Cristiani in Pakistan, in croce senza paura
Il frate cappuccino Francis Nadeem propone un cambio di paradigma: da «minoranze» a «minori», persone che, in umiltà e mitezza, incarnano lo spirito evangelico, senza indulgere nel «persecuzionismo».
«La nostra speranza è Cristo crocifisso e risorto. E se ci minacciano e ci uccidono? Avremo fatto l’esperienza di Cristo, saremo davvero come lui. La sofferenza o la persecuzione non ci spaventano e non ci tolgono la speranza. Se non avessimo questa speranza, migliaia di cristiani si sarebbero già convertiti all’islam». Parla a Vatican Insider con estrema libertà interiore, con le parole semplici e immediate di un uomo pacificato, fra Francis Nadeem, provinciale dei padri Cappuccini in Pakistan, riferendosi alla condizione dei cristiani nella «terra dei puri».
Le notizie di violenze contro i cristiani si susseguono e la comunità dei credenti in Pakistan – l’1,6% su 180 milioni di abitanti, popolazione al 95% islamica – subisce con cadenza regolare attacchi perpetrati da gruppi estremisti e terroristi, ma anche dai «musulmani della porta accanto», istigati spesso dagli imam delle moschee.
Gli ultimi episodi raccontano questo duplice trend: da un lato si ricordano i due attacchi kamikaze contro due chiese a Lahore, il 15 marzo scorso, premeditati e organizzati da mano terrorista. Dall’altro, sempre a Lahore, il 24 maggio la comunità del quartiere cristiano di Sanda è sfuggita a una «punizione collettiva» – che avrebbe potuto essere un bagno di sangue – generata da una presunta blasfemia commessa da un cristiano locale. In questo caso, come di rado avviene, la prontezza della dalla polizia, ha evitato una strage.
Nonostante tali episodi che punteggiano da anni la vita di cristiani in Pakistan, Nadeem fugge ogni approccio «persecuzionista» proprio in virtù di quella grazia spirituale che abita il suo cuore e le sue parole: «Come cristiano non temo nulla: vivo costantemente alla presenza di Cristo, in ogni passo del cammino, in ogni momento della giornata». La fede permea ogni atto e ogni gesto della vita quotidiana – spiega il frate – e le parole del salmo «Il Signore è mio pastore, non ho timore» accompagnano ogni attimo della vita del religioso che, lungi dall’essere un eremita, è parroco a Lahore e condirettore della rivista «The Christian view», dunque pienamente immerso nell’azione pastorale, liturgica, culturale, caritativa.
Il francescano spiega: «E’ indubbio che i cristiani in alcuni frangenti ed episodi sono perseguitati, come quando le chiese vengono attaccate o i fedeli sono vittime innocenti della nota legge di blasfemia. Ma la Chiesa non è solo una Ong che lotta per i suoi diritti. Possiamo alzare la nostra voce in modo pacifico e ricordare al governo la necessità di tutelare i nostri diritti. Possiamo indire manifestazioni pubbliche sempre con strumenti nonviolenti come la preghiera e il digiuno».
«Ma Cristo – continua – ci ha insegnato ad andare al di là di questo approccio, che non può essere l’esclusiva reazione dei cristiani. Cristo è venuto a portare nella nostra vita nuova luce e speranza, e ci aiuta a guardare con fede soprattutto i momenti di sofferenza. In Pakistan andiamo avanti con fede e con speranza. Quando siamo sulla croce, quella è la nostra vittoria, perché è la vittoria di Cristo sul male e sulla morte. L’importante per noi e tenere sempre il nome di Cristo sulle labbra e nel cuore».
Il segreto, è secondo Nadeem, «imparare da Cristo l’umiltà e la mitezza: farsi piccoli, testimoniando il Vangelo dell’amore ad ogni persona, cristiana o musulmana, povera o ricca, potente o indigente». Illuminante, a tal proposito, la proposta per i cristiani pakistani di «cambiare il paradigma che ne definisce l’identità e la presenza nel paese»: «Più che “minoranze” siamo chiamati a farci “minori”, cioè a stare accanto agli ultimi, a stare dalla parte dei poveri e degli esclusi, offrendo la nostra testimonianza di fede».
Questa è una caratteristica propria del carisma francescano. I seguaci del santo di Assisi in Pakistan (600 in tutto, tra religiosi e laici) si fanno alfieri dello spirito delle beatitudini: «I francescani sono uomini di pace e di riconciliazione. Anche i musulmani conoscono e apprezzano Francesco d’Assisi e questa è un ottimo inizio per un dialogo fecondo. Nella nostra presenza, diamo l’esempio non solo proclamando i diritti umani, ma anche e soprattutto dispensando evangelicamente il perdono e vivendo l’amore al nemico. Siamo cristiani, siamo felici di esserlo qui, di avere una speranza che fonda la nostra vita».
A questo punto, «i gruppi che ci odiano o ci aggrediscono non possono nulla. La risposta alla violenza è la pace e la preghiera. Come ci insegna il Vangelo, sappiamo che solo l’amore e la nonviolenza possono cambiare i cuori dei violenti», rimarca. E in questo cammino «Papa Francesco, uomo evangelico, è un modello ed è fonte di continuo incoraggiamento per noi».
