venerdì 19 febbraio 2016

PAPA ritorna dal messico intervista


Nella giornata che si è conclusa con la messa e la preghiera silenziosa davanti al confine con gli Stati Uniti sul quale migliaia di migranti provenienti dal Messico e dal Sudamerica hanno trovato la morte, Papa Francesco dialogando con i giornalisti ha risposto a una domanda sulle ultime dichiarazioni di Donald Trump. E pur concedendo al controverso politico repubblicano il beneficio del dubbio, Francesco ha detto papale papale che non può essere cristiano chi pensa solo a costruire muri invece di gettare ponti. Parole riferite alla situazione americana, ma applicabili anche a chi in Europa evoca o già costruisce muri e barriere per bloccare i migranti. Francesco per 45 minuti ha risposto a tutte le domande dei cronisti che viaggiavano con lui. Ecco la trascrizione dell’intervista.
Santo Padre, in Messico ci sono migliaia di persone scomparse, e il caso dei 43 studenti di Ayotzinapa è emblematico. Vorrei chiedere: perché non ha ricevuto i loro familiari?  
«Nei miei messaggi ho fatto continui riferimenti agli assassinati, alle morti e alla vita comprata da tutte queste bande di narcotrafficanti e di trafficanti di persone, dunque di questo problema ho parlato, ho parlato delle piaghe che sta soffrendo il Messico. C’erano molti gruppi, anche contrapposti tra loro, con lotte interne, che volevano essere ricevuti e allora ho preferito dire che alla messa di Ciudad Juarez li avrei visti tutti, o se preferivano in una delle altre messe, che c’era questa disponibilità. Era praticamente impossibile ricevere tutti questi gruppi, che d’altra parte si affrontavano tra di loro, in una situazione difficile da comprendere per me che sono straniero. Ma credo che sia la società messicana a essere vittima di tutto questo, dei crimini, dello scarto delle persone: è un dolore tanto grande, questo popolo non si merita un dolore così».
Il tema della pedofilia, come ben sa il Messico, ha radici molto dolorose. Il caso di padre Maciel ha lasciato eredità pesanti, soprattutto con le vittime. Le vittime si sentono non protette. Che pensa di questo tema? Ha pensato di riunirsi con le vittime? E quando i sacerdoti vengono coinvolti in casi di questo tipo ciò che si fa è di cambiare loro parrocchia, niente di più…  
«Innanzitutto, un vescovo che cambia di parrocchia un prete che ha commesso abusi sui minori è un incosciente, è meglio che rinunci. Chiaro! Nel caso Maciel bisogna fare un omaggio a colui che si è opposto a tutto questo, Ratzinger, il cardinale Ratzinger, un uomo che ha presentato tutta la documentazione sul caso Maciel e come Prefetto ha fatto l’indagine, ha raccolto tutta la documentazione e poi non ha potuto andare oltre nella sua messa in pratica. Ma se vi ricordate, dieci giorni prima della morte di san Giovanni Paolo II, durante la Via Crucis, Ratzinger disse a tutta la Chiesa che bisognava pulire la sporcizia della Chiesa. E nella messa “Pro eligendo Pontifice” pur sapendo che era candidato – ma non tonto – non gli è importato di fare operazioni di maquillage sulla sua posizione, disse esattamente lo stesso. Oggi stiamo lavorando abbastanza, con il cardinale Segretario di Stato e con il C9.

Ho deciso di nominare un altro segretario aggiunto della Congregazione per la dottrina della fede perché si occupi solo di questi casi. Si è costituito un tribunale d’appello presieduto da monsignor Scicluna. I casi continuano. Poi c’è la commissione per la tutela dei minori, che si occupa di protezione: mi sono riunito una mattina intera con i sei membri, già vittime di abusi. E a Philadelphia mi sono incontrato con le vittime. Rendo grazie a Dio perché questa pentola è stata scoperchiata, bisogna continuare scoperchiandola ancora. Gli abusi sono una mostruosità, perché un sacerdote è consacrato per portare un bimbo a Dio e invece se lo “mangia” e con un sacrificio diabolico lo distrugge».

