulle labbra, mi ha dato un foglietto: guarda caso, c’era scritta la storia di un famoso violinista, Itzhak Pearlman, che durante un concerto a New York, nel 1995, spezzò una corda del suo violino, ma lasciò paralizzato tutto l’auditorium continuando a suonare una musica meravigliosa. Il pubblico lo travolse di applausi. Ai giornalisti che gli chiedevano come avesse fatto, Pearlman spiegò: “Non importa quante corde ci siano a disposizione: il nostro compito è scegliere come far suonare quel violino”. Allora ho deciso di aggrapparmi a quel piccolo 1 per cento di possibilità di farcela. Io sono sempre stato un po’ caparbio, e ho sempre cercato di fare del mio meglio. Ma il sostegno della mia famiglia è stata fondamentale, così come quello della mia ragazza, che è un medico ortopedico-traumatologo originaria dei Paesi Baschi. E poi i colleghi e gli amici, e la Marina, che mi ha sempre aspettato. Il busto per me è stata una gabbia dentro cui ho abitato per sette lunghi mesi. Non potevo nemmeno stare sdraiato sul letto, dovevo dormire in una sedia coi cuscini. Non potevo fare la doccia, ho perso dodici chili perché non avevo fame. Anche a livello mentale è stata tosta. E dopo tutto non sapevo nemmeno con certezza come sarebbe stata dopo».
- LA PROMESSA AL NONNO. Fondamentale per Lorenzo è stata la compagnia del nonno. «Mio nonno – racconta il pilota – è stato l’esempio della mia vita. Era un contadino toscano, molto umile. Allo scoppio della Seconda Guerra mondiale aveva 19 anni e fu arruolato. Arrestato dopo un mese, fu condotto in un campo di lavoro in Scozia. Dopo la fine della guerra dovette restare là un altro anno per pagarsi con il lavoro il biglietto per tornare a casa. Ce l’ha fatta pur fra mille sacrifici. Nel 2011, quando sono partito per gli Stati uniti, mi ha detto: “Io su un “apparecchio” non ci sono mai salito. Ma con te, ci verrei a volare”. E gli ho promesso che avrei volato con lui. Mio nonno purtroppo intanto è morto, ma durante la mia malattia ho sempre sentito la sua vicinanza, mi ha dato la forza di recuperare. E soprattutto mi ha insegnato l’importanza dell’umiltà». La “liberazione” per Pietrini è arrivata a dicembre 2012: finalmente senza la “gabbia”, «sono riuscito a ritornare in Italia». Dopo la lunga fisioterapia, Lorenzo è stato destinato a lavorare come ufficiale di sottordine all’Accademia della Marina per gli allievi. «È stato un periodo importante per me, perché ai ragazzi ho potuto in qualche modo “regalare” anche la mia esperienza, facendo scoprire loro cose che un ragazzo di 25 anni difficilmente pensa o vive. L’anno scorso poi ho avuto modo di vivere un’altra esperienza fondamentale: mi hanno destinato all’operazione Mare Nostrum, e lì ho incontrato persone che da un giorno all’altro avevano perduto tutta la loro vita, come in particolare succedeva con i profughi siriani».
- Pietrini oggi: a bordo di un T 44 C
- TORNARE A DECOLLARE.
- «Finalmente a maggio 2014 mi hanno dichiarato idoneo a ritornare a volare, e sono tornato in Texas per completare la formazione e prendere il brevetto. A dicembre mi sono finalmente visto appuntare sul petto le “Wings of Golds”, davvero sudatissime. E così da una settimana eccomi qui a Sigonella, dove volo su un aereo-pattugliatore, l’Atlantic, che si occupa di missioni antisommergibili ed è impiegato anche per la ricerca e il soccorso in mare. Il 21 gennaio, quando mi sono presentato a Sigonella, mi sono sentito orgoglioso, immaginate con quale sorriso ho varcato i cancelli di ingresso. Mi è tornato in mente il violinista Pearlman: importa solo come fai suonare il tuo violino. Il mio, la mia vita, ho deciso di farlo suonare nella maniera più soave».
Leggi di Più: Storia del pilota paralizzato e tornato a volare | Tempi.it
Follow us: @Tempi_it on Twitter | tempi.it on Facebook
Nessun commento:
Posta un commento