Carolina Castagna ha aggiunto 29 nuove foto all'album: Storie di Idomeni — presso Idomeni.
Un uomo e suo figlio ci hanno chiesto di portar loro una valigia, una valigia grande per raccogliere tutti i loro averi. La valigia serve per tornare a casa.. è vero, ora che ci penso, non hanno più nessuna casa, ma la sola idea di trascorrere un altro mese nel campo di Idomeni fa rimpiangere perfino le bombe in Siria..
Sirda, viene da Damasco, ha 25 anni (solo un anno più di me) ed è molto bella , ha gli occhi quasi azzurri che dal velo sembrano ancora più intensi. Sono occhi stanchi ma felici, felici di essere lontani dal rumore delle bombe. Parla bene l’inglese perché lo ha studiato, mi racconta della sua famiglia.
Mi dà sua figlia in braccio e mi invita a bere un tè nella sua tenda. Sua figlia (la terza) ha un anno e tre mesi ed è paffutella. Le piaccio! Mi tocca i capelli, giocherella con il mio cartellino identificativo e ride quando le faccio “bubù-settete”.. proprio come Bianca, la mia cuginetta. Sono coetanee e ridono proprio nella stessa maniera. Hanno colori diversi e storie completamente diverse ma si assomigliano tantissimo.
E’ ora di andare, devo ragguingere gli altri volontari per la distribuzione di una parte degli aiuti portati dall’Italia. Saluto e scherzando dico a Sirda: “La bimba la porto in Italia con me, ok?”
Lei cambia espressione, diventa quasi rassegnata ma allo stesso tempo speranzosa e mi dice “Puoi farlo davvero?”. Capisco che lei vorrebbe realmente che io portassi la sua bambina in Italia, sarebbe disposta a lasciarla per regalarle un futuro incerto ma diverso.
Mi darebbe sua figlia.
Mi dà sua figlia in braccio e mi invita a bere un tè nella sua tenda. Sua figlia (la terza) ha un anno e tre mesi ed è paffutella. Le piaccio! Mi tocca i capelli, giocherella con il mio cartellino identificativo e ride quando le faccio “bubù-settete”.. proprio come Bianca, la mia cuginetta. Sono coetanee e ridono proprio nella stessa maniera. Hanno colori diversi e storie completamente diverse ma si assomigliano tantissimo.
E’ ora di andare, devo ragguingere gli altri volontari per la distribuzione di una parte degli aiuti portati dall’Italia. Saluto e scherzando dico a Sirda: “La bimba la porto in Italia con me, ok?”
Lei cambia espressione, diventa quasi rassegnata ma allo stesso tempo speranzosa e mi dice “Puoi farlo davvero?”. Capisco che lei vorrebbe realmente che io portassi la sua bambina in Italia, sarebbe disposta a lasciarla per regalarle un futuro incerto ma diverso.
Mi darebbe sua figlia.
Sabato sono stata in cucina.
Poco distante dal campo di Idomeni c’è una cucina meravigliosa dove volontari di tutte le nazionalità, ogni giorno, preparano più di 5000 pasti per i profughi. È una bizzarra routine dove c’è chi parte e chi resta, tutti si conoscono anche se non si conoscono veramente, si salutano, tra una chiacchiera e un po’ di musica techno o reggae, pelano patate, zenzero, cipolle, aglio, preparano il riso e una zuppa tipica che viene servita al campo, la “ciorba”. A me oggi tocca l’aglio, una quantità di aglio da pelare mai vista in vita mia. Siamo sotto al sole cocente, è arrivata l’estate qui in Grecia, fanno 30 gradi ma tutti lavorano senza lasciare mai la postazione. Mi ritaglio un pezzetto di ombra, mi siedo su una cassa di arance vuota e continuo a pelare l’aglio per ore..Sembra non finire mai.
Poi arriva il momento della distribuzione del primo pasto; il menù di oggi è costituito da una tazza di ciorba (deliziosa) e un uovo sodo. Nutriente e saporito. Al campo ci aspettano, senza di noi non mangerebbero. Ci vedono arrivare e silenziosamente adulti, donne, ragazzi, bambini si mettono in fila davanti al camion. Fanno due file parallele e aspettano ordinati. Solo i bimbi fanno un po’ di casino, si fanno i dispetti e schiamazzano, litigano, i più piccoli cadono e piangono. Non importa quanto tempo bisogna aspettare, ce n’è per tutti! Aspettano e finalmente mangiano. Ciascuno, quando arriva il proprio turno, mi guarda negli occhi, prende dalle mie mani, munite di guanti, la sua porzione e mi ringrazia dicendo “Thank you my friend”. E sorridiamo sia io che lui.
Poco distante dal campo di Idomeni c’è una cucina meravigliosa dove volontari di tutte le nazionalità, ogni giorno, preparano più di 5000 pasti per i profughi. È una bizzarra routine dove c’è chi parte e chi resta, tutti si conoscono anche se non si conoscono veramente, si salutano, tra una chiacchiera e un po’ di musica techno o reggae, pelano patate, zenzero, cipolle, aglio, preparano il riso e una zuppa tipica che viene servita al campo, la “ciorba”. A me oggi tocca l’aglio, una quantità di aglio da pelare mai vista in vita mia. Siamo sotto al sole cocente, è arrivata l’estate qui in Grecia, fanno 30 gradi ma tutti lavorano senza lasciare mai la postazione. Mi ritaglio un pezzetto di ombra, mi siedo su una cassa di arance vuota e continuo a pelare l’aglio per ore..Sembra non finire mai.