Lei ha parlato molto dei problemi degli immigrati, dall’altra parte della frontiera, negli Usa c’è una campagna abbastanza dura su questo. Il candidato repubblicano Donald Trump ha detto in un’intervista che lei è un “uomo politico” e una “pedina” del governo messicano per le politiche migratorie. Trump ha detto di voler costruire 2.500 chilometri di muro e di voler deportare 11 milioni di immigrati illegali. Che cosa pensa? Un cattolico americano può votarlo?  
«Grazie a Dio ha detto che io sono politico, perché Aristotele definisce la persona umana come “animale politico”, e questo significa che almeno io sono una persona umana. Io una pedina? Mah, lo lascio al vostro giudizio e al giudizio della gente. Una persona che pensa solo a fare muri e non ponti, non è cristiana. Questo non è nel Vangelo. Votarlo o non votarlo? Non mi immischio, soltanto dico che quest’uomo non è cristiano, se veramente ha parlato così e ha detto quelle cose».
L’incontro con Kirill e la firma della dichiarazione comune ha provocato reazioni dei greco cattolici dell’Ucraina: hanno detto di sentirsi traditi e parlano di un documento politico, di appoggio alla politica russa. Lei pensa di andare a Mosca o a Creta per il sinodo pan-ortodosso?  
«Io sarò presente, spiritualmente, a Creta con un messaggio. Mi piacerebbe andarci ma bisogna rispettare il sinodo. Ci saranno degli osservatori cattolici e dietro di loro ci sarò io, pregando con i migliori auguri che gli ortodossi possano andare avanti. I loro vescovi sono vescovi come noi. Con Kirill, mio fratello, ci siamo abbracciati e baciati e poi abbiamo avuto un colloquio di due ore, dove abbiamo parlato come fratelli sinceramente: nessuno sa di che cosa abbiamo parlato. Sulla dichiarazione degli ucraini: quando l’ho letta, mi sono un po’ preoccupato perché l’ha fatta l’arcivescovo maggiore di Kyiv-Halyc degli Ucraini Sviatoslav Schevchuk. È lui che ha detto che il popolo si sente profondamente deluso e tradito. Io conosco bene Sviatoslav, a Buenos Aires per quattro anni abbiamo lavorato insieme. Quando, a 42 anni è stato eletto arcivescovo maggiore, è venuto a salutarmi e mi ha regalato un’icona della Madonna della tenerezza dicendo: mi ha accompagnato tutta la vita, voglio lasciarla a te che mi hai accompagnato in questi quattro anni. Io ce l’ho a Roma, tra le poche cose che ho portato da Buenos Aires. Ho rispetto per lui, ci diamo del tu, mi è sembrata un po’ strana la sua dichiarazione. Ma per capire una notizia o una dichiarazione bisogna cercare l’ermeneutica complessiva. Ora quella dichiarazione di Schevchuk è nell’ultimo paragrafo di una lunga intervista. Lui si dichiara figlio della Chiesa, in comunione col vescovo di Roma, parla del Papa e della sua vicinanza col il Papa. Sulla parte dogmatica, nessuna difficoltà, è ortodossa nel buon senso della parola, cioè è dottrina cattolica. Poi ognuno ha il diritto di esprimere le sue opinioni, sono sue idee personali. Tutto quello che ha detto è sul documento, non sull’incontro con Kirill. Il documento è discutibile, e anche c’è da aggiungere che l’Ucraina è in un momento di guerra, di sofferenza: tante volte ho manifestato la mia vicinanza al popolo ucraino. Si capisce che un popolo in quella situazione senta questo, il documento è opinabile su questa questione dell’Ucraina, ma in quella parte della dichiarazione si chiede di fermare questa guerra, che si facciano degli accordi. Io personalmente ho auspicato che gli accordi di Minsk vadano avanti e che non si cancelli col gomito quello che hanno scritto con le mani. Ho ricevuto ambedue i presidenti e per questo quando Schevchuk dice che ha sentito questo dal suo popolo, io lo capisco. Non bisogna spaventarsi per quella frase. Una notizia la si deve interpretare con l’ermeneutica del tutto, non della parte».
Il patriarca Kirill l’ha invitata a Mosca?  
«Il patriarca Kirill mi ha invitato? Io preferisco fermarmi solo a quello che abbiamo detto in pubblico. Il colloquio privato è privato ma posso dirle che io sono uscito felice, e anche lui lo era».
Lei in questi giorni ha parlato di famiglia: in Italia si dibatte sulle unioni civili. Che cosa pensa delle adozioni e in particolare dei diritti dei figli?

