E' molto interessante, lucido non considera i mussulmani
come estremisti, ma neanche dice che le religioni sono
tutte uguali come a volte si sente dire
noi non conosciamo i mussulmani che anche a Piacenza
vivono, mangiano e ci vendono qualcosa nella giornata
...leggetelo se potete, ...fino in fondo.
cito dal testo
"Il dialogo deve essere onesto, lucido, esigente,
andare fino al fondo di me e dell’altro;
io sono convinto che si possa costruire insieme una società, con i musulmani,
ma non a qualunque condizione."
Origini e natura dell'islam
Per cominciare a capire l'islam,
una prima lezione tenuta dal professor Samir Khalil SAMIR
al Centro di Studi sull'Ecumenismo di Milano
nell'ottobre
2000 sulla panoramica delle sue origini
Centro
di Studi sull’Ecumenismo
Lezione
del professor
Samir Khalil SAMIR
Milano, 9 ottobre 2000 - 27 Dicembre 2004
Appunti non rivisti dall’autore
Fonte come da
titolazione,
rilevato da Ciani Vittorio x
l’Ufficio Documentazione Diocesi Piacenza-Bobbio.
Totus Tuus”‑ Pagine cattoliche ‑ Banca dati
di libera consultazione. Documenti e testi su vita, dottrina, teologia,
spiritualità e numerosi altri argomenti con materiale correlato.
Samir Khalil Samir
Se vogliamo capire il Cristianesimo, dobbiamo per forza
tornare anche alle sue origini; per poter comprendere il XXI secolo dobbiamo
conoscere il Vangelo e la Chiesa primitiva. Questo vale anche per l’islam, come
per tutte religioni e realtà. Perciò è stato suggerito di cominciare questo
corso con una lezione sulle origini dell’islam. Non cercherò di dare tutti i
dati e i particolari, ma piuttosto una panoramica.
L’islam nasce in Arabia, a La Mecca e a Medina, le due città
principali dell’Arabia. L’islam nasce nel 610 e Maometto muore nel 632: in
questi 22 anni la storia dell’Arabia, poi del Medio Oriente e del mondo intero,
è stata cambiata attraverso una personalità straordinaria, quella di Maometto.
A. Maometto a La Mecca
1. Esperienza spirituale e prima predicazione
A 40 anni Maometto fa l’esperienza spirituale di Dio nel
deserto e decide di dedicare l’esistenza a far conoscere questo Dio unico, che
nel suo ambiente non era sconosciuto, ma non era diffuso. Non era sconosciuto
perché in Arabia risiedevano alcuni ebrei e numerosi cristiani; addirittura gli
unici regni arabi conosciuti prima dell’islam – i “tre regni” – erano regni
arabo-cristiani. Questo lo dico solo per ricordare che l’arabo non è musulmano tout court, ma può esserlo; gli arabi
prima dell’islam erano pagani, cristiani e, forse, ebrei[1].
Dunque l’atmosfera in Arabia era pronta ad accogliere il
monoteismo in misura maggiore, ma è Maometto che dedica tutte le sue energie ad
annunciare questo Dio unico. Nei momenti di maggiore isolamento, Maometto cerca
l’appoggio anzitutto dei cristiani ed ebrei de La Mecca, e poi anche degli
ebrei di Medina, ma non avrà sempre il successo scontato.
Che cosa predica Maometto? A La Mecca la predicazione è
chiara, semplice e religiosa: c’è un solo Dio, c’è un giudizio eterno, ognuno
sarà giudicato secondo i suoi atti, e la conseguenza sarà il castigo, l’inferno
per chi ha fatto il male, il paradiso eterno per chi ha fatto il bene. Maometto
dice di essere il profeta di Dio e predica di conseguenza la giustizia sociale,
con accenti simili a quelli del profeta Amos nell’Antico Testamento.
