“Davvero tutto è buono e splendido perché tutto è verità”. I fratelli Karamazov Fedor Dostoevskij
venerdì 30 ottobre 2015
giovedì 29 ottobre 2015
mercoledì 28 ottobre 2015
mons. Kurtz con un fratello un po’ speciale
cosa vorrei che ci fosse scritto sulla mia lapide?
Non che non sono mancato a qualche riunione…
Il dono più grande, la vita di mons. Kurtz con un fratello un po’ speciale
La disabilità di George e la sua semplicità: “Ha rallegrato nostra vita, da lui ho imparato a chiedere aiuto e ad accogliere tutti”
“Quando qualcuno mi chiede come è stato vivere con mio fratello George, per prima cosa parlo delle cose che lui ha dato a me”. Chi parla è monsignor Joseph Edward Kurtz, vescovo di Louisville, presidente della Conferenza episcopale americana. Suo fratello, cinque anni più grande, era affetto da sindrome di Down. Hanno sempre vissuto insieme, prima in famiglia e poi, dopo la morte dei genitori, è stato lui a occuparsi di George, anche come tutore legale. “Ha avuto davvero una grande influenza sull’atmosfera calorosa della nostra famiglia, sulla nostra apertura e capacità di accogliere altre persone”. L’arcivescovo viene da una piccola cittadina mineraria del Nord-Est della Pennsylvania: “Direi che la mia famiglia è molto calorosa. Sono nato in una famiglia di cinque figli e io sono il più piccolo”, “the baby”. La sorella più grande ha 17 anni in più “e quando ho cominciato a capire qualcosa della vita e di ciò che avevo intorno, lei era già sposata”. Quello più vicino, come età, è proprio George: “Penso che la presenza di mio fratello nella nostra famiglia, avendo la sindrome di Down, sia stata una opportunità e anche una sfida per mia mamma e mio babbo”.
Crescere lui “è stata per me una occasione per imparare ad accogliere persone disabili o che necessitavano di un aiuto particolare. C’è un posto speciale nel mio cuore per le famiglie in cui ci sono persone con disabilità”. La vita con George ha segnato da subito l’esperienza di monsignor Kurtz come bambino, come uomo, e poi come sacerdote e vescovo. “Ho imparato molto velocemente che quando qualcuno ha una disabilità, non significa che non abbia magari un dono ancor più grande. Un episodio che ama raccontare è quando i due fratelli raggiungevamo una strada molto trafficata, che attraversava la città: “Lui stendeva la sua mano perché la prendessi, perché non voleva attraversare la strada da solo. Gli adulti, che vogliono essere indipendenti, hanno bisogno di più tempo per chiedere aiuto. Invece vedendo George che la faceva facile, anche tutti gli altri intorno poi pensavano: forse anche io potrei chiedere aiuto a qualcuno. Dunque lui veramente cambiava in meglio tutto quello che accadeva nella nostra famiglia e in tutto il nostro paese, tutti conoscevano George”.
Monsignor Kurtz e il fratello hanno vissuto insieme in due case parrocchiali e poi nella casa del vescovo per dodici anni, dopo la morte dei genitori. “Non riuscivo a immaginare che mio fratello e io avremmo vissuto in una casa parrocchiale da soli, senza coinvolgere altre persone, infatti non è mai successo perché abbiamo vissuto con altri preti, fino a sei nell’ultima parrocchia. A proposito di famiglia! Mio fratello ha trasformato la vita della casa parrocchiale in una vita molto più familiare: ha dato a ciascuno un soprannome, tutte quelle piccole cose, “prese in giro”, che succedono in una famiglia. È stato veramente salutare per la nostra vita”. George è morto nel 2002, aveva quasi 61 anni, e come succede spesso alle persone affette da sindrome di Down aveva cominciato a sviluppare disturbi di Alzheimer. “Aveva momenti di confusione negli ultimi anni della sua vita, ma ha vissuto una vita piena e bella e ha avuto una grande influenza su tantissime persone”.
Poi ci sono le tre sorelle più grandi, tutte sposate e con figli. “E così ho potuto, vedere, osservare, come zio, cosa significa crescere per i bambini e per le famiglie attraverso esperienze come la morte, nella nostra famiglia abbiamo sperimentato anche il fallimento di un matrimonio, molte situazioni a cui penso che un vescovo abbia bisogno di essere vicino”. Per monsignor Kurtz queste situazioni sono state “la più grande lezione”, un aiuto per accogliere altre persone. Come vescovo, “la sfida più grande è che le persone reagiscono alla frenesia della vita, ma non fissano le loro priorità. Ho appena letto un libro di David Brooks, ‘The Road to Character’ in cui parla delle qualità personali mostrate nei curriculum e di quelle illustrate negli elogi funebri. Dobbiamo pensare a ciò per cui vogliamo essere ricordati. Anche in famiglia, iniziare a pensare: qual è la cosa più importante? Come ha detto qualcuno: cosa vorrei che ci fosse scritto sulla mia lapide? Non che non sono mancato a qualche riunione… qualcosa di un po’ più profondo, qualcosa che abbia a che fare con la mia persona e l’impegno nella costruzione della comunità. Spero che il Sinodo, e il mio ministero come vescovo, incoraggi le coppie e le famiglie che ascoltano”.
http://it.aleteia.org/2015/10/22/il-dono-piu-grande-la-vita-di-mons-kurtz-con-un-fratello-un-po-speciale/
lunedì 26 ottobre 2015
IL BON TON...CON DIO NON SERVE...ANZI E' DELETERIO
Per fare l’incontro con il Signore è necessario andare oltre le regole del bon ton. Non solo in questo vangelo, ma in altre occasioni nei vangeli c’è qualcuno che si fa portavoce del comfort di Gesù: «Non disturbare il Maestro». Il cieco Bartimeo ci vede chiaro: il Maestro vuole essere «disturbato», anzi, se vogliamo essere più precisi: ciò che disturba il Maestro è far tacere il grido del nostro cuore. Egli, in un’altra occasione, rimprovera ai discepoli il fatto che non hanno chiesto niente nel suo nome. Il grido di Bartimeo riecheggia il grido di Dio, il grido di Gesù che vuole donarsi, vuole illuminare.
MEDJUGORJE: 25 OTTOBRE 2015
+++ MESSAGGIO DELLA REGINA DELLA PACE
A MARIJA DI MEDJUGORJE: 25 OTTOBRE 2015 +++
A MARIJA DI MEDJUGORJE: 25 OTTOBRE 2015 +++
"Cari figli!
La mia preghiera anche oggi è per tutti voi,soprattutto per tutti coloro che sono diventati duri di cuore alla mia chiamata.
Vivete in giorni di grazia e non siete coscienti dei doni che Dio vi da attraverso la mia presenza.
Figlioli, decidetevi anche oggi per la santità e prendete l'esempio dei santi di questi tempi e vedrete che la santità
è realtà per tutti voi.
Figlioli, gioite nell'amore perché agli occhi di Dio siete irripetibili e insostituibili perché siete la gioia di Dio in questo mondo.
Testimoniate la pace, la preghiera e l'amore.
Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
La mia preghiera anche oggi è per tutti voi,soprattutto per tutti coloro che sono diventati duri di cuore alla mia chiamata.
Vivete in giorni di grazia e non siete coscienti dei doni che Dio vi da attraverso la mia presenza.
Figlioli, decidetevi anche oggi per la santità e prendete l'esempio dei santi di questi tempi e vedrete che la santità
è realtà per tutti voi.
Figlioli, gioite nell'amore perché agli occhi di Dio siete irripetibili e insostituibili perché siete la gioia di Dio in questo mondo.
Testimoniate la pace, la preghiera e l'amore.
Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
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Mensaje, 25. octubre 2015
Mensaje, 25. octubre 2015
“Queridos hijos! Mi oración también hoy es para todos ustedes, especialmente para aquellos que se han vuelto duros de corazón a mi llamado. Ustedes viven días de gracia y no son conscientes de los dones que Dios les da a través de mi presencia. Hijitos, decídanse también hoy por la santidad y tomen el ejemplo de los santos de estos tiempos y verán que la santidad es una realidad para todos ustedes. Regocíjense en el amor, hijitos, porque ustedes son únicos e insustituibles ante los ojos de Dios, porque son la alegría de Dios en este mundo. Testimonien la paz, la oración y el amor. Gracias por haber respondido a mi llamado."
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Botschaft, 25. Oktober 2015
„Liebe Kinder! Mein Gebet ist auch heute für euch alle, vor allem für all diejenigen, die hartherzig für meinen Ruf geworden sind. Ihr lebt in den Tagen der Gnade und seid euch der Gaben nicht bewusst, die Gott euch durch meine Anwesenheit gibt. Meine lieben Kinder, entscheidet euch auch heute für die Heiligkeit und nehmt das Beispiel der Heiligen der heutigen Zeit, und ihr werdet sehen, dass die Heiligkeit für euch alle Wirklichkeit ist. Freut euch in der Liebe, meine lieben Kinder, dass ihr in den Augen Gottes nicht wiederholbar und unverwechselbar seid, weil ihr Gottes Freude in dieser Welt seid. Bezeugt den Frieden, das Gebet und die Liebe. Danke, dass ihr meinem Ruf gefolgt seid!“
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Message, 25. octobre 2015
« Chers enfants, ma prière, aujourd‘hui encore, est pour vous tous, particulièrement pour ceux qui sont devenus durs de cœur envers mon appel. Vous vivez dans un temps de grâce et vous n’êtes pas conscients des dons que Dieu vous donne à travers ma présence. Petits enfants, décidez-vous encore aujourd‘hui pour la sainteté, prenez exemple sur les saints de ce temps et vous verrez que la sainteté est une réalité pour vous tous. Réjouissez-vous dans l’Amour, petits enfants, aux yeux de Dieu vous êtes ‘non répétables’ et irremplaçables, car vous êtes la joie de Dieu en ce monde. Témoignez de la paix, de la prière et de l’amour. Mercid’avoir répondu à mon appel.»
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Poruka, 25. listopad 2015
„Draga djeco! Moja molitva i danas je za sve vas, posebno za sve one koji su postali tvrda srca mojemu pozivu. Živite u danima milosti i niste svjesni darova koje vam Bog daje preko moje prisutnosti. Dječice, odlučite se i danas za svetost i uzmite primjer svetih današnjeg vremena i vidjet ćete da je svetost stvarnost za sve vas. Radujte se u ljubavi, dječice, da ste u očima Božjim neponovljivi i nezamjenljivi, jer ste Božja radost u ovom svijetu. Svjedočite mir, molitvu i ljubav. Hvala vam što ste se odazvali mome pozivu.“
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sabato 24 ottobre 2015
Papa Francesco a don Giancarlo Conte: “Che bella Piacenza!"
“Gli ho detto che sono di Piacenza e lui ha sorriso dicendo che bella Piacenza – racconta don Conte – forse non perché la conosce ma magari ne ha sentito parlare da monsignor Corbellini o dal vescovo Ambrosio durante l’incontro dello scorso anno con i nostri giovani. Poi ci siamo scambiati alcuni pensieri spirituali e gli ho consegnato i libri che ho scritto dicendogli che se di sera non riesce a dormire magari ne può leggere un pezzo per addormentarsi, allora lui mi ha preso le braccia e ha sorriso. Quando gli ho detto che festeggio i 60 anni di sacerdozio mi ha risposto che il Signore deve avere una bella pazienza per avermi sopportato tutto quel tempo. Così abbiamo riso insieme”.Pochi minuti non bastano per dire cose importanti però “sono sufficienti per apprezzarne l’umanità, si sente che ha stima e ti vuole bene. Ti guarda con affetto e ti incoraggia” ha concluso il sacerdote.
giovedì 22 ottobre 2015
Come se dovessimo morire oggi!!!
...MA SE DOVESSIMO MORIRE OGGI
...CI CONVERREBBE AGGIUSTARE
ANCHE DI POCO LA NOSTRA COSCIENZA
PER I NOSTRI INTERESSI??
di Tiziana Menotti
Due anni fa mi trovavo in vacanza in Repubblica Ceca. Come sempre decisi di fare il solito giro delle librerie di Praga alla ricerca di un testo che mi ispirasse. Fu allora che mi imbattei in questo libro intitolato Come se dovessimo morire oggi dello scrittore, poeta e giornalista ceco Miloš Doležal, che nel 2012, anno della sua pubblicazione, era divenuto in breve un best-seller, aveva ottenuto un premio prestigioso dalla stampa e, cosa importantissima, aveva indotto la Chiesa ceca a iniziare il processo di beatificazione del suo protagonista, il sacerdote e martire don Josef Toufar. Ma molto più del suo pedigree di tutto riguardo mi colpì l’immagine di copertina: la fotografia di un giovane sacerdote, da cui trasparivano mitezza e bontà. E oltretutto il suo nome, Josef Toufar, mi era familiare, sapevo infatti che era una delle innumerevoli vittime del regime comunista cecoslovacco. Decisi di tradurlo e lo scorso 25 febbraio, esattamente nel sessantacinquesimo anniversario della sua morte, sono riuscita a pubblicarlo.
Il libro ripercorre la vita del sacerdote, nativo di una regione della Moravia e proveniente da una famiglia di agricoltori. Fino all’età di ventisei anni fece il contadino, non potendo, per volontà del padre, proseguire gli studi e diventare sacerdote. Alla morte del genitore, decise di intraprendere la strada che la sua vocazione gli indicava: dodici anni di studio per essere ordinato sacerdote, nel 1940, all’età di 38 anni.
Divenuto parroco del villaggio di Číhošt’, l’11 dicembre 1949, terza domenica di Avvento, avvenne il cosiddetto “miracolo”: durante l’omelia, la croce cominciò a muoversi da destra a sinistra, quindi si fermò leggermente inclinata in avanti. Toufar, essendo rivolto verso i fedeli, non si accorse di nulla.