«La nostra speranza è Cristo crocifisso e risorto. E se ci minacciano e ci uccidono? Avremo fatto l’esperienza di Cristo, saremo davvero come lui. La sofferenza o la persecuzione non ci spaventano e non ci tolgono la speranza. Se non avessimo questa speranza, migliaia di cristiani si sarebbero già convertiti all’islam». Parla a Vatican Insider con estrema libertà interiore, con le parole semplici e immediate di un uomo pacificato, fra Francis Nadeem, provinciale dei padri Cappuccini in Pakistan, riferendosi alla condizione dei cristiani nella «terra dei puri».
Le notizie di violenze contro i cristiani si susseguono e la comunità dei credenti in Pakistan – l’1,6% su 180 milioni di abitanti, popolazione al 95% islamica – subisce con cadenza regolare attacchi perpetrati da gruppi estremisti e terroristi, ma anche dai «musulmani della porta accanto», istigati spesso dagli imam delle moschee.
Gli ultimi episodi raccontano questo duplice trend: da un lato si ricordano i due attacchi kamikaze contro due chiese a Lahore, il 15 marzo scorso, premeditati e organizzati da mano terrorista. Dall’altro, sempre a Lahore, il 24 maggio la comunità del quartiere cristiano di Sanda è sfuggita a una «punizione collettiva» – che avrebbe potuto essere un bagno di sangue – generata da una presunta blasfemia commessa da un cristiano locale. In questo caso, come di rado avviene, la prontezza della dalla polizia, ha evitato una strage.
Nonostante tali episodi che punteggiano da anni la vita di cristiani in Pakistan, Nadeem fugge ogni approccio «persecuzionista» proprio in virtù di quella grazia spirituale che abita il suo cuore e le sue parole: «Come cristiano non temo nulla: vivo costantemente alla presenza di Cristo, in ogni passo del cammino, in ogni momento della giornata». La fede permea ogni atto e ogni gesto della vita quotidiana – spiega il frate – e le parole del salmo «Il Signore è mio pastore, non ho timore» accompagnano ogni attimo della vita del religioso che, lungi dall’essere un eremita, è parroco a Lahore e condirettore della rivista «The Christian view», dunque pienamente immerso nell’azione pastorale, liturgica, culturale, caritativa.
Il francescano spiega: «E’ indubbio che i cristiani in alcuni frangenti ed episodi sono perseguitati, come quando le chiese vengono attaccate o i fedeli sono vittime innocenti della nota legge di blasfemia. Ma la Chiesa non è solo una Ong che lotta per i suoi diritti. Possiamo alzare la nostra voce in modo pacifico e ricordare al governo la necessità di tutelare i nostri diritti. Possiamo indire manifestazioni pubbliche sempre con strumenti nonviolenti come la preghiera e il digiuno».
«Ma Cristo – continua – ci ha insegnato ad andare al di là di questo approccio, che non può essere l’esclusiva reazione dei cristiani. Cristo è venuto a portare nella nostra vita nuova luce e speranza, e ci aiuta a guardare con fede soprattutto i momenti di sofferenza. In Pakistan andiamo avanti con fede e con speranza. Quando siamo sulla croce, quella è la nostra vittoria, perché è la vittoria di Cristo sul male e sulla morte. L’importante per noi e tenere sempre il nome di Cristo sulle labbra e nel cuore».
Il segreto, è secondo Nadeem, «imparare da Cristo l’umiltà e la mitezza: farsi piccoli, testimoniando il Vangelo dell’amore ad ogni persona, cristiana o musulmana, povera o ricca, potente o indigente». Illuminante, a tal proposito, la proposta per i cristiani pakistani di «cambiare il paradigma che ne definisce l’identità e la presenza nel paese»: «Più che “minoranze” siamo chiamati a farci “minori”, cioè a stare accanto agli ultimi, a stare dalla parte dei poveri e degli esclusi, offrendo la nostra testimonianza di fede».
Questa è una caratteristica propria del carisma francescano. I seguaci del santo di Assisi in Pakistan (600 in tutto, tra religiosi e laici) si fanno alfieri dello spirito delle beatitudini: «I francescani sono uomini di pace e di riconciliazione. Anche i musulmani conoscono e apprezzano Francesco d’Assisi e questa è un ottimo inizio per un dialogo fecondo. Nella nostra presenza, diamo l’esempio non solo proclamando i diritti umani, ma anche e soprattutto dispensando evangelicamente il perdono e vivendo l’amore al nemico. Siamo cristiani, siamo felici di esserlo qui, di avere una speranza che fonda la nostra vita».
A questo punto, «i gruppi che ci odiano o ci aggrediscono non possono nulla. La risposta alla violenza è la pace e la preghiera. Come ci insegna il Vangelo, sappiamo che solo l’amore e la nonviolenza possono cambiare i cuori dei violenti», rimarca. E in questo cammino «Papa Francesco, uomo evangelico, è un modello ed è fonte di continuo incoraggiamento per noi».
Di Paolo Affatato per Vatican Insider (La Stampa)
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