Ogni volta che viene interrogato, risponde: «Se non credete
a me, chiedete alla gente del libro»,
cioè a quelli che hanno ricevuto un libro rivelato. Questo è il significato
dell’espressione gente del libro:
ebrei e cristiani, perché per il momento i musulmani non hanno un libro[2]. Maometto cerca il loro appoggio; ed
essi lo seguono per ciò che riguarda il monoteismo, le dottrine circa l’ultimo
giorno, la resurrezione, ecc., ma non accettano mai la sua pretesa, la
profezia.
2. L’opposizione dei meccani
La Mecca era il centro dell’Arabia, un centro commerciale
importantissimo ed anche un centro religioso dove tutti gli dei della penisola
erano adorati con dei riti particolari; durante un mese di pellegrinaggio tutte
le tribù arabe si radunavano lì per adorare i propri dei, per comprare e
vendere e fare il loro negozio, e per competere in gare di poesia. La Mecca era
dunque un centro commerciale, religioso, politico e sociale.
La predicazione di Maometto però non piace ai meccani,
perché chiede la solidarietà con i poveri, e viene dunque rifiutata. Da questo
rifiuto Maometto, che è sempre a stretto contatto con ebrei e cristiani, viene
confermato nella sua convinzione di essere profeta: tutti i profeti infatti
erano stati rigettati, nessuno è profeta nel proprio paese.
Poiché la sua tribù di Quraish,
una delle tribù più importanti del La Mecca insieme ad altre 4 o 5, lo rigetta,
Maometto si sente sempre più isolato con i suoi seguaci, un piccolo gruppo di
gente umile ; col crescere dell’opposizione è costretto a farli fuggire in
Etiopia, sede di un regno cristiano. Questa è la prima emigrazione. In Etiopia
i seguaci di Maometto ricevono un’accoglienza molto positiva. Si dice che il
Negus, il re, sentendo tradotti in etiopico i versetti che riguardano l’Annunciazione
nel Corano, che sono bellissimi, si sia commosso e li abbia chiamati fratelli.
3. La fuga (higra) a Medina
Intanto però l’opposizione dei meccani cresce, Maometto non
riesce ad imporsi, e decide di cambiare tattica: si mette d’accordo con la città
rivale, Medina, la seconda città dell’Arabia, a circa 350 km da La Mecca,
Quelli di Medina si accordano con lui e si dicono disposti ad accoglierlo con i
i suoi seguaci. Maometto manda i suoi a piccoli gruppi per non attirare
l’attenzione dei meccani, perché in pratica quello che sta organizzando è un
tradimento della sua tribù. La notte fra il 15 e il 16 luglio 622 Maometto
fugge a Medina (egira)[3].
Maometto fugge dunque a Medina, e lì oltre ai pagani arabi
che lo accolgono, vivono tre tribù ebraiche potenti. Maometto comincia a fare
patti con tutti, anche con gli ebrei, e
organizza la vita sociale, politica, culturale e religiosa dei suoi. Finalmente
a Medina ha le mani libere e può iniziare a realizzare il suo progetto. Di
qui è nato il dibattito attuale fra i
musulmani su quale sia il vero islam, se
quello della prima tappa, de La Mecca, o quello della seconda tappa, di Medina,
perché si tratta di due visioni
dell’islam molto diverse.
A Medina, in un primo tempo, Maometto orienta la preghiera
verso Gerusalemme, come gli ebrei, per guadagnare a sé le tre tribù ebraiche
che sono le più ricche di Medina. Questo anche perché ha bisogno di soldi e di
aiuto, si trova isolato, con un pugno di seguaci, senza terra, senza lavoro; i
suoi uomini devono essere mantenuti da quelli che li hanno accolti. Ha quindi
bisogno di un più largo aiuto. Ma i suoi tentativi di guadagnare gli ebrei non
portano frutto: gli ebrei non lo riconoscono come profeta.
