domenica 24 luglio 2016

La sera prendo un treno che da Mosca arriva alla stazione di Pot’ma


foto di Stefano Salvanelli.

Da tre anni visito regolarmente il carcere che si trova nella repubblica Mordova. La sera prendo un treno che da Mosca arriva alla stazione di Pot’ma alle 4 del giorno dopo e aspetto fino alle 9 che un poliziotto mi accompagni in carcere. Nell’attesa, ho il tempo per riposare e pregare in una delle camere della stazione. Durante uno dei primi viaggi, Elena Ivanovna, l’impiegata che si occupa dell’ospitalità, mi aveva chiesto: «Perché lo fa? È pagato, vero?». Quando le risposi che lo facevo gratuitamente, per sostenere la fede e la speranza delle persone che incontravo, Elena mi raccontò la sua vita: il marito alcolizzato, i figli ormai grandi. «Che senso ha tutto quello che ho fatto se ora resto sola?» mi chiese. Da quel giorno, questa donna sconosciuta non è più un’estranea per me: ci unisce lo stesso desiderio che la vita abbia un senso. Non comprende – lei che non riesce nemmeno più a guardare in faccia il padre dei suoi figli – come sia possibile avere tanta attenzione per gente che ha commesso gravi delitti. È vero, le rispondo: è impossibile all’uomo ma non a Dio. È possibile se sai di essere stato amato senza averlo meritato. È la vocazione, la scoperta che all’origine della propria vita c’è un atto d’amore assolutamente gratuito che è misericordia. Quando accade, non puoi non desiderare che tutti ne facciano esperienza.

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