domenica 2 ottobre 2016

il gigante

IL GIGANTE EGOISTA
Tutti, i giorni, finita la scuola, i bambini andavano a giocare nel giardino del gigante. Era un giardino grande e bello coperto di tenera erbetta verde. Qua e là sull’erbetta spiccavano fiori simile a stelle; in primavera i dodici peschi si ricoprivano di fiori rosa perlacei, e in autunno davano i frutti. Gli uccelli si posavano sugli alberi e cantavano con tanta dolcezza che i bambini sospendevano i loro giochi per ascoltarli.
“Quanto siamo felici qui!”, si dicevano.
Un giorno il gigante ritornò. Era stato a far visita al suo amico, il mago di Cornovaglia, e la sua visita era durata sette anni. Alla fine del settimo anno, aveva esaurito quanto doveva dire perché la sua conversazione era assai limitata, e decise di far ritorno al castello. Al suo arrivo vide i bambini che giocavano nel giardino.
“Che fate voi qui?”, esclamò con voce burbera, e i bambini scapparono.
“Il mio giardino è solo mio!”, disse il gigante, “lo sappiano tutti: nessuno, all’infuori di me, può giocare qui dentro”.
Costruì un alto muro tutto intorno e vi affisse un avviso: GLI INTRUSI SARANNO PUNITI.
Era un gigante molto egoista.
I poveri bambini non sapevano più dove giocare. Cercarono di giocare sulla strada, ma la strada era polverosa e piena di sassi, e non piaceva a nessuno. Finita la scuola giravano attorno all’alto muro e parlavano del bel giardino.
“Com’eravamo felici!”, dicevano tra di loro.
Poi venne la primavera, e dovunque, nella campagna, v’erano fiori e uccellini. Soltanto nel giardino del gigante regnava ancora l’inverno. Gli uccellini non si curavano di cantare perché non c’erano bambini e gli alberi dimenticarono di fiorire. Una volta un fiore mise la testina fuori dall’erba, ma alla vista dell’avviso provò tanta pietà per i bambini che si ritrasse e si riaddormentò. Solo la neve e il ghiaccio erano soddisfatti.
“La primavera ha dimenticato questo giardino”, esclamarono, “perciò noi abiteremo qui tutto l’anno”.
La neve copriva l’erba con il suo grande manto bianco e il ghiaccio dipingeva d’argento tutti gli alberi. Poi invitarono il vento del nord. Esso venne avvolto in una pesante pelliccia e tutto il giorno fischiava per il giardino e abbatteva i camini.
“È un posto delizioso”, disse, “dobbiamo invitare anche la grandine”.
E la grandine venne. Tre ore al giorno essa picchiava sul tetto del castello finché ruppe le tegole; poi, quanto più veloce poteva, scorrazzava per il giardino. Era vestita di grigio, e il suo fiato era freddo come il ghiaccio.
“Non riesco a capire perché la primavera tardi tanto a venire”, disse il gigante egoista mentre, seduto presso la finestra, guardava il suo giardino gelato e bianco. “Mi auguro che il tempo cambi”.
Ma la primavera non venne mai e nemmeno l’estate. L’autunno diede frutti d’oro a tutti i giardini, ma nemmeno uno a quello del gigante. Era sempre inverno laggiù e il vento del Nord, la Grandine, il gelo e la Neve danzavano tra gli alberi.
Una mattina il gigante udì dal suo letto una dolce musica. Risuonava tanto dolce alle sue orecchie che pensò fossero di musicanti del re che passavano nelle vicinanze. Era solo un merlo che cantava fuori dalla sua finestra, ma da tanto tempo non udiva un uccellino cantare nel suo giardino che gli parve la musica più bella del mondo. La Grandine cessò di danzare sulla sua testa, il Vento del Nord smise di fischiare e un profumo delizioso giunse attraverso la finestra aperta.
“Credo che finalmente la primavera sia venuta”, disse il gigante; balzò dal letto e guardò fuori della finestra.
Che vide? Una visione meravigliosa. I fanciulli entrati attraverso un’apertura del muro e sedevano sui rami degli alberi. Su ogni albero che il gigante poteva vedere c’era un bambino. Gli alberi, felici di riavere i fanciulli, s’erano ricoperti di fiori e gentilmente dondolavano i rami sulle loro testoline. Gli uccellini svolazzavano intorno cinguettando felici e i fiori sollevavano il capo per guardare di sopra l’erba verde e ridevano. Era una bella scena.