Erano gli anni terribili del regime comunista, in lotta contro la Chiesa che non voleva sottomettersi alla dittatura e contro il nemico-sacerdote. Dopo qualche settimana la polizia segreta, venuta a sapere del “miracolo” e dell’enorme afflusso di fedeli nel villaggio per vedere la croce, arrestò don Toufar e cercò di estorcergli con la violenza la confessione di essere stato lui, un semplice parroco di campagna, a organizzare il “miracolo” in quanto, come agente del Vaticano, aveva obbedito a un preciso ordine dei suoi superiori: organizzare un atto sovversivo contro la repubblica democratico-popolare. Si arrivò persino a registrare nella chiesa di Číhošt’ un filmato propagandistico, che venne poi distribuito in tutta la repubblica, in cui lo si vede, ormai quasi agonizzante a causa delle percosse subite, protagonista di una sorta di replica dell’evento dell’11 dicembre, dove la croce viene mossa da un congegno montato dalla StB. Il sacerdote morirà il giorno seguente, il 25 febbraio 1950, senza aver confessato alcuna “verità” voluta dal regime, preferendo immolare se stesso per amore e fedeltà a Cristo e alla Chiesa.
Il corpo di don Toufar fu seppellito frettolosamente in una fossa comune di un cimitero di Praga, dove è rimasto per ben 65 anni. Lo scorso novembre le sue spoglie sono state finalmente ritrovate e il 12 luglio di quest’anno dignitosamente e cristianamente tumulate, per suo espresso desiderio, nella chiesetta del piccolo villaggio di Číhošt’, alla presenza di tutta la Chiesa ceca e di migliaia di fedeli. In attesa e nella speranza che il processo di beatificazione si concluda presto.
mercoledì 21 ottobre 2015
La sofferenza nella nostra famiglia si è rivelata pedagogica: accolta nella fede, ha preparato i nostri cuori ad accogliere il Mistero
Da tossicodipendente a frate francescano
IN TESTIMONIUM / ON 21 OTTOBRE 2015 AT 07:01 /
Prima di sentire la chiamata di Dio e di entrare nell’Ordine dei Frati Minori, la sua vita è stata caratterizzata dal dolore..
Daniele Maria Piras è un giovane francescano in formazione. Ha 32 anni ed è originario di Carbonia, in Sardegna. Prima di sentire la chiamata di Dio e di entrare nell’Ordine dei Frati Minori, la sua vita è stata caratterizzata dal dolore, da una profonda sofferenza e dalla mancanza di senso.
“Fin da quando ero piccolo la mia famiglia, soprattutto per problemi economici, viveva grosse difficoltà relazionali, anzi tutto tra mamma e papà. Conclusa la scuola media, incominciai a lavorare con mio padre nella sua impresa edile; in quegli anni, per fuggire dalle fatiche familiari, iniziai a frequentare ‘cattive compagnie’: per stare al passo con loro, iniziai a bere, a fare uso di droghe leggere e poi pesanti, anche per anestetizzare il dolore che portavo nel mio cuore”, ha raccontato Daniele in un’intervista alla rivista dei francescani “Porziuncola”.
Il suo abuso di droga era tale che ad appena 16 anni era già tossicodipendente.
“Per 7 anni non riuscii ad uscire da quella schiavitù: sapevo benissimo di sbagliare, però ero entrato in un circolo vizioso, non potevo più farne a meno; ero troppo debole e, anche se desideravo uscirne, mi ero reso conto che era troppo tardie la mia volontà era debolissima. Andai al Sert, feci colloqui con psicologi e provai ad assumere farmaci per l’astinenza; ma i risultati furono scarsi”.
All’inizio Daniele nascose alla famiglia la sua situazione, ma quando questa peggiorò i suoi genitori si resero conto di quello che stava vivendo. “Mia madre mi incoraggiò, mi stette vicino e mi amò così come ero”.
Fu proprio attraverso la madre che la pace tornò in Daniele. “Lei, da giovane, dopo aver ricevuto i sacramenti, si era allontanata dalla Chiesa, ma ora da diversi anni si era riavvicinata, proprio a causa della dolorosa relazione che stava vivendo con mio papà. Questa relazione era la sua croce: quella croce aveva un nome e un volto, mio papà Carlo, che si trovava in una situazione molto difficile dopo la perdita del lavoro”.
Il giovane francescano racconta che la madre ha trovato consolazione in un gruppo di amiche che recitavano il Rosario: “Maria la ricondusse al Figlio suo: nella preghiera, nella Parola e nei sacramenti mamma attinse la forza per stare in quella situazione di dolore, e decise di stare accanto a mio papà ed amarlo così come era (…) Questo permise a Colui che ha vinto la morte di portare la sua salvezza nella nostra famiglia e fare nuove tutte le cose”.
Questa testimonianza di fede molto presto è servita da esempio allasorella di Daniele, Chiara Redenta, che ha sentito la chiamata di Gesù ed è entrata nel monastero delle Clarisse nel 2005. “A quel punto, la mia esperienza di morte, ma soprattutto le testimonianze di mia mamma e mia sorella mi portarono a rientrare in me stesso e chiedere aiuto: incominciai ad invocare il Nome del Signore Gesù”, ha riferito il giovane.
La sua conversione è arrivata nel novembre 2006, quando la madre lo ha invitato a partecipare a un congresso in occasione della solennità di Cristo Re dell’Universo. “La Parola guida del convegno era un versetto del salmo 107,14: Li fece uscire dalle tenebre e dall’ombra di morte e spezzò le loro catene. Mi colpì la catechesi di un padre francescano, sembrava che io gli avessi raccontato la mia storia… rileggeva il mio vissuto… spiegava come il male, attraverso le attrattive del mondo, che presentano una felicità apparente, mira a distruggere il nostro corpo che è il tempio dello Spirito Santo, luogo abitato da Dio, luogo in cui noi possiamo fare esperienza di Lui”.
Daniele ha deciso di parlare con il sacerdote francescano. “Gli dissi: ‘Sono un tossicodipendente e ho toccato il fondo, non so più come uscirne, preghi Gesù per me‘. Il frate mi invitò a chiedere a Gesù di intervenire, mi benedisse e io tornai al mio posto. Quindi un sacerdote passò con Gesù Eucarestia in mezzo alla folla di 600 persone… Gesù mi passò accanto, poi tornò verso l’altare e io sentii dentro di me il desiderio di andare a toccarlo: andai (non avevo niente da perdere…), lo toccai e tornai al mio posto”.
Meno di due mesi dopo questa esperienza, il 29 settembre 2008, e dopo aver vissuto due convivenze con i Francescani ad Assisi, il giovane Daniele è entrato nel postulantato dei Frati Minori.
“La sofferenza nella nostra famiglia si è rivelata pedagogica: accolta nella fede, ha preparato i nostri cuori ad accogliere il Mistero. (…) Solo Lui vi dice: Sono venuto perché abbiano la vita e la abbiano in abbondanza…”.
dio e il tom tom!!!
UN NAVIGATORE DIVINO
Ascoltando certe frasi di Gesù si ha una certa sensazione
che quanto egli propone sia proprio staccato dalla realtà spiccia.
Crediamo davvero nella disponibilità, nell'umiltà, nella gratuità?
