lunedì 19 ottobre 2015

La vita di Andrea


La vita di Andrea

di Luca Fiore
TESTIMONI - RICONOSCERE CRISTO
È il ragazzo malato di Aids della lettera che commosse Giussani in Riconoscere Cristo. Finora tutto quello che sapevamo di lui era in quelle righe. Ora Marco Zibardi, detto “Ziba”, ci racconta di quel compagno di liceo. E di cosa videro gli occhi di chi, come lui, lo accompagnò fino alla fine

«Ziba, ma se scrivo una lettera a don Giussani lui la leggerà mai?». «Perché non dovrebbe?». «Non sono nessuno, non mi conosce». «Andrea, non ti preoccupare, scrivila». Nasce con semplicità, come quasi tutte le cose importanti, la lettera che don Giussani legge durante la lezione agli universitari di CL nel 1994, poi pubblicata con il titolo Riconoscere Cristo. È uno dei momenti più intensi del video mostrato agli ultimi Esercizi della Fraternità. Andrea è un compagno di liceo di Marco Zibardi, per tutti “Ziba”, allora neolaureato alla Cattolica di Milano. «Caro don Giussani, le scrivo chiamandola caro anche se non la conosco. (...) Di questa travagliata vita penso di essere arrivato al capolinea portato da quel treno che si chiama Aids», scrive nella lettera. Preso dalla commozione, Giussani chiede aiuto per arrivare alla fine. «Preghi per me; io continuerò a sentirmi utile per il tempo che mi rimane pregando per lei e il movimento. La abbraccio, Andrea».

Quella sera in pizzeria. Fino a oggi tutto quel che sapevamo di Andrea era scritto in quella lettera. Ma oggi, dopo vent’anni, Ziba torna su quella storia. Per discrezione non ci dice il cognome del suo amico, né ci dà una sua foto.
«Lui dettava, io scrivevo», racconta Ziba: «Parlava a fatica. Erano gli ultimi giorni, all’ospedale di Parma. L’abbiamo dovuta scrivere a pezzi. Iniziavamo, poi, quando era stanco, ci fermavamo. Ci avremo messo in tutto una settimana. E non è stato facile neanche per me: è stata una lotta, perché su alcune cose, quelle che mi riguardavano, io ho fatto un po’ di resistenza...».
La loro amicizia, lo spiega Andrea stesso nella lettera, inizia ai tempi del liceo. «Eravamo compagni di classe al Settimo Scientifico di Milano, quello che ora si chiama Allende», racconta Ziba: «Abbiamo fatto la maturità nel 1987. Negli ultimi due anni eravamo vicini di banco. Io seguivo Gs, lui era il capo del collettivo della scuola. Però siamo stati sempre molto amici. Ognuno con le proprie idee, ma andavamo anche in vacanza insieme». Intelligente, studioso, buoni voti. Andrea giocava a calcio, amava il tennis e lo sci. Oltre alle classiche cose del suo mondo: il picchetto davanti a scuola, le manifestazioni per la pace, le serate al Leoncavallo.
«Poi si è fidanzato con una mia cara amica, Elena. Così, insieme ad altri tre, pur prendendo strade diverse, siamo rimasti in contatto», ricorda Ziba: «Qualche sabato sera per una birra o un weekend sulle piste da sci. Andrea aveva iniziato Fisica, Elena Medicina. Poi c’erano Ermanno che studiava Diritto, e Daniele Ingegneria. Io Lettere, ed ero l’unico di CL».
Sono loro cinque, quella sera del 1991 in una pizzeria tra piazza Abbiategrasso e Gratosoglio, periferia di Milano. Andrea, quasi dal niente, dice: «Ho fatto gli esami. Sono sieropositivo». Elena lo sa già, gli altri tre no. Tutti sono sconvolti. All’epoca l’esito positivo del test è ancora una condanna a morte. Quello stesso anno muore Freddie Mercury. La sola parola “Aids” suscita paura e pregiudizio. A fine cena Andrea aggiunge: «Questa avventura, adesso, la portiamo insieme».
I quattro amici lo prendono sul serio e lo accompagnano davvero. Si organizzano, fanno i turni per andarlo a trovare tutti i giorni. Lui girerà diversi ospedali: Milano, Bologna, Parma. È in quei mesi che nasce un dialogo che Ziba definisce a tratti “burrascoso”. In corsia coinvolge nelle discussioni anche i vicini di letto. Si infervora, dialettizza, rimprovera gli infermieri che secondo lui non sanno trattare la sua malattia. «Ogni tanto tirava fuori, a modo suo, il problema di Dio e mi diceva arrabbiato: “Il tuo Dio non esiste e non serve a niente. Guarda cosa mi sta succedendo: ho 27 anni e sto morendo”».
A un certo punto, alla fine del 1993, Ziba gli porta una copia de Il senso religioso di don Giussani. «Era un periodo in cui ci rimproverava perché lo andavamo a trovare tutti i giorni. Ci diceva che facevamo i crocerossini: “Non serve a nulla, tanto muoio lo stesso. Perché lo fate?”. Allora io, dandogli il libro, gli dico: “Comincia a leggere questo, poi ne parliamo”. Lui lo prende, lo butta sul comodino e dice: “Sono tutte stronzate”. Il giorno dopo l’aveva già letto tutto».
Il tenore dei dialoghi cambia. Andrea inizia a fare domande. «L’aveva letto in modo profondo. Da lì è iniziato un periodo di grazia, soprattutto per me. Era chiaro che l’aveva capito meglio di me che ci lavoravo da anni. Mi chiedeva del “cuore”, di ciò che tutti gli uomini hanno in comune. La cosa che lo colpiva di più era forse l’ipotesi che anche quello che gli stava accadendo poteva avere un senso. Ha fatto tutto il cammino dal senso religioso alla fede, quasi ce lo avesse scritto da qualche parte senza averlo conosciuto. All’inizio non mi parlava di Dio, è come se seguendo il proprio percorso mi avesse voluto far vedere che aveva capito. Andava per tappe. Anche se il libro lo aveva già letto tutto. Sapeva come andava a finire...».
«Ziba mi diceva sempre che l’importante nella vita è avere un interesse vero e seguirlo», scriverà Andrea: «Questo interesse io l’ho seguito tante volte, ma non era mai quello vero. Ora quello vero l’ho visto, lo vedo, l’ho incontrato e comincio a conoscerlo e a chiamarlo per nome: si chiama Cristo».
E il dialogo non ha smesso di essere burrascoso. È proprio in quel periodo che Ziba si mette a recitare l’Angelus davanti a lui. E Andrea, come racconta nella lettera, inizia a bestemmiargli contro. Accorrono gli infermieri chiedendo a Ziba se lo stesse picchiando... «È stato un cammino segnato dal suo temperamento e dalla piena coscienza di andare incontro alla fine. Ha dovuto fare i conti fino in fondo con il fatto della morte e ciò che gli stava capitando». Alle domande su Il senso religioso, si aggiungono quelle su don Giussani e su CL. L’ultimo mese e mezzo è come un rush finale. Andrea inizia a recitare l’Angelus con Ziba. Poi, mancavano pochi giorni, quella domanda: «E se gli scrivo, lui la leggerà?».
«Io non sapevo cosa mi avrebbe dettato. Non avevo capito che fosse arrivato a quel punto di adesione. Vedevo che era successo qualcosa, avevo saputo che aveva chiamato il cappellano dell’ospedale, ma non sapevo quel che si erano detti. Fino a quella lettera il nostro dialogo non aveva raggiunto un tale livello di esplicitezza. È stata una sorpresa. Un dono».

