giovedì 20 novembre 2014

Padre Kinvi - Il prete che salvò 1500 musulmani

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quando un uomo appesantito dai tanti amuleti 
che portava al collo si è fermato davanti 
alla sua missione in gennaio chiedendogli di seguirlo, 
se voleva salvare la vita di un musulmano, 
lui non ha esitato. Padre Kinvi sapeva che gli anti-balaka, 
milizie per lo più animiste, odiano i musulmani 
ma non risparmiano neanche i cristiani. 
«Gli ho detto di sì e sono salito sulla sua moto», 
dichiara il sacerdote al Guardian
«Per tutto il viaggio ho pregato. 
Non ho mai pregato tanto.
 Quando siamo arrivati al villaggio,
 un bambino ha gridato: “È già morto”. 
Ero arrivato troppo tardi, non sono riuscito a salvarlo».

ACCOGLIERE I MUSULMANI. 
Nei mesi seguenti la situazione non è migliorata. 
Gli anti-balaka hanno cominciato a vendicarsi 
dei passati soprusi uccidendo decine di musulmani. 
Padre Kinvi ha risposto alle violenze aprendo 
le porte della sua missione nella città nord-occidentale 
del paese ai musulmani. 
Gli anti-balaka hanno preso a minacciarlo 
tutti i giorni: 
non capivano perché un cattolico difendesse 
dei musulmani.
 «Non è stata una decisione, è semplicemente successo. 
Come sacerdote, io non posso appoggiare 
l’omicidio di un uomo. Siamo tutti esseri umani: 
la religione non conta. 
Anche se un anti-balaka viene qui ed è ferito, 
io lo curo. 
Non mi importa chi è, qual è la sua religione 
e cos’ha fatto nella vita. È un uomo e io lo curo».

IL CONTAGIO. Padre Kinvi è arrivato 
a proteggere fino a 1.500 musulmani. 
Quelli che non riusciva a difendere, li seppelliva. 
«Quando camminavo per strada, gli anti-balaka 
venivano a dirmi: noi facciamo il nostro lavoro, 
padre, e tu fai il tuo. Noi li uccidiamo e tu li seppellisci». 
Mese dopo mese, padre Kinvi 
è riuscito a trasferire tutti i musulmani 
che ne avevano bisogno in Camerun, 
dove sarebbero stati al sicuro. 
L’ha fatto anche con l’aiuto degli stessi anti-balaka, 
in qualche modo «contagiati» dal suo comportamento: 
«Ho passato settimane a curare gli anti-balaka. 
Un giorno dovevo evacuare dei rifugiati. 
Un gruppo di persone mi ha aiutato a farli
 salire sui camion. 
Molti avevano dei talismani al collo. 
Erano miliziani, ma quel giorno mi hanno aiutato».

Anche i cristiani di Bossemptele sono stati 
contagiati dal comportamento di padre Kinvi: 
«All’inizio gli anti-balaka uccidevano 
tutti i musulmani, uno a uno. 
Poi però la gente ha cominciato a proteggerli 
e anche loro hanno smesso di ucciderli. 
Mi hanno portato molti musulmani perché 
li difendessi e tanti cristiani 
li hanno nascosti nelle loro case», 
rischiando la vita.

«ESSERE PRETE». 
Racconta di non avere dormito per mesi, 
nel terrore che gli anti-balaka 
entrassero nella sua missione. 
Un’esperienza che gli ha fatto capire 
cosa significhi essere un prete: 
«Quando sono diventato sacerdote, 
ho promesso di servire i malati anche a costo 
di mettere la mia vita in pericolo. 
L’ho detto ma non sapevo realmente 
che cosa significasse. 
Quando però è sopraggiunta la guerra, 
ho capito bene che cosa voleva dire rischiare la vita. 
Essere un prete non è solo dare benedizioni. 
È molto di più: 
significa stare a fianco di coloro che hanno perso tutto».

http://www.tempi.it/centrafrica-padre-kinvi-ha-rischiato-la-vita-per-salvare-1-500-musulmani-questo-significa-essere-prete#.VG4RQ9KG_To



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