Ascoltando certe frasi di Gesù si ha una certa sensazione
che quanto egli propone sia proprio staccato dalla realtà spiccia.
Crediamo davvero nella disponibilità, nell'umiltà, nella gratuità?
In un mondo dove competizione e benessere sono valori assoluti,
seguire quello che oggi ci dice Gesù rende davvero realizzati?
Credo proprio di no. Forse non avevano così torto i due discepoli.
seguire quello che oggi ci dice Gesù rende davvero realizzati?
Credo proprio di no. Forse non avevano così torto i due discepoli.
Dare retta a ciò che dice è scegliere di essere perdenti e scartati.
Quindi vogliamo davvero andare dove Dio ci vuole portare?
Esiste davvero una strada del bene da seguire? E chi la trova?
Quindi vogliamo davvero andare dove Dio ci vuole portare?
Esiste davvero una strada del bene da seguire? E chi la trova?
Tutte le religioni paragonano Dio al pilota della storia del mondo
e delle storie di ciascuno, ma se il risultato è quello che viviamo
vuol dire che ha finito i punti della patente
e sarebbe meglio tornasse a scuola guida per imparare a guidare.
Abbiamo la percezione di un Dio pilota di calesse
a cui oggi viene chiesto di guidare un aereo boing. Un disastro.
e delle storie di ciascuno, ma se il risultato è quello che viviamo
vuol dire che ha finito i punti della patente
e sarebbe meglio tornasse a scuola guida per imparare a guidare.
Abbiamo la percezione di un Dio pilota di calesse
a cui oggi viene chiesto di guidare un aereo boing. Un disastro.
Siamo davvero sicuri che Dio ci vuole portare da qualche parte?
È Dio che guida la vita e il mondo? Io credo proprio di no.
È Dio che guida la vita e il mondo? Io credo proprio di no.
La particolarità meravigliosa del Dio di Gesù Cristo è che ci dice:
"Guarda che il pilota della tua vita sei tu, decidi tu dove andare.
Io - rimarca deciso il Signore - faccio solo il GPS, il tom tom".
"Guarda che il pilota della tua vita sei tu, decidi tu dove andare.
Io - rimarca deciso il Signore - faccio solo il GPS, il tom tom".
Il navigatore satellitare fa scegliere a te la destinazione.
Da dove sei tu, dalla situazione che vivi e che stai abitando
ti indica la strada migliore. Ma tu poi decidi di andare dove vuoi.
Il GPS non ti obbliga. Non determina nemmeno le variabili
che sono sul percorso, siano ostacoli o scelte alternative,
come il fermarti, l'aspettare qualcuno, il lasciarti distrarre.
Quante volte ci succede nella vita di ogni giorno:
decidiamo qualcosa e poi mille variabili ti fanno cambiare strada.
Da dove sei tu, dalla situazione che vivi e che stai abitando
ti indica la strada migliore. Ma tu poi decidi di andare dove vuoi.
Il GPS non ti obbliga. Non determina nemmeno le variabili
che sono sul percorso, siano ostacoli o scelte alternative,
come il fermarti, l'aspettare qualcuno, il lasciarti distrarre.
Quante volte ci succede nella vita di ogni giorno:
decidiamo qualcosa e poi mille variabili ti fanno cambiare strada.
E quando deviamo cosa fa il GPS? Non ti chiede di tornare
al punto di partenza per fare da capo la strada che aveva indicato,
ma ti propone e riprone un "ricalcolo del percorso":
ti offre un itinerario alternativo partendo proprio da dove sei,
dalla situazione in cui ti trovi per scelta, per sbaglio,
perché hai seguito la persona sbagliata, o un'indicazione falsa.
al punto di partenza per fare da capo la strada che aveva indicato,
ma ti propone e riprone un "ricalcolo del percorso":
ti offre un itinerario alternativo partendo proprio da dove sei,
dalla situazione in cui ti trovi per scelta, per sbaglio,
perché hai seguito la persona sbagliata, o un'indicazione falsa.
Così è Dio: ad ogni nostra deviazione o scelta diversa,
quando siamo persi o dovunque ci troviamo per decisione nostra
ci dà sempre una ulteriore possibilità di ricalcolo del percorso.
E non si stanca di farlo e di rifarlo e di rifarlo ancora.
quando siamo persi o dovunque ci troviamo per decisione nostra
ci dà sempre una ulteriore possibilità di ricalcolo del percorso.
E non si stanca di farlo e di rifarlo e di rifarlo ancora.
Dio non ci sta davanti a farci strada. Non lo seguiremmo.
Dio non ci sta dietro per seguirci. Ce lo perderemmo per strada.
Dio ci sta silenziosamente accanto, come un divino GPS,
pronto a offrirci sempre, comunque e nonostante tutto
un "ricalcolo del percorso", una via alternativa,
una uscita di sicurezza, una possibilità di vita nuova.
Dio non ci sta dietro per seguirci. Ce lo perderemmo per strada.
Dio ci sta silenziosamente accanto, come un divino GPS,
pronto a offrirci sempre, comunque e nonostante tutto
un "ricalcolo del percorso", una via alternativa,
una uscita di sicurezza, una possibilità di vita nuova.
Dio è venuto per servire e non per farsi servire, dice il Vangelo.
Curioso che noi siamo proprio il contrario di Dio:
ci piace farci servire e appena possiamo ci serviamo degli altri.
Curioso che noi siamo proprio il contrario di Dio:
ci piace farci servire e appena possiamo ci serviamo degli altri.
Dio come il GPS non si spaventa neanche di non essere pensato,
ma è lì, per te e con te. Ovunque sei.
ma è lì, per te e con te. Ovunque sei.
Dio è premura gratis, attenzioni disinteressate, presenza nascosta.
Così è Dio, ma così è l'amore di un genitore o di un compagno.
Così è Dio, ma così è l'amore di un genitore o di un compagno.
Non importa quanto sei lontano, disperso, disorientato o distratto:
Dio è sempre a un millimetro da te. E così è chi ama.
Dio è sempre a un millimetro da te. E così è chi ama.
(Riflessione di Mons. Giulio Dellavite, sul Vangelo secondo Marco 10,35-45 di domenica 18 ottobre)
lunedì 19 ottobre 2015
9 idee per recitare il Rosario quando si è molto occupati
9 idee per recitare il Rosario quando si è molto occupati
IN CARITAS ET VERITAS / ON 15 SETTEMBRE 2015 AT 18:15 /
A volte pensiamo che pregare sia una cosa complicata…
Ho deciso che recitare il Rosario ogni giorno sarà una priorità nella mia vita. Se pensi di non avere 20 minuti per sederti a recitare preghiere a Maria e a meditare sui misteri della vita di suo Figlio, nostro Signore Gesù Cristo, io troverò 20 minuti nella tua agenda piena. Tieni conto del fatto che non devi recitare i cinque misteri in modo continuativo. Puoi dividerli durante la giornata, e non è necessario portare un rosario con te, perché hai 10 dita che ti aiuteranno allo scopo.
