venerdì 24 luglio 2015

I numeri clamorosi sui costi dello Stato

renzi-ansa

23 miliardi. È questa la cifra che, secondo uno studio di Confcommercio, lo Stato potrebbe risparmiare ogni anno se adottasse il modello di amministrazione della Lombardia. Dunque, lo spazio per tagliare le tasse e per non aumentare l’Iva c’è. Se solo si prendesse a modello la regione gestita, guidata e riformata dai famigerati (secondo la favola mediatico-giudiziaria) Formigoni e Maroni, evitando così gli sprechi di cui lo Stato è maestro e prestigiatore. Nel senso della capacità che ha lo Stato di fare intendere che il problema non sta nella resistenza alle riforme e al ridimensionamento della spesa pubblica da parte di chi detiene posizioni di rendita (corporazioni e apparato elefantiaco centralista per cui il debito pubblico italiano continua a crescere e corre ormai verso il 140 per cento): il problema è sempre altro. La corruzione, l’evasione fiscale, i costi della politica, le Regioni, eccetera.
Bene, l’ennesimo studio di Confcommercio è una ulteriore conferma di ciò che è già agli atti della storia di questa Repubblica bananiera. Che questa testata documenta da anni. Ma che i padroni delle banane tendono sistematicamente a ignorare. Vedi, ad esempio, il caso della Commissione Antonini sul federalismo, liquidata giù a Roma perché aveva rivelato lo scandalo di una contabilità nazionale degli enti locali che non si poteva né analizzare, né comparare; tutti pescavano nella stessa cassa statale e ciascuno aveva i propri criteri di contabilità, qualcuno non teneva in ordine neppure i conti (e la Calabria non aveva neppure un bilancio); la Commissione aveva indicato la soluzione ai problemi italiani: costi standard e federalismo serio, solidale ma responsabile, cioè amministratori pubblici sotto il diretto controllo territoriale dei cittadini-elettori.
Oggi, quasi dieci anni dopo, la Commissione finita su un binario morto e i polveroni manipulitisti serviti solo a inventare nuovi idoli moralisteggianti per coprire la resistenza delle corporazioni statali alle riforme, con l’Europa che ci controlla i conti e tiene Roma per gli zebedei (per cui sta benissimo alla Merkel il neo centralismo romano che fa da collettore e semplifica il controllo della “cura” imposta ai tre premier italiani “nominati” da Bruxelles), Confcommercio mette nero su bianco la cifra minima – appunto, 23 miliardi – che lo Stato risparmierebbe se adottasse il modello lombardo di spesa pubblica.
Domanda: mentre Renzi rilancia il sogno dei tagli fiscali e il ministro Padoan studia le coperture per realizzare il sogno, come mai il neo commissario renziano alla spending review ha subito sentito la necessità di ridimensionare l’ennesimo invito a imparare dalla Lombardia come si gestisce al meglio la spesa pubblica?
«La spesa pubblica italiana è, con quella spagnola, tra le più basse d’Europa», dice il commissario Gutgeld. E con questo siamo al celebre sonetto di Trilussa sull’uso politico delle statistiche. Se qualcuno mangia due polli e qualcun altro nessuno, in media abbiamo mangiato un pollo a testa. Così succede con la spesa pubblica nel dato statistico offerto dal commissario. Complessivamente la macchina statale italiana costa un tot – dice il Commissario Gutgeld – che sarebbe inferiore a quello che spende l’hidalgo statale spagnolo. Già. Ma che significa? Siano pochi o tanti, c’è modo e modo di spendere i soldi dei contribuenti, no?
C’è chi spende e spande offrendo alla collettività servizi senza qualità. E c’è chi, invece, come la Lombardia, a costi pro capite inferiori rispetto al resto d’Italia, offre servizi di qualità ed efficienza superiori. Adottando il modello lombardo, rispetto a una spesa complessiva di regioni, comuni e province che ammonta a 176,4 miliardi per fornire beni e servizi pubblici, sarebbe possibile – sostiene Confcommercio – un risparmio teorico di 74,1 miliardi e, reinvestendo 51,2 miliardi, si potrebbe comunque ottenere un risparmio di 23 miliardi. A fronte di un dato del genere, che senso ha obbiettare che la spesa media complessiva nazionale «è tra le più basse d’Europa»? O si contesta lo studio di Confcommercio o si cambia mestiere, compagno Gutgeld.
E dire che 23 miliardi sono un tesoretto vero. Corrisponde a un terzo degli interessi che i contribuenti italiani pagano sul mostruoso debito pubblico. Ed è una cifra che sarebbe sufficiente a garantire un taglio dell’Irap o, in alternativa, la diminuzione della prima aliquota Irpef di circa tre punti percentuali. Ma evidentemente i prestigiatori di Renzi puntano per l’ennesima volta a eludere il nodo dei nodi del debito italiano: un Mezzogiorno che da Roma in giù versa nelle condizioni di default tecnico stile Grecia (vedi ad esempio il caso Atac di Roma: 12 mila dipendenti, un servizio da terzo mondo, un miliardo di buco e metà degli incassi dalla vendita dei biglietti rispetto all’Atm di Milano). Un Centro Italia che da Roma a Bologna vive di economia statale, turismo ultra tassato e “regime” postcomunista efficientato ma illiberale (vedi sanità e istruzione: è lo Stato ente locale che decide dove ti devi curare e come ti devi istruire, la libertà di scelta per il cittadino è pari a zero se non appartiene a una certa estrazione sociale). Un Nord, specialmente concentrato in Lombardia e Veneto, uniche due regioni italiane tradizionalmente governate dal centrodestra, dove da vent’anni si pratica un buono e risparmioso governo. Con libertà di cura, di educazione, di sussidiarietà, di economia liberale e di oculata amministrazione.
Tal che il modello funziona. E funziona così bene, come ricorrentemente segnalano le inchieste socio-economiche serie, che ricorrentemente il governo di Roma si incarica di ignorare e, per di più, punire la Lombardia (tagli lineari, prelievo fiscale record, residuo fiscale bancomat) invece di imparare dal suo buon amministrare. Poco male. Nonostante l’assalto belluino di giornali e magistrati che da anni cercano di abbattere il fortino lombardo (e di mettere le mani sul suo tesoro di 10 milioni di abitanti che trainano l’economia di tutto un paese), il cittadino-elettore ha ormai capito molto bene come “gira il fumo”.
E così la sinistra statalista non può fare altro che divagare, rosicare e, naturalmente, insistere sulla spremitura fiscale. Che per altro non porta alcun beneficio alle altre regioni ma serve soltanto al giochino del buco scavato a Roma e ricoperto al Nord. A moltiplicare le tasse nello stesso momento in cui si promette il taglio delle tasse. A mantenere gli impegni contratti da Roma con l’Europa della Merkel. E poi ci fanno pure la lezione morale. Con la tv dei talk-show e dei giornaloni della Repubblica romana delle banane.

Foto Ansa


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