«Posso leggerla?». Anche negli anni dopo il liceo, c’erano state discussioni tra i due. «Lui aveva fatto una scelta di vita, io un’altra», continua Ziba: «Tra noi questo era chiaro, non avremmo cambiato idea. Eppure lui in qualche modo era colpito dalla mia posizione. Per lui era inconcepibile impostare la vita in base a una scelta religiosa. Per i suoi schemi mentali la fede era intimismo e irrazionalità. Poi quel che è successo gli ha fatto capire che quella domanda l’aveva dentro da sempre. Per me è stata una grazia inaspettata. Io e quei tre amici siamo stati davanti a quel che è capitato. E abbiamo visto: dentro la malattia e la morte, è accaduto il miracolo di una vita nuova».
Andrea scrive: «Ziba mi ha attaccato sul letto la frase di san Tommaso: “La vita dell’uomo consiste nell’affetto che principalmente la sostiene e nel quale trova la più grande soddisfazione”. Penso che la mia più grande soddisfazione sia quella di averla conosciuta scrivendole questa lettera, ma più grande ancora è che nella misericordia di Dio, se Lui vorrà, la conoscerò là dove tutto sarà nuovo, buono e vero. Nuovo, buono e vero come l’amicizia che lei ha portato nella vita di molte persone e della quale posso dire “io c’ero”, anche io in questa zozza vita ho visto e partecipato di questo avvenimento nuovo, buono e vero».
Ziba prende la lettera e va da don Giussani. «È di un mio amico del liceo. È molto bella». Non fa in tempo ad anticipargli nulla. Ma Andrea qualche ora dopo ha una complicazione. Ziba lo ritrova che è già in coma. La telefonata di Giussani arriva a funerali fatti: «È una lettera meravigliosa! Posso leggerla pubblicamente?». «Don Gius, la lettera l’ha scritta a te...». Poi, la sera prima dell’inizio degli Esercizi degli universitari, Giussani chiama Ziba: «Voglio leggere la lettera di Andrea, mi accompagneresti a Rimini?». Sulla strada del ritorno, dopoRiconoscere Cristo, dirà: «Non ho mai incontrato una persona che abbia capito così a fondo Il senso religioso e lo abbia sintetizzato in due paginette».

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