martedì 10 febbraio 2015

la bottega del vasaio - chiara gamberale

Si conclude con questo post la serie: «Un libro alla settimana». Gli altri consigli di lettura puoi trovarli qui: «Dio non è quel che credi» «Le sante dello scandalo» «Mai stati meglio. Guarire da ogni malanno con la storia»

Chiara-Gamberale
Chi è Chiara Gamberale
Volto noto che non ha bisogno di grandi presentazioni, è giornalista, scrittrice, conduttrice radiofonica e televisiva. Pubblica il primo romanzo Una vita sottile a soli diciotto anni al quale ne seguono poi numerosi altri, diversi dei quali veri successi editoriali. Vince il Campiello nel 2008 con La zona cieca. L’ultimo suo libro Avrò cura di te è scritto a quattro mani con Massimo Gramellini. I dettagli su Wikipedia.
Che libro è «Per dieci minuti»
È un diario, forse non proprio nel senso classico dell’espressione, ma nella sostanza sì.
«Per dieci minuti» è il racconto di un mese circa di vita della nostra autrice, o meglio degli effetti diretti e indiretti che un gioco terapeutico inventato dalla sua analista scatena sulla sua esistenza, scossa da alcuni grossi cambiamenti imprevisti e indesiderati.
La descrizione degli esercizi quotidiani scandisce i capitoli, intrecciandosi con il racconto dell’evolversi delle vicende che hanno scombussolato gli equilibri di Chiara.
Ben scritto. Rapido, coinvolgente, immediato. Non è una pietra miliare della letteratura italiana, direi una lettura da ombrellone, ma come tutte le narrazioni di esperienze reali parla con molta efficacia a chi lo legge.
Una lettura facile, godibile, con qualche spunto di riflessione.

Abitavo nella stessa casa di campagna. Ero sposata da 10 anni, da otto tenevo una rubrica per un settimanale, “Pranzi della domenica”.
In meno di un anno, dall’ottobre del 2011 a settembre del 2012, mio marito aveva insistito per traslocare in città, poi era partito per fare un master a Dublino e il giorno prima di tornare aveva telefonato per annunciare che no, non sarebbe tornato, ma si, stava bene, e se per un po’ non l’avessi più sentito non dovevo preoccuparmi: anzi, il punto era proprio che forse aveva scoperto di stare meglio senza di me.
Il direttore del settimanale, intanto, non era stato altrettanto sensibile e senza dirmi una parola aveva sostituito la mia rubrica con la posta del cuore di una certa Tania Melodia, vincitrice morale dell’ultima edizione del Grande Fratello.
L’unica a non avercela più, una vita, ero io. Al suo posto una massa informe, sfilacciata, ferita, che come unico perno su cui girare aveva lo smarrimento.
Andavo a letto e l’unico pensiero prima di addormentarmi era la speranza di non risvegliarmi. «E allora, se non c’è da scrivere, se non c’è più da vivere, se non c’è più una famiglia che, ogni settimana, quantomeno mi dia l’illusione di essere la mia, che ci sto a fare io, al mondo?» ripetevo in continuazione ogni lunedì alla mia analista, la dottoressa T.
Che un giorno di dicembre – ispirata da Rudolf Steiner ed esasperata da me -, alla fine di una seduta, mi ha buttato lì, intensa e un po’ magica com’è: «Le va di fare un gioco?».
Ecco l’esergo del libro, semplice e immediato: una vita intera va per aria e non ci si raccapezza più.
Da che parte si ricomincia a rimettersi in piedi quando non si avverte la forza per farlo e soprattutto quando si ha l’impressione che non esista nulla in grado di stimolare le forze residue?
Quando sembra di aver già vissuto tutto ciò che valeva la pena di esserlo, quando si crede di aver già dato il meglio che si poteva offrire, quando si pensa di aver perduto le sicurezze che facevano da collante all’esistenza che si fa?
«Per un mese, a partire da subito, per dieci minuti al giorno, faccia una cosa che non ha mai fatto»
Così la dottoressa T. a Chiara, la quale, non avendo nulla da perdere, gioca sul serio.
Cucina pan-cakes, cammina all’indietro per la città, prende lezioni di hip-hop, suona un violino, scrive “Ti amo” a un numero a caso della rubrica del telefono, costruisce lanterne volanti, ruba uno yogurt, ricama a punto croce e tanto altro per un mese intero.
Di esercizio in esercizio, di novità in novità, di cambiamento in cambiamento fino ad arrivare ad alcune scelte di grande portata per la sua vita e ad alcune prese di consapevolezza fondamentali.
L’ultimo giorno di esercizio, alla dottoressa T. Chiara confida:
«Mi ha stupefatto scoprire che sono infiniti i modi in cui si possono riempire dieci minuti, se ci si concentra per farlo.
Ma mi ha stupefatto ancora di più scoprire quello che c’era già. Per esempio la Città dei Ragazzi. Mia madre. Gianpietro. Elisa18. Giada. Annalisa. Gli ottantanove invitati alla mia festa di Natale. I negozi a un passo da dove abito. Il romanzo che non credevo di avere dentro ma che evidentemente c’era se ora non riesco a smettere di scrivere. Insomma, dottoressa. Non ho più un amore. Non ho più una casa che sento davvero mia, non ho più un lavoro che mi piaceva. Non ho un perno: ecco. Ma la vita che gira attorno a questo perno che non c’è, forse, non è poi così male.»

Per Dieci Minuti
Quella raccontata in «Per dieci minuti» è una piccola storia di rinascita e, come tutte le risurrezioni, incontrarla e ascoltarla fa bene all’anima.
Inoltre è una storia molto normale e feriale, per certi versi anche banale, che assomiglia moltissimo alle vicende di ordinaria fatica delle vite di tanti.
Dentro questa normalità si riescono a raccogliere non pochi spunti di riflessione e di ripensamento, semplici, concreti e intrisi di pragmatismo come tutto il racconto della Gamberale.
Ma c’è un elemento che mi ha colpito di tutta la dinamica di discesa e risalita narrata dall’autrice, che trovo molto provocante e anche in sintonia con la spiritualità cristiana.
La salvezza di Chiara non viene banalmente dal cambiamento ma dal fatto che il gioco, con il suo spingere alla novità, costringe l’autrice a uscire, a compiere un vero e proprio esodo da se stessa nella direzione di ciò che stava al di fuori delle quattro mura del suo ripiegamento.
Soltanto andando fuori di sè e rimanendo fuori di sè va incontro alla graduale guarigione dal dolore che l’aveva toccata. E non è un caso che la conclusione dell’esercizio coincida con la presa di consapevolezza di una quantità di presenze altre capaci di dare consistenza alla sua vita.
Vivere «in uscita», restare in una costante condizione di esodo verso l’altro, protendersi da sè a ciò che sta oltre sè è l’unica via di umanizzazione reale e, certamente, anche di santificazione.
«Per dieci minuti» lo racconta a suo modo e mi pare sia la forza del libro.
E anche un buon programma per il 2015 e oltre.

http://www.labottegadelvasaio.net/2015/01/08/per-dieci-minuti-chiara-gamberale/?fb_ref=Default

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