Ecco 9 occasioni perfettamente appropriate per recitare il Rosario OGGI, per quanto sia piena la tua giornata.
1. Mentre corri
Sei abituato a correre regolarmente? Accompagna la tua attività fisica recitando il Rosario, anziché ascoltando musica. Su Internet puoi trovare molti podcast (mp3) e applicazioni che ti permetteranno di ascoltare e pregare mentre corri.
2. In automobile
È sorprendente come ho imparato a recitare il Rosario mentre mi sposto da una parte all’altra, mentre vado al supermercato, a fare benzina, a portare i bambini a scuola o a lavoro. I viaggi in macchina in genere durano più di venti minuti, e quindi ne approfitto attivamente. Uso un CD con il Rosario e lo recito mentre lo ascolto. Mi fa sentire come se stessi pregando in gruppo.
3. Mentre pulisci
Prega mentre passi l’aspirapolvere, pieghi i panni, spolveri o lavi i piatti. Mentre lo fai, puoi intercedere e benedire con la tua preghiera tutti coloro che si vedranno beneficiati dai tuoi sforzi per una casa più pulita e organizzata.
4. Mentre porti a spasso il cane
Porti il tuo cane a spasso tutti i giorni? Approfittare della durata della passeggiata per recitare il Rosario è molto meglio che lasciare che la tua mente vaghi senza senso. Tienila concentrata su Gesù e Maria!
5. Nella tua pausa pranzo
Prendi un tempo di riposo ogni giorno per pranzare e sederti in silenzio a recitare il Rosario. Nei mesi estivi potresti farlo all’aperto e contemplare le bellezze della natura che Dio ci ha donato.
6. Passeggiando da solo/a
Una volta a settimana, pensa di recitare un Rosario camminando. Tieni il rosario in mano e cammina al ritmo della preghiera. Altre persone potrebbero vederti mentre lo fai, quindi dovrai essere coraggioso/a e dare una testimonianza allegra di preghiera. Un sacerdote della mia parrocchia era solito farlo in luoghi visibili della città ed era incredibilmente potente vederlo pregare mentre camminava sotto gli occhi di tutti.
7. Prima di andare a dormire
È un bel modo di avere Gesù e Maria come ultimi pensieri nella tua mente prima di dormire. L’unico rischio è addormentarti prima di aver recitato il Rosario intero. Concentrati sull’amore che provi per la Madonna e per nostro Signore per rimanere sveglio. Ricorda le parole di Gesù: “Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole” (Mt 26,41).
8. Nella Chiesa
Recitare il Rosario alla presenza di Gesù sacramentato e insieme ad altre persone della tua parrocchia è molto potente. Prendi un appuntamento settimanale con Gesù per visitarlo nel Santissimo Sacramento e recitare il Rosario in Adorazione. O, se la tua parrocchia ha la pratica del Rosario di gruppo, unisciti! In molte parrocchie c’è l’abitudine di recitarlo in gruppo prima della Santa Messa.
9. Mentre aspetti
Quante volte nella giornata aspettiamo qualcosa? In fila al supermercato, dal medico o alla fermata dell’autobus… Puoi recitare una decina del Rosario ogni volta che aspetti e alla fine della giornata l’avrai terminato.
Quali altri suggerimenti hai per recitare il Rosario nei tuoi giorni occupati? Lasciaci le tue risposte tra i commenti.
Medjugorje del 2 Settembre 1982
Affrettatevi a convertirvi! Quando si manifestera' sulla collina il segno promesso sara' troppo tardi. Questo tempo di grazia costituisce per voi una grande possibilita' per convertirvi e approfondire la vostra fede
Messaggio da Medjugorje del 2 Settembre 1982
Medjugorje del 31 Agosto 1982
Io non dispongo direttamente delle grazie divine, ma ottengo da Dio tutto ci che chiedo con la mia preghiera. Dio ha piena fiducia in me. Ed io intercedo le grazie e proteggo in modo particolare coloro che sono consacrati a me.
Messaggio da Medjugorje del 31 Agosto 1982
genitori di Santa teresa del bambin gesu' oggi santi
Coloro che oggi sono stati proclamati Santi,
hanno costantemente servito con umiltà
e carità straordinarie i fratelli (Papa Francesco)
Grazie a Radio Maria
Sinodo. Storia di monsignor Msusa,
l’arcivescovo africano che ha convertito suo padre imam
Ottobre 18, 2015 Benedetta Frigerio
«Quando mio padre chiese il battesimo, gli dissi: “In tutti questi anni mi hai ripetuto che sarei andato all’inferno. Vuoi venire all’inferno con me?”»
Thomas Luke Msusa è uno dei 48 prelati africani presenti al Sinodo sulla famiglia. Il missionario della Compagnia di Maria ha 53 anni, è arcivescovo di Blantyre, in Malawi, ma è nato in una famiglia musulmana e dopo essersi convertito, ha battezzato suo padre, che era un imam.
CACCIATO DI CASA. Nato in un villaggio «al 99,9 per cento musulmano», racconta ad Aleteia, si è trasferito all’età di sette anni in una parrocchia, poiché non esisteva altro modo per ricevere un’istruzione: «Nessuno nel mio villaggio poteva aiutarmi, perciò rimasi in parrocchia». Cinque anni dopo, a soli 12 anni, chiese il battesimo ma l’attrattiva per il parroco era tale, che aggiunse: «Come faccio a diventare come te? E così mi mandò in seminario». Quando i genitori seppero della sua conversione, gli fecero la guerra: «Non mi volevano in casa, perciò mi trasferii definitivamente in parrocchia». Nonostante l’opposizione della famiglia, Msusa fu comunque ordinato sacerdote.
LA MESSA AL VILLAGGIO. Al settimo cielo per l’ordinazione, chiese e ottenne dal suo superiore di «celebrare Messa a casa», anche se nel suo villaggio di origine non c’era una chiesa. La sua famiglia e la gente del villaggio lo derise, insinuando che mai nessuno avrebbe partecipato alla sua funzione religiosa all’aperto. Invece, la celebrazione fu «piena di gente», persino i suoi genitori e i parenti vi presero parte. E dopo la Messa, inaspettatamente, il padre gli disse: «Vedi, mi rifiutavo di lasciarti entrare in questa Chiesa, ma ora credo che probabilmente raggiungeremo il paradiso grazie a te».
LA CONVERSIONE DEL PADRE. Quando Msusa divenne vescovo, tornò a casa per assistere a un altro miracolo: «Mio padre, un imam, si inginocchiò e disse: “Ho bisogno del battesimo”. E io gli risposi: “Papà, in tutti questi anni mi hai ripetuto che sarei andato all’inferno. Vuoi venire all’inferno con me?». Il padre accettò di sottoporsi per tre anni all’insegnamento cristiano e «nel 2006 venne battezzato». E ora che suo padre è anziano e malato, «quando torno a casa sua, [insisto perché] lui dichiari chi è diventato davanti a tutti (…), così quando morirà non ci saranno problemi per la sepoltura» cristiana.