«Prima di tutto io non so come stanno le cose nel Parlamento italiano, il Papa non s’immischia nella politica italiana. Nella prima riunione che ho avuto con i vescovi nel maggio 2013 ho detto loro: col Governo italiano arrangiatevi voi. Il Papa non si mette nella politica concreta di un Paese. L’Italia non è il primo paese che fa questa esperienza. Quanto al mio pensiero, io penso quello che la Chiesa sempre ha detto su questo tema».
Da qualche settimana c’è molta preoccupazione per il virus Zika, con il rischio per le donne in gravidanza. Alcune autorità hanno proposto l’aborto e la contraccezione per evitare le gravidanze. La Chiesa può prendere in considerazione in questo caso il male minore?  
«L’aborto non è un male minore, è un crimine, è far fuori, è quello che fa la mafia. Per quanto riguarda il male minore, quello di evitare la gravidanza, si tratta di un conflitto fra il quinto e il sesto comandamento. Il grande Paolo VI, in Africa aveva permesso alle suore di usar gli anticoncezionali in una situazione difficile. Ma non bisogna confondere l’evitare la gravidanza con l’aborto, che non è un problema teologico, ma è un problema umano, medico, si uccide una persona, contro il giuramento di Ippocrate. Si assassina una persona per salvarne un’altra, nel migliore dei casi. È un male umano, come ogni uccisione. Invece evitare una gravidanza non è un male assoluto, e in certi casi, come in quello che ho citato del beato Paolo VI, questo è chiaro. Io esorterei i medici perché facciano di tutto per trovare i vaccini contro queste zanzare che portano questo male».
Lei riceverà il premio Carlo Magno, tra i più prestigiosi della Comunità europea. Anche Giovanni Paolo II teneva molto a questo premio e all’unità dell’Europa che sembra stia andando un po’ in pezzi. Lei ha una parola per noi europei che viviamo questa crisi?  
«Per quanto riguarda il premio: io avevo l’idea di non accettare onorificenze o dottorati, non per umiltà, ma perché non mi piacciono queste cose. Però in questo caso sono stato convinto dalla santa e teologica testardaggine del cardinale Kasper che è stato scelto per convincermi. Ho detto sì, ma a riceverlo in Vaticano e lo offro per l’Europa: che sia un premio perché l’Europa possa fare quello che io ho indicato a Strasburgo, per far sì che l’Europa non sia nonna ma sia madre. L’altro giorno, mentre sfogliavo un giornale, ho letto una parola che mi è piaciuta, la “rifondazione” dell’Europa e ho pensato ai grandi padri. Oggi dove c’è un Schumann, un Adenauer, questi grandi che nel dopoguerra hanno fondato l’Unione Europea? Mi piace questa idea della rifondazione, magari si potesse fare, perché l’Europa ha una storia, una cultura che non si può sprecare e dobbiamo fare di tutto perché la Ue abbia la forza e anche l’ispirazione di andare avanti».

Lei ha parlato molto delle famiglie nell’anno santo della misericordia, ma come essere misericordiosi con i divorziati risposati? Si ha l’impressione che sia più facile perdonare un assassino che un divorziato che si risposa…  
«Sulla famiglia hanno parlato due sinodi e il Papa ha parlato tutto l’anno nelle catechesi del mercoledì. La sua domanda è vera, mi piace. Nel documento post-sinodale che uscirà forse prima di Pasqua si riprende tutto quello che il sinodo ha detto: in uno dei capitoli ha parlato dei conflitti, delle famiglie ferite. La pastorale delle famiglie ferite è una delle preoccupazioni, come pure una preoccupazione è la preparazione al matrimonio. Per diventare prete ci vogliono otto anni, e poi se non ce la fai, chiedi la dispensa. Invece per un sacramento che dura tutta la vita, solo quattro incontri. La preparazione al matrimonio è molto importante. La Chiesa, almeno nella pastorale comune in Sudamerica, non ha valutato tanto questo. Alcuni anni fa nella mia patria c’era l’abitudine a sposarsi di fretta quando c’era un bambino in arrivo e così coprire socialmente l’onore della famiglia. Lì non erano liberi e tante volte questi matrimoni sono nulli. Come vescovo ho proibito ai sacerdoti di fare questo: che venga il bambino, che i due continuino da fidanzati e quando si sentono di impegnarsi per tutta la vita, che si sposino. Poi ricordiamo che le vittime dei problemi della famiglia sono i figli: ma sono anche vittime che i genitori non vogliono, quando papà o mamma non hanno tempo di stare con i loro figli. Quando io confesso uno sposo o una sposa, domando “quanti figli ha”? Si spaventano un po’, forse perché pensano che i figli dovrebbero essere di più, e allora io domando: lei gioca con i suoi figli? Tante volte dicono: non ho mai tempo! Interessante che nell’incontro con le famiglie a Tuxtla Gutierrez, ci fosse una coppia di risposati in seconda unione, bene integrati nella pastorale della Chiesa. La parola chiave che usò il Sinodo, e io riprenderò nell’esortazione, è “integrare” nella vita delle Chiesa le famiglie ferite. E non dimenticare i bambini, sono le prime vittime».
Significa che i divorziati risposati potranno fare la comunione?  
«Integrare non significa dare la comunione. Io conosco cattolici risposati che vanno in chiesa due volte l’anno e vogliono fare la comunione, come se fosse un’onorificenza. Lavoro di integrazione, tutte le porte sono aperte, ma non si può dire che possono fare la comunione, perché questo sarebbe una ferita per i matrimoni e non farà fare loro quel cammino di integrazione. Questa coppia di divorziati risposati era felice. Hanno usato un’espressione molto bella: noi non ci comunichiamo con l’eucaristia, ma sì, siamo in comunione quando visitiamo gli ospedali e condividiamo cose. La loro integrazione è questa. Se poi ci sarà qualcosa di più lo dirà il Signore. È una strada, un cammino».
Numerosi media hanno evocato e fatto clamore sull’intensa corrispondenza fra Giovanni Paolo II e la filosofa Anna Teresa Tymieniecka. Un Papa può avere un’intensa corrispondenza con una donna? E lei ne ha?  
«Questo rapporto di amicizia tra san Giovanni Paolo II e Teresa Tymieniecka lo conoscevo. Un uomo che non sa avere un buon rapporto di amicizia con una donna – non parlo dei misogini che sono malati – è un uomo a cui manca qualcosa, e io per mia esperienza, quando chiedo consiglio a un collaboratore amico, anche mi interessa sentire il parere di una donna: loro ti danno tanta ricchezza, guardano le cose in un altro modo. A me piace dire che la donna è quella che costruisce la vita nel grembi e ha questo carisma di darti cose per costruire. Un’amicizia con una donna non è peccato. Un rapporto amoroso con una donna che non sia tua moglie è peccato! Il Papa è un uomo, e ha bisogno anche del pensiero delle donne. Anche il Papa ha un cuore che può avere un’amicizia santa e sana con una donna. Ci sono stati santi come Francesco e Chiara… Non spaventarsi! Però le donne ancora non sono ben considerate nella Chiesa, non abbiamo ancora capito il bene che possono fare alla vita di un prete, alla vita della Chiesa, con un consiglio, un aiuto, una sana amicizia».
Torno sull’argomento della legge sulle unioni civili che sta per essere votata al Parlamento italiano. C’è un documento della Congregazione per la dottrina della fede del 2003 dove si afferma che i parlamentari cattolici non devono votare queste leggi. Qual è il comportamento per un parlamentare cattolico in questi casi?
«Non ricordo bene quel documento, ma un parlamentare cattolico deve votare secondo la propria coscienza ben formata, questo direi, soltanto questo, è sufficiente, e parlo di coscienza ben formata, cioè non quello che mi sembra o che mi pare. Ricordo quando fu votato il matrimonio fra persone dello stesso sesso a Buenos Aires, io stavo lì, i voti erano pari allora un parlamentare ha consigliato all’altro: “Tu ci vedi chiaro?”. “No”. “Neanch’io, pero così perdiamo. Se non andiamo a votare non si raggiunge il quorum, ma se raggiungiamo il quorum diamo il voto a Kirchner. Preferisco darlo a Kirchner e non a Bergoglio, e andiamo!”. Questa non è una coscienza ben formata».