Perciò, dopo circa un anno e mezzo, Maometto cambia rotta:
la preghiera non è più orientata verso Gerusalemme, ma verso La Mecca, per
guadagnare a sé gli arabi pagani, e innanzitutto la sua tribù. Il digiuno, che
prima durava un solo giorno come il Kippur degli ebrei, diventa di un mese, uno dei mesi
sacri.
Poi comincia una serie di razzie per fare bottino e,
soprattutto, per stringere patti con le varie tribù, onde spezzare il suo
isolamento e allargare la propria base. Quando si sente più forte attacca e
guadagna a sé una tribù, sottomettendola e costringendola a pagare un tributo;
quando è di pari forza fa un patto ; e, quando è più debole, evita lo
scontro. Così, grazie alla sua ottima strategia, riesce ad allargare la base
dell’islam, sia numericamente, sia a livello politico. In questo periodo compie
anche qualche tentativo di attacco contro La Mecca, o contro le carovane di
commercianti meccani, ma è troppo rischioso: una volta viene ferito e si teme
per la sua vita. Questa vicenda è stata interpretata dai musulmani come una
vittoria di Maometto, perché potevano ucciderlo e non l’hanno ucciso.
Maometto, a questo punto, si sente abbastanza forte e si
scatena contro gli ebrei, una dopo l’altra le tre tribù ebraiche verranno
escluse da Medina, e i loro beni confiscati a favore dei musulmani. In
quell’occasione, fu combattuta una battaglia rimasta famosa, in un’oasi non
lontana da La Mecca, dove gli ebrei che vi si erano rifugiati furono sconfitti
dopo quarantacinque giorni d’assedio. Questa vittoria è rimasta nella mitologia
araba e ancora oggi i palestinesi la applicano alla guerra contro Israele.
Avendo allargato la sua base con le tribù arabe, essendo
ormai più ricco e più forte militarmente, Maometto può confrontarsi con La
Mecca e due anni prima della morte riesce ad entrare nella città pacificamente,
senza spargimento di sangue, perché i meccani riconoscono la sua supremazia.
Così quasi tutta la penisola araba si converte all’islam. Ho detto “si converte
all’islam”, eppure pare che si tratti solo di una questione militare; in realtà
le due cose sono identiche, perché chi si sottomette al capo Maometto, si
sottomette a lui anche come profeta mandato da Dio, e deve riconoscere l’unico
Dio e il suo profeta. Ciò che è richiesto a chi si sottomette non è solo la
sottomissione politica e militare, ma il riconoscimento dell’unico Dio e del
suo profeta Maometto, e chi si sottomette deve pagare un tributo per mantenere
l’esercito.
Intanto la vita continua: Maometto non combatte soltanto
delle guerre[4]; ci sono anche da risolvere problemi
sociali, economici, di famiglia, matrimoniali, di rapporti con i figli, con gli
schiavi, con gli ebrei, con i cristiani. A tutti questi problemi che gli
vengono presentati dai suoi, Maometto da una risposta in forma di rivelazione:
qualche giorno dopo che un problema specifico era stato posto, viene data una
risposta annunciata come “discesa da Dio” su Maometto.
4. Il corano
Tutto questo all’inizio non era inserito in un libro, ma
veniva memorizzato e talvolta consegnato a pezzi di carta, o meglio, a pezzi di
ossa di cammello o di coccio; in seguito tutti questi pezzi sono stati
raccolti, nel tentativo di ricostituire un libro, ma Maometto stesso non ha mai
voluto che ciò avvenisse mentre lui era vivo.
Per chi ha una cultura cristiana, la lettura del Corano, è
sorprendente, probabilmente dopo un po’ anche deludente, perché il Corano non
ha niente a che vedere con la Bibbia. Ci sono brani che ricordano la Bibbia,
senz’altro i più belli del Corano, ma ci sono anche tante pagine di direttive
pratiche sulla vita quotidiana. Basta prendere i titoli dei capitoli, delle sure: dopo il prefazio, che è un testo
molto bello, viene il “capitolo della vacca”, il “capitolo delle donne”, “della
tavola imbandita”, “delle