«CATTOLICI E MUSULMANI INSIEME». Nato in un villaggio musulmano, Msusa è sempre stato accusato di tradire la cultura tradizionale. Ora invece il capo villaggio «ha fatto capo me e sono alla guida di 62 famiglie. Ma siccome da vescovo ho chiaramente molte responsabilità, adesso il capo è mia sorella Christina». Msusa ha sempre spinto «cattolici e musulmani» a stare assieme. Dal 2006, anno in cui si è svolto il Sinodo africano, «celebriamo la Messa, ci incontriamo, mangiamo insieme. Dico loro: “Dimenticate i vostri problemi, oggi festeggiamo”. E i cattolici che sono in grazia di Dio ricevono la comunione, mentre i musulmani assistono».
«GRAZIE A RADIO MARIA». Msusa e suo padre non sono gli unici convertiti dall’islam. «Ho lavorato nella diocesi di Zomba per 10 anni – continua l’arcivescovo – e ogni anno alla vigilia di Pasqua, in cattedrale, circa 100-150 adulti si facevano cristiani. Ma ce ne sono altrettanti in altre parrocchie». Anche nella sua attuale arcidiocesi, Blantyre, «accade lo stesso (…). Quando faccio le cresime trovo dalle 20 alle 50 persone musulmane che si stanno convertendo al cattolicesimo». E quando domanda loro perché hanno deciso di convertirsi, la risposta è sempre la stessa: «Grazie a Radio Maria». L’emittente infatti ha cambiato tutto, perché prima «sentivano solo la propaganda contro la Chiesa cattolica. Mentre ora hanno scoperto la verità sulla Chiesa».
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La vita di Andrea
La vita di Andrea
di Luca Fiore
TESTIMONI - RICONOSCERE CRISTO
È il ragazzo malato di Aids della lettera che commosse Giussani in Riconoscere Cristo. Finora tutto quello che sapevamo di lui era in quelle righe. Ora Marco Zibardi, detto “Ziba”, ci racconta di quel compagno di liceo. E di cosa videro gli occhi di chi, come lui, lo accompagnò fino alla fine
«Ziba, ma se scrivo una lettera a don Giussani lui la leggerà mai?». «Perché non dovrebbe?». «Non sono nessuno, non mi conosce». «Andrea, non ti preoccupare, scrivila». Nasce con semplicità, come quasi tutte le cose importanti, la lettera che don Giussani legge durante la lezione agli universitari di CL nel 1994, poi pubblicata con il titolo Riconoscere Cristo. È uno dei momenti più intensi del video mostrato agli ultimi Esercizi della Fraternità. Andrea è un compagno di liceo di Marco Zibardi, per tutti “Ziba”, allora neolaureato alla Cattolica di Milano. «Caro don Giussani, le scrivo chiamandola caro anche se non la conosco. (...) Di questa travagliata vita penso di essere arrivato al capolinea portato da quel treno che si chiama Aids», scrive nella lettera. Preso dalla commozione, Giussani chiede aiuto per arrivare alla fine. «Preghi per me; io continuerò a sentirmi utile per il tempo che mi rimane pregando per lei e il movimento. La abbraccio, Andrea».
Quella sera in pizzeria. Fino a oggi tutto quel che sapevamo di Andrea era scritto in quella lettera. Ma oggi, dopo vent’anni, Ziba torna su quella storia. Per discrezione non ci dice il cognome del suo amico, né ci dà una sua foto.
«Lui dettava, io scrivevo», racconta Ziba: «Parlava a fatica. Erano gli ultimi giorni, all’ospedale di Parma. L’abbiamo dovuta scrivere a pezzi. Iniziavamo, poi, quando era stanco, ci fermavamo. Ci avremo messo in tutto una settimana. E non è stato facile neanche per me: è stata una lotta, perché su alcune cose, quelle che mi riguardavano, io ho fatto un po’ di resistenza...».
La loro amicizia, lo spiega Andrea stesso nella lettera, inizia ai tempi del liceo. «Eravamo compagni di classe al Settimo Scientifico di Milano, quello che ora si chiama Allende», racconta Ziba: «Abbiamo fatto la maturità nel 1987. Negli ultimi due anni eravamo vicini di banco. Io seguivo Gs, lui era il capo del collettivo della scuola. Però siamo stati sempre molto amici. Ognuno con le proprie idee, ma andavamo anche in vacanza insieme». Intelligente, studioso, buoni voti. Andrea giocava a calcio, amava il tennis e lo sci. Oltre alle classiche cose del suo mondo: il picchetto davanti a scuola, le manifestazioni per la pace, le serate al Leoncavallo.
«Poi si è fidanzato con una mia cara amica, Elena. Così, insieme ad altri tre, pur prendendo strade diverse, siamo rimasti in contatto», ricorda Ziba: «Qualche sabato sera per una birra o un weekend sulle piste da sci. Andrea aveva iniziato Fisica, Elena Medicina. Poi c’erano Ermanno che studiava Diritto, e Daniele Ingegneria. Io Lettere, ed ero l’unico di CL».
Sono loro cinque, quella sera del 1991 in una pizzeria tra piazza Abbiategrasso e Gratosoglio, periferia di Milano. Andrea, quasi dal niente, dice: «Ho fatto gli esami. Sono sieropositivo». Elena lo sa già, gli altri tre no. Tutti sono sconvolti. All’epoca l’esito positivo del test è ancora una condanna a morte. Quello stesso anno muore Freddie Mercury. La sola parola “Aids” suscita paura e pregiudizio. A fine cena Andrea aggiunge: «Questa avventura, adesso, la portiamo insieme».
I quattro amici lo prendono sul serio e lo accompagnano davvero. Si organizzano, fanno i turni per andarlo a trovare tutti i giorni. Lui girerà diversi ospedali: Milano, Bologna, Parma. È in quei mesi che nasce un dialogo che Ziba definisce a tratti “burrascoso”. In corsia coinvolge nelle discussioni anche i vicini di letto. Si infervora, dialettizza, rimprovera gli infermieri che secondo lui non sanno trattare la sua malattia. «Ogni tanto tirava fuori, a modo suo, il problema di Dio e mi diceva arrabbiato: “Il tuo Dio non esiste e non serve a niente. Guarda cosa mi sta succedendo: ho 27 anni e sto morendo”».
A un certo punto, alla fine del 1993, Ziba gli porta una copia de Il senso religioso di don Giussani. «Era un periodo in cui ci rimproverava perché lo andavamo a trovare tutti i giorni. Ci diceva che facevamo i crocerossini: “Non serve a nulla, tanto muoio lo stesso. Perché lo fate?”. Allora io, dandogli il libro, gli dico: “Comincia a leggere questo, poi ne parliamo”. Lui lo prende, lo butta sul comodino e dice: “Sono tutte stronzate”. Il giorno dopo l’aveva già letto tutto».
