quando un uomo appesantito dai tanti amuleti
che portava al collo si è fermato davanti
alla sua missione in gennaio chiedendogli di seguirlo,
se voleva salvare la vita di un musulmano,
lui non ha esitato. Padre Kinvi sapeva che gli anti-balaka,
milizie per lo più animiste, odiano i musulmani
ma non risparmiano neanche i cristiani.
«Gli ho detto di sì e sono salito sulla sua moto»,
dichiara il sacerdote al Guardian.
«Per tutto il viaggio ho pregato.
Non ho mai pregato tanto.
Quando siamo arrivati al villaggio,
un bambino ha gridato: “È già morto”.
Ero arrivato troppo tardi, non sono riuscito a salvarlo».
ACCOGLIERE I MUSULMANI.
Nei mesi seguenti la situazione non è migliorata.
Gli anti-balaka hanno cominciato a vendicarsi
dei passati soprusi uccidendo decine di musulmani.
Padre Kinvi ha risposto alle violenze aprendo
le porte della sua missione nella città nord-occidentale
del paese ai musulmani.
Gli anti-balaka hanno preso a minacciarlo
tutti i giorni:
non capivano perché un cattolico difendesse
dei musulmani.
«Non è stata una decisione, è semplicemente successo.
Come sacerdote, io non posso appoggiare
l’omicidio di un uomo. Siamo tutti esseri umani:
la religione non conta.
Anche se un anti-balaka viene qui ed è ferito,
io lo curo.
Non mi importa chi è, qual è la sua religione
e cos’ha fatto nella vita. È un uomo e io lo curo».
IL CONTAGIO. Padre Kinvi è arrivato
a proteggere fino a 1.500 musulmani.
Quelli che non riusciva a difendere, li seppelliva.
«Quando camminavo per strada, gli anti-balaka
venivano a dirmi: noi facciamo il nostro lavoro,
padre, e tu fai il tuo. Noi li uccidiamo e tu li seppellisci».
Mese dopo mese, padre Kinvi
è riuscito a trasferire tutti i musulmani
che ne avevano bisogno in Camerun,
dove sarebbero stati al sicuro.
L’ha fatto anche con l’aiuto degli stessi anti-balaka,
in qualche modo «contagiati» dal suo comportamento:
«Ho passato settimane a curare gli anti-balaka.
Un giorno dovevo evacuare dei rifugiati.
Un gruppo di persone mi ha aiutato a farli
salire sui camion.
Molti avevano dei talismani al collo.
Erano miliziani, ma quel giorno mi hanno aiutato».
Anche i cristiani di Bossemptele sono stati
contagiati dal comportamento di padre Kinvi:
«All’inizio gli anti-balaka uccidevano
tutti i musulmani, uno a uno.
Poi però la gente ha cominciato a proteggerli
e anche loro hanno smesso di ucciderli.
Mi hanno portato molti musulmani perché
li difendessi e tanti cristiani
li hanno nascosti nelle loro case»,
rischiando la vita.
«ESSERE PRETE».
Racconta di non avere dormito per mesi,
nel terrore che gli anti-balaka
entrassero nella sua missione.
Un’esperienza che gli ha fatto capire
cosa significhi essere un prete:
«Quando sono diventato sacerdote,
ho promesso di servire i malati anche a costo
di mettere la mia vita in pericolo.
L’ho detto ma non sapevo realmente
che cosa significasse.
Quando però è sopraggiunta la guerra,
ho capito bene che cosa voleva dire rischiare la vita.
Essere un prete non è solo dare benedizioni.
È molto di più:
significa stare a fianco di coloro che hanno perso tutto».
http://www.tempi.it/centrafrica-padre-kinvi-ha-rischiato-la-vita-per-salvare-1-500-musulmani-questo-significa-essere-prete#.VG4RQ9KG_To
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