domenica 26 luglio 2015

Ho Feng-Shan, lo “Schindler cinese” che salvò migliaia di ebrei dallo sterminio. E non lo raccontò a nessuno

Ho Feng-Shan, lo “Schindler cinese” 

che salvò migliaia di ebrei dallo sterminio. 

E non lo raccontò a nessuno

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Luglio 26, 2015 Leone Grotti
Da console generale cinese a Vienna, rischiò vita e carriera per concedere tra i 2.000 e i 4.000 visti per Shanghai a ebrei. Dal 2000 è “Giusto tra le nazioni”
Ho-Feng-Shan-yad-vashem«La stragrande maggioranza della gente che è stata salvata non sapeva neanche il suo nome, non aveva idea di chi fosse. Loro si mettevano solo in fila per avere un visto, e sapevano che solo all’ambasciata cinese l’avrebbero ottenuto». Se nel 1997 Ho Manli non avesse scritto un lungo articolo sul Boston Globe in memoria di suo padre, Ho Feng-Shan (letteralmente, la “fenice della montagna”), che era appena morto, il mondo non sarebbe mai venuto a sapere dell’incredibile storia dello “Schindler cinese”.
GIUSTO TRA LE NAZIONI. Ho è stato console generale a Vienna della Repubblica di Cina dal 1938 al 1940 (di lì a pochi anni il suo paese sarebbe stato conquistato dai comunisti di Mao Zedong), e in quel periodo ha salvato dalla persecuzione nazista almeno 2 mila ebrei, forse anche il doppio. È stato uno dei primi a mettere in salvo gli ebrei, nonostante l’opposizione dei suoi superiori e le minacce della Gestapo, e nel 2000 è stato definito dallo Yad Vashem “Giusto tra le nazioni”, unico cinese insieme a Pan Yun-shun.
VIETATO CONCEDERE VISTI. Quando nel 1938 la Germania invase l’Austria, Ho aveva 37 anni e aveva appena cominciato a lavorare al consolato. I nazisti fecero di tutto per cacciare i circa 185 mila ebrei che vivevano in Austria, ma per andarsene era necessario un visto, foglio di via che nessuno Stato al mondo voleva concedere loro a causa delle strettissime politiche immigratorie. Anche l’ambasciatore cinese a Berlino, Chen Jie, si era raccomandato che nessun visto venisse concesso agli ebrei, ma Ho agì diversamente.
GLI EBREI SALVATI. Poiché il diplomatico era umile e non amava vantarsi, sia durante la sua “vita attiva” sia nelle sue memorie parlò pochissimo di ciò che aveva fatto. Per certo si sa solamente che il 27 ottobre 1938, pochi mesi dopo l’inizio del suo mandato, aveva già rilasciato 1.906 visti ad ebrei. È probabile che in tutto ne abbia salvati circa 4.000, concedendo i lasciapassare per Shanghai, da dove gli ebrei avevano la libertà di spostarsi in tutto il mondo.
LE ACCUSE DEI SUPERIORI. Quando Chen, il superiore di Ho, si accorse che l’ambasciata cinese continuava a rilasciare visti, gli ordinò di smetterla per mantenere i buoni rapporti con Berlino. Accusò anche Ho di essere corrotto e di venderli per trarne profitto, ma l’indagine aperta finì in un nulla di fatto. Ho però pagò il suo coraggio, visto che negli archivi è rimasta una nota di demerito a suo carico. Nel 1940, dopo aver lasciato Vienna ed essersi unito al governo nazionalista a Taiwan, sconfitto dalla rivoluzione maoista, lo “Schindler cinese” lavorò in Egitto, Turchia, Messico e Colombia prima di stabilirsi a San Francisco, dove morì nel 1997.
«MI HA FIRMATO 20 VISTI». Solo dopo la sua morte, la figlia Manli (foto sotto, insieme al fratello Ho Manto) cominciò un lavoro certosino, nel tentativo di trovare gli ebrei che il padre aveva salvato. Rintracciarli tutti fu impossibile, ma dalle poche testimonianze raccolte si capisce l’entità dell’opera di Ho. «Avevo girato 50 consolati e tutti mi avevano negato il visto», ha raccontato Eric Goldstaub, oggi ultranovantenne, salvato da Ho all’età di 17 anni e residente a Toronto. «Quando sono entrato nel consolato cinese, lui mi ha accolto con mia grande sorpresa, mi ha sorriso e mi ha firmato 20 visti per tutta la mia famiglia. Senza di lui, quante persone oggi non esisterebbero!».
SALVATI DAI LAGER. Per salvare altre famiglie, Ho ha affrontato gli uomini della Gestapo, che gli puntarono la pistola alla fronte perché la smettesse di distribuire visti. Lui continuò e concedendo i documenti ai Rosenberg, li fece uscire di prigione e permise loro di fuggire a Shanghai. La famiglia di Karl Lang, invece, grazie al visto venne fatta uscire dal campo di concentramento di Dachau. Altri scamparono alla morte a cui sarebbero stati destinati nel lager di Buchenwald.
Ho-manli-yad-vashem
QUEI DOCUMENTI LANCIATI. Anche Gerda Gottfried Kraus, oggi residente in Canada, è stata salvata: «Mio marito era in fila al consolato cinese nella speranza di ottenere i documenti. La coda era lunghissima. Vide una macchina del consolato arrivare e fece in tempo a gettare la sua domanda compilata nell’auto attraverso il finestrino. Pochi giorni dopo ricevette una telefonata dal consolato: il nostro visto era pronto».
«I DEMONI DI HITLER». Sulla sua incessante attività, Ho lasciò queste poche righe scritte nelle sue memorie: «A partire dall’Anschluss, la persecuzione degli ebrei da parte dei “demoni” di Hitler è diventata sempre più feroce. Io ho usato ogni mezzo possibile per aiutarli, senza risparmiare le mie forze, e salvare innumerevoli ebrei». Quest’anno, in occasione del 70esimo anniversario della vittoria degli Alleati nella Seconda Guerra mondiale e di quella cinese nella guerra sino-giapponese, Taiwan conferirà a Ho un riconoscimento speciale «per aver salvato molte vite, anche se questo riconoscimento arriva con molti anni di ritardo».
«RESTITUIRE I DONI DI DIO». Ma perché lo “Schindler cinese” ha rischiato la vita e la carriera per salvare gli ebrei? Lo ha spiegato la figlia Manli. Il padre era nato nel 1901 nella Cina rurale a Yiyang (Hunan). Di famiglia poverissima, a sette anni era rimasto da solo con le sorelle per la morte del padre. È solo grazie a una missione cristiana se ha avuto la possibilità di ricevere un’educazione e studiare, fino a diventare console generale. «Nelle sue memorie – racconta Manli – afferma di essere stato educato al sacrificio di sé e all’importanza di restituire i doni ricevuti. Lui credeva che Dio lo avesse benedetto con molti doni e credeva che questi non fossero solo per lui, ma che dovesse usarli per servire gli uomini e la società. Questo è uno dei fattori che lo hanno spinto a salvare tanti ebrei in Austria. Lui diceva che vedendo il destino a cui erano condannati gli ebrei, non si poteva non provare compassione per loro. Per lui era naturale fare qualcosa, si sentiva obbligato ad aiutarli dal punto di vista umano».


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