Il tenore dei dialoghi cambia. Andrea inizia a fare domande. «L’aveva letto in modo profondo. Da lì è iniziato un periodo di grazia, soprattutto per me. Era chiaro che l’aveva capito meglio di me che ci lavoravo da anni. Mi chiedeva del “cuore”, di ciò che tutti gli uomini hanno in comune. La cosa che lo colpiva di più era forse l’ipotesi che anche quello che gli stava accadendo poteva avere un senso. Ha fatto tutto il cammino dal senso religioso alla fede, quasi ce lo avesse scritto da qualche parte senza averlo conosciuto. All’inizio non mi parlava di Dio, è come se seguendo il proprio percorso mi avesse voluto far vedere che aveva capito. Andava per tappe. Anche se il libro lo aveva già letto tutto. Sapeva come andava a finire...».
«Ziba mi diceva sempre che l’importante nella vita è avere un interesse vero e seguirlo», scriverà Andrea: «Questo interesse io l’ho seguito tante volte, ma non era mai quello vero. Ora quello vero l’ho visto, lo vedo, l’ho incontrato e comincio a conoscerlo e a chiamarlo per nome: si chiama Cristo».
E il dialogo non ha smesso di essere burrascoso. È proprio in quel periodo che Ziba si mette a recitare l’Angelus davanti a lui. E Andrea, come racconta nella lettera, inizia a bestemmiargli contro. Accorrono gli infermieri chiedendo a Ziba se lo stesse picchiando... «È stato un cammino segnato dal suo temperamento e dalla piena coscienza di andare incontro alla fine. Ha dovuto fare i conti fino in fondo con il fatto della morte e ciò che gli stava capitando». Alle domande su Il senso religioso, si aggiungono quelle su don Giussani e su CL. L’ultimo mese e mezzo è come un rush finale. Andrea inizia a recitare l’Angelus con Ziba. Poi, mancavano pochi giorni, quella domanda: «E se gli scrivo, lui la leggerà?».
«Io non sapevo cosa mi avrebbe dettato. Non avevo capito che fosse arrivato a quel punto di adesione. Vedevo che era successo qualcosa, avevo saputo che aveva chiamato il cappellano dell’ospedale, ma non sapevo quel che si erano detti. Fino a quella lettera il nostro dialogo non aveva raggiunto un tale livello di esplicitezza. È stata una sorpresa. Un dono».
«Posso leggerla?». Anche negli anni dopo il liceo, c’erano state discussioni tra i due. «Lui aveva fatto una scelta di vita, io un’altra», continua Ziba: «Tra noi questo era chiaro, non avremmo cambiato idea. Eppure lui in qualche modo era colpito dalla mia posizione. Per lui era inconcepibile impostare la vita in base a una scelta religiosa. Per i suoi schemi mentali la fede era intimismo e irrazionalità. Poi quel che è successo gli ha fatto capire che quella domanda l’aveva dentro da sempre. Per me è stata una grazia inaspettata. Io e quei tre amici siamo stati davanti a quel che è capitato. E abbiamo visto: dentro la malattia e la morte, è accaduto il miracolo di una vita nuova».
Andrea scrive: «Ziba mi ha attaccato sul letto la frase di san Tommaso: “La vita dell’uomo consiste nell’affetto che principalmente la sostiene e nel quale trova la più grande soddisfazione”. Penso che la mia più grande soddisfazione sia quella di averla conosciuta scrivendole questa lettera, ma più grande ancora è che nella misericordia di Dio, se Lui vorrà, la conoscerò là dove tutto sarà nuovo, buono e vero. Nuovo, buono e vero come l’amicizia che lei ha portato nella vita di molte persone e della quale posso dire “io c’ero”, anche io in questa zozza vita ho visto e partecipato di questo avvenimento nuovo, buono e vero».
Ziba prende la lettera e va da don Giussani. «È di un mio amico del liceo. È molto bella». Non fa in tempo ad anticipargli nulla. Ma Andrea qualche ora dopo ha una complicazione. Ziba lo ritrova che è già in coma. La telefonata di Giussani arriva a funerali fatti: «È una lettera meravigliosa! Posso leggerla pubblicamente?». «Don Gius, la lettera l’ha scritta a te...». Poi, la sera prima dell’inizio degli Esercizi degli universitari, Giussani chiama Ziba: «Voglio leggere la lettera di Andrea, mi accompagneresti a Rimini?». Sulla strada del ritorno, dopoRiconoscere Cristo, dirà: «Non ho mai incontrato una persona che abbia capito così a fondo Il senso religioso e lo abbia sintetizzato in due paginette».
«Ziba, ma se scrivo una lettera a don Giussani lui la leggerà mai?». «Perché non dovrebbe?». «Non sono nessuno, non mi conosce». «Andrea, non ti preoccupare, scrivila». Nasce con semplicità, come quasi tutte le cose importanti, la lettera che don Giussani legge durante la lezione agli universitari di CL nel 1994, poi pubblicata con il titolo Riconoscere Cristo. È uno dei momenti più intensi del video mostrato agli ultimi Esercizi della Fraternità. Andrea è un compagno di liceo di Marco Zibardi, per tutti “Ziba”, allora neolaureato alla Cattolica di Milano. «Caro don Giussani, le scrivo chiamandola caro anche se non la conosco. (...) Di questa travagliata vita penso di essere arrivato al capolinea portato da quel treno che si chiama Aids», scrive nella lettera. Preso dalla commozione, Giussani chiede aiuto per arrivare alla fine. «Preghi per me; io continuerò a sentirmi utile per il tempo che mi rimane pregando per lei e il movimento. La abbraccio, Andrea».
Quella sera in pizzeria. Fino a oggi tutto quel che sapevamo di Andrea era scritto in quella lettera. Ma oggi, dopo vent’anni, Ziba torna su quella storia. Per discrezione non ci dice il cognome del suo amico, né ci dà una sua foto.
«Lui dettava, io scrivevo», racconta Ziba: «Parlava a fatica. Erano gli ultimi giorni, all’ospedale di Parma. L’abbiamo dovuta scrivere a pezzi. Iniziavamo, poi, quando era stanco, ci fermavamo. Ci avremo messo in tutto una settimana. E non è stato facile neanche per me: è stata una lotta, perché su alcune cose, quelle che mi riguardavano, io ho fatto un po’ di resistenza...».
La loro amicizia, lo spiega Andrea stesso nella lettera, inizia ai tempi del liceo. «Eravamo compagni di classe al Settimo Scientifico di Milano, quello che ora si chiama Allende», racconta Ziba: «Abbiamo fatto la maturità nel 1987. Negli ultimi due anni eravamo vicini di banco. Io seguivo Gs, lui era il capo del collettivo della scuola. Però siamo stati sempre molto amici. Ognuno con le proprie idee, ma andavamo anche in vacanza insieme». Intelligente, studioso, buoni voti. Andrea giocava a calcio, amava il tennis e lo sci. Oltre alle classiche cose del suo mondo: il picchetto davanti a scuola, le manifestazioni per la pace, le serate al Leoncavallo.
«Poi si è fidanzato con una mia cara amica, Elena. Così, insieme ad altri tre, pur prendendo strade diverse, siamo rimasti in contatto», ricorda Ziba: «Qualche sabato sera per una birra o un weekend sulle piste da sci. Andrea aveva iniziato Fisica, Elena Medicina. Poi c’erano Ermanno che studiava Diritto, e Daniele Ingegneria. Io Lettere, ed ero l’unico di CL».