Poi arriva il momento della distribuzione del primo pasto; il menù di oggi è costituito da una tazza di ciorba (deliziosa) e un uovo sodo. Nutriente e saporito. Al campo ci aspettano, senza di noi non mangerebbero. Ci vedono arrivare e silenziosamente adulti, donne, ragazzi, bambini si mettono in fila davanti al camion. Fanno due file parallele e aspettano ordinati. Solo i bimbi fanno un po’ di casino, si fanno i dispetti e schiamazzano, litigano, i più piccoli cadono e piangono. Non importa quanto tempo bisogna aspettare, ce n’è per tutti! Aspettano e finalmente mangiano. Ciascuno, quando arriva il proprio turno, mi guarda negli occhi, prende dalle mie mani, munite di guanti, la sua porzione e mi ringrazia dicendo “Thank you my friend”. E sorridiamo sia io che lui.
Cammino sui binari del treno, accanto al filo spinato, sto distribuendo impermeabili per i bimbi.. E’ vero che ora non piove, ma quando piove, qui, succede davvero un disastro.
Le tende si allagano e si rompono, c’è fango ovunque, e non ci si può muovere. Gli impermeabili serviranno prima o poi anche se i bambini restano un po’ delusi al vederli. Mi fermo in una tenda, c’è una signora, che potrebbe avere qualsiasi età, con tantissimi bambini chiassosi che giocano, mi racconta che sono tutti figli suoi. Sono sei! Anche lei parla perfettamente inglese, era una insegnante ad Aleppo. Suo marito si trova nella tenda accanto, sta giocando a carte e fuma una sigaretta con dei ragazzi, accenniamo un saluto. Lui invece era un avvocato nella sua vita precedente, quella in Siria. Lei mi invita nella sua tenda, non posso rifiutare. Mi offre dei frutti verdi piccoli, strani ed aspri, non posso rifiutare nemmeno quelli. Fingo che mi piacciano! Mi fa cenno di entrare e mi fa spazio. Mi levo le scarpe e mi siedo accanto a lei e alla ciurma di marmocchi che urla e ride. Lei li sgrida e li fa stare un po’ tranquilli. Allora prende il suo smartphone, credo sia un Samsung, sblocca il codice e mi mostra le foto di sei mesi fa, quando erano ancora a casa, in Siria. Ad Aleppo avevano una villa molto bella, spaziosa, con un portico e un giardino disordinato pieno di giochi. Lei mi fissa con occhi nostalgici ma si capisce che è contenta, contenta di essere fuggita da quell’inferno che si è scatenato a due passi dal suo giardino. Mi guardo intorno e osservo la tenda dove mi trovo. Fa un caldo bestiale, il materiale argentato di cui è fatta la tenda attira il sole, ci sono le mosche che si posano ovunque, c’è un odore strano di chiuso e di cibo.
Sono in otto dentro a questa tenda, che ad occhio e croce è più piccola del bagno della mia camera eppure ridono; sono in Europa.
Le tende si allagano e si rompono, c’è fango ovunque, e non ci si può muovere. Gli impermeabili serviranno prima o poi anche se i bambini restano un po’ delusi al vederli. Mi fermo in una tenda, c’è una signora, che potrebbe avere qualsiasi età, con tantissimi bambini chiassosi che giocano, mi racconta che sono tutti figli suoi. Sono sei! Anche lei parla perfettamente inglese, era una insegnante ad Aleppo. Suo marito si trova nella tenda accanto, sta giocando a carte e fuma una sigaretta con dei ragazzi, accenniamo un saluto. Lui invece era un avvocato nella sua vita precedente, quella in Siria. Lei mi invita nella sua tenda, non posso rifiutare. Mi offre dei frutti verdi piccoli, strani ed aspri, non posso rifiutare nemmeno quelli. Fingo che mi piacciano! Mi fa cenno di entrare e mi fa spazio. Mi levo le scarpe e mi siedo accanto a lei e alla ciurma di marmocchi che urla e ride. Lei li sgrida e li fa stare un po’ tranquilli. Allora prende il suo smartphone, credo sia un Samsung, sblocca il codice e mi mostra le foto di sei mesi fa, quando erano ancora a casa, in Siria. Ad Aleppo avevano una villa molto bella, spaziosa, con un portico e un giardino disordinato pieno di giochi. Lei mi fissa con occhi nostalgici ma si capisce che è contenta, contenta di essere fuggita da quell’inferno che si è scatenato a due passi dal suo giardino. Mi guardo intorno e osservo la tenda dove mi trovo. Fa un caldo bestiale, il materiale argentato di cui è fatta la tenda attira il sole, ci sono le mosche che si posano ovunque, c’è un odore strano di chiuso e di cibo.
Sono in otto dentro a questa tenda, che ad occhio e croce è più piccola del bagno della mia camera eppure ridono; sono in Europa.
TUTTI DOVREMMO CONOSCERE LE STORIE IDOMENI.
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