Solo in un angolo regnava ancora l’inverno. Era l’angolo più remoto del giardino, e vi stava un bambinetto. Era tanto piccolo che non riuscire a raggiungere il ramo dell’albero e vi girava intorno piangendo disperato. Il povero albero era ancora coperto dal gelo e dalla neve e sopra di esso il vento del nord fischiava.
“Arrampicati piccolo”, disse l’albero e piegò i suoi rami quanto più poté: ma il bimbetto era troppo piccino. A quella vista il cuore del gigante si intenerì.
“Come sono stato egoista!”, disse. “Ora so perché la primavera non voleva venire. Metterò quel bambino in cima all’albero poi abbatterò il muro e il mio giardino sarà, per sempre, il campo di giochi dei bambini”.
Era veramente addolorato per quanto aveva fatto. Scese adagio le scale e aprì la porta d’ingresso. Ma quando i bambini lo videro, si spaventarono tanto che scapparono, e nel giardino regnò di nuovo l’inverno. Soltanto il bambinetto non scappò; i suoi occhi erano così colmi di lacrime che non vide venire il gigante.
E il Gigante giunse di soppiatto dietro a lui, lo prese delicatamente nella sua mano e lo mise sull’albero. E l’albero fiorì, gli uccellini vennero a cantare e il bambino allungò le braccine, si avvicinò al collo del gigante e lo baciò.
Non appena gli altri bambini videro che il gigante non era più cattivo, ritornarono di corsa e con essi venne la primavera.
“Ora questo è il vostro giardino, bambini”, disse il gigante e, presa una grande ascia, abbatté il muro.
A mezzogiorno la gente che andava al mercato vide il gigante giocare con i bambini nel giardino più bello che avessero mai veduto. Giocarono tutto il giorno e la sera i bambini salutarono il gigante.
“Dov’è il vostro piccolo amico?”, disse. “Il bambino che io ho messo sull’albero…”
Il gigante l’amava più di tutti perché l’aveva baciato.
“Non lo sappiamo”, risposero i bambini. “Se n’è andato”.
“Dovete dirgli che domani deve assolutamente venire”, disse il gigante.
Ma i bambini risposero che non sapevano dove abitasse e che prima non l’avevano mai veduto, e il gigante si sentì molto triste. Ogni pomeriggio, finita la scuola, i bambini venivano a giocare con il gigante. Ma il bambinetto che il gigante prediligeva non si vide più. Il gigante era molto buono con tutti, ma desiderava il suo piccolo amico e spesso parlava di lui.
“Quanto mi piacerebbe vederlo”, diceva sovente.
Gli anni passarono, e il gigante divenne vecchio e debole. Non poteva più giocare; sedeva in una grande poltrona e osservava i bambini mentre giocavano e ammirava il suo giardino.
“Ho molti bei fiori”, diceva, “ma i bambini sono i fiori più belli”.
Una mattina d’inverno, mentre si vestiva, guardò fuori dalla finestra. Ora non odiava più l’inverno perché sapeva che era soltanto la primavera addormentata e che i fiori si riposavano.
Ad un tratto si fregò gli occhi sorpreso e si mise a guardare intensamente. Era una cosa veramente meravigliosa. Nell’angolo più remoto del giardino v’era un albero interamente ricoperto di fiori bianchi. Dai rami d’oro pendevano frutti d’argento, e sotto di essi stava il bambinetto ch’egli aveva amato.
Il gigante scese di corsa e, tutto acceso di gioia, uscì nel giardino. Si affrettò sull’erba e s’avvicinò al bambino. Quando gli fu vicino si fece rosso di collera e disse “Chi ha osato ferirti?”, perché il bambino aveva il segno di due chiodi sul palmo delle mani e sui piedi.
“Chi ha osato ferirti?”, esclamò il gigante. “Dimmelo e io prenderò la mia grossa spada e l’ammazzerò”.
“No”, rispose il bambino, “queste sono soltanto le ferite dell’amore”.
“Chi sei?”, chiese il gigante, e uno strano stupore s’impadronì di lui e s’inginocchiò dinanzi al bambino. Il bambino gli sorrise e disse: “Un giorno mi lasciasti giocare nel tuo giardino, oggi verrai a giocare nel mio giardino, che è il Paradiso”.
Quando nel pomeriggio i fanciulli entrarono di corsa nel giardino trovarono il gigante morto, ai piedi dell’albero tutto coperto di fiori candidi.
Oscar Wilde
Aleteia

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