Sono loro cinque, quella sera del 1991 in una pizzeria tra piazza Abbiategrasso e Gratosoglio, periferia di Milano. Andrea, quasi dal niente, dice: «Ho fatto gli esami. Sono sieropositivo». Elena lo sa già, gli altri tre no. Tutti sono sconvolti. All’epoca l’esito positivo del test è ancora una condanna a morte. Quello stesso anno muore Freddie Mercury. La sola parola “Aids” suscita paura e pregiudizio. A fine cena Andrea aggiunge: «Questa avventura, adesso, la portiamo insieme».
I quattro amici lo prendono sul serio e lo accompagnano davvero. Si organizzano, fanno i turni per andarlo a trovare tutti i giorni. Lui girerà diversi ospedali: Milano, Bologna, Parma. È in quei mesi che nasce un dialogo che Ziba definisce a tratti “burrascoso”. In corsia coinvolge nelle discussioni anche i vicini di letto. Si infervora, dialettizza, rimprovera gli infermieri che secondo lui non sanno trattare la sua malattia. «Ogni tanto tirava fuori, a modo suo, il problema di Dio e mi diceva arrabbiato: “Il tuo Dio non esiste e non serve a niente. Guarda cosa mi sta succedendo: ho 27 anni e sto morendo”».
A un certo punto, alla fine del 1993, Ziba gli porta una copia de Il senso religioso di don Giussani. «Era un periodo in cui ci rimproverava perché lo andavamo a trovare tutti i giorni. Ci diceva che facevamo i crocerossini: “Non serve a nulla, tanto muoio lo stesso. Perché lo fate?”. Allora io, dandogli il libro, gli dico: “Comincia a leggere questo, poi ne parliamo”. Lui lo prende, lo butta sul comodino e dice: “Sono tutte stronzate”. Il giorno dopo l’aveva già letto tutto».
Il tenore dei dialoghi cambia. Andrea inizia a fare domande. «L’aveva letto in modo profondo. Da lì è iniziato un periodo di grazia, soprattutto per me. Era chiaro che l’aveva capito meglio di me che ci lavoravo da anni. Mi chiedeva del “cuore”, di ciò che tutti gli uomini hanno in comune. La cosa che lo colpiva di più era forse l’ipotesi che anche quello che gli stava accadendo poteva avere un senso. Ha fatto tutto il cammino dal senso religioso alla fede, quasi ce lo avesse scritto da qualche parte senza averlo conosciuto. All’inizio non mi parlava di Dio, è come se seguendo il proprio percorso mi avesse voluto far vedere che aveva capito. Andava per tappe. Anche se il libro lo aveva già letto tutto. Sapeva come andava a finire...».
«Ziba mi diceva sempre che l’importante nella vita è avere un interesse vero e seguirlo», scriverà Andrea: «Questo interesse io l’ho seguito tante volte, ma non era mai quello vero. Ora quello vero l’ho visto, lo vedo, l’ho incontrato e comincio a conoscerlo e a chiamarlo per nome: si chiama Cristo».
E il dialogo non ha smesso di essere burrascoso. È proprio in quel periodo che Ziba si mette a recitare l’Angelus davanti a lui. E Andrea, come racconta nella lettera, inizia a bestemmiargli contro. Accorrono gli infermieri chiedendo a Ziba se lo stesse picchiando... «È stato un cammino segnato dal suo temperamento e dalla piena coscienza di andare incontro alla fine. Ha dovuto fare i conti fino in fondo con il fatto della morte e ciò che gli stava capitando». Alle domande su Il senso religioso, si aggiungono quelle su don Giussani e su CL. L’ultimo mese e mezzo è come un rush finale. Andrea inizia a recitare l’Angelus con Ziba. Poi, mancavano pochi giorni, quella domanda: «E se gli scrivo, lui la leggerà?».
«Io non sapevo cosa mi avrebbe dettato. Non avevo capito che fosse arrivato a quel punto di adesione. Vedevo che era successo qualcosa, avevo saputo che aveva chiamato il cappellano dell’ospedale, ma non sapevo quel che si erano detti. Fino a quella lettera il nostro dialogo non aveva raggiunto un tale livello di esplicitezza. È stata una sorpresa. Un dono».
«Posso leggerla?». Anche negli anni dopo il liceo, c’erano state discussioni tra i due. «Lui aveva fatto una scelta di vita, io un’altra», continua Ziba: «Tra noi questo era chiaro, non avremmo cambiato idea. Eppure lui in qualche modo era colpito dalla mia posizione. Per lui era inconcepibile impostare la vita in base a una scelta religiosa. Per i suoi schemi mentali la fede era intimismo e irrazionalità. Poi quel che è successo gli ha fatto capire che quella domanda l’aveva dentro da sempre. Per me è stata una grazia inaspettata. Io e quei tre amici siamo stati davanti a quel che è capitato. E abbiamo visto: dentro la malattia e la morte, è accaduto il miracolo di una vita nuova».
Andrea scrive: «Ziba mi ha attaccato sul letto la frase di san Tommaso: “La vita dell’uomo consiste nell’affetto che principalmente la sostiene e nel quale trova la più grande soddisfazione”. Penso che la mia più grande soddisfazione sia quella di averla conosciuta scrivendole questa lettera, ma più grande ancora è che nella misericordia di Dio, se Lui vorrà, la conoscerò là dove tutto sarà nuovo, buono e vero. Nuovo, buono e vero come l’amicizia che lei ha portato nella vita di molte persone e della quale posso dire “io c’ero”, anche io in questa zozza vita ho visto e partecipato di questo avvenimento nuovo, buono e vero».
Ziba prende la lettera e va da don Giussani. «È di un mio amico del liceo. È molto bella». Non fa in tempo ad anticipargli nulla. Ma Andrea qualche ora dopo ha una complicazione. Ziba lo ritrova che è già in coma. La telefonata di Giussani arriva a funerali fatti: «È una lettera meravigliosa! Posso leggerla pubblicamente?». «Don Gius, la lettera l’ha scritta a te...». Poi, la sera prima dell’inizio degli Esercizi degli universitari, Giussani chiama Ziba: «Voglio leggere la lettera di Andrea, mi accompagneresti a Rimini?». Sulla strada del ritorno, dopoRiconoscere Cristo, dirà: «Non ho mai incontrato una persona che abbia capito così a fondo Il senso religioso e lo abbia sintetizzato in due paginette».
sabato 17 ottobre 2015
venerdì 16 ottobre 2015
ti adoro o croce santa
(Recitata 33 volte il Venerdì Santo, libera 33 Anime del Purgatorio, Recitata 50 volte ogni venerdì, ne libera 5. venne confermata dai Papi Adriano VI, Gregorio XIII e Paolo VI).
PREGHIERA:
Ti adoro, o Croce Santa,
che fosti ornata del Corpo Sacratissimo
del mio Signore,
coperta e tinta del suo Preziosissimo Sangue.
Ti adoro, mio Dio, posto in croce per me.
Ti adoro, o Croce Santa,
per amore di Colui che è il mio Signore. Amen.
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