
Da tre anni visito regolarmente il carcere che si trova nella repubblica Mordova. La sera prendo un treno che da Mosca arriva alla stazione di Pot’ma alle 4 del giorno dopo e aspetto fino alle 9 che un poliziotto mi accompagni in carcere. Nell’attesa, ho il tempo per riposare e pregare in una delle camere della stazione. Durante uno dei primi viaggi, Elena Ivanovna, l’impiegata che si occupa dell’ospitalità, mi aveva chiesto: «Perché lo fa? È pagato, vero?». Quando le risposi che lo facevo gratuitamente, per sostenere la fede e la speranza delle persone che incontravo, Elena mi raccontò la sua vita: il marito alcolizzato, i figli ormai grandi. «Che senso ha tutto quello che ho fatto se ora resto sola?» mi chiese. Da quel giorno, questa donna sconosciuta non è più un’estranea per me: ci unisce lo stesso desiderio che la vita abbia un senso. Non comprende – lei che non riesce nemmeno più a guardare in faccia il padre dei suoi figli – come sia possibile avere tanta attenzione per gente che ha commesso gravi delitti. È vero, le rispondo: è impossibile all’uomo ma non a Dio. È possibile se sai di essere stato amato senza averlo meritato. È la vocazione, la scoperta che all’origine della propria vita c’è un atto d’amore assolutamente gratuito che è misericordia. Quando accade, non puoi non desiderare che tutti ne facciano esperienza.
Nessun commento:
Posta un commento