Dopo l’incontro con il Patriarca di Mosca il Cairo, c’è un altro disgelo all’orizzonte, ci sarà l’udienza con l’imam di Al Azhar? 
«La scorsa settimana monsignor Ayuso, segretario del cardinale Tauran, è andato a incontrare il vice dell’imam. Io voglio incontralo, so che a lui piacerebbe, stiamo cercando il punto, sempre tramite il cardinale Tauran».
Dopo questo viaggio messicano, che viaggi farà, quali viaggi sogna?  
«Rispondo: la Cina, andare là, mi piacerebbe tanto! Vorrei anche dire una cosa giusta sul popolo messicano: è un popolo che rappresenta una ricchezza tanto grande, un popolo che sorprende, ha una cultura millenaria. Voi sapete che oggi in Messico si parlano 65 lingue, è un popolo di una grande fede ma che anche ha sofferto persecuzioni religiose, ci sono martiri, adesso ne canonizzerò due. Un popolo non lo si può spiegare, non è una categoria logica, è una categoria mitica, non si può spiegare questa ricchezza, questa gioia, questa capacità di far festa nonostante le tragedie che vive. Questa unità, un popolo che è riuscito a non fallire, a non finire, con tante cose che accadono: a Ciudad Juarez c’era un patto per il cessate il fuoco, dodici ore per la mia visita, poi riprenderanno. Questo popolo solo si spiega con Guadalupe e io vi invito a studiare seriamente il fatto Guadalupe, la Madonna è lì, io non trovo altra spiegazione».
Che cosa ha chiesto alla Madonna di Guadalupe? Lei sogna in lingua italiana o in spagnolo?  
«Sogno in esperanto! Alcune volte sì, ricordo un sogno in altra lingua, ma sognare in lingue no, sogno piuttosto immagini. Ho chiesto alla Guadalupana per prima cosa la pace, quella poverina deve aver finito con la testa così… Ho chiesto perdono, ho chiesto che la Chiesa cresca sana, ho pregato per il popolo messicano. Ho chiesto tanto che i preti siano veri preti, e le suore vere suore, i vescovi veri vescovi. Ma le cose che un figlio dice alla mamma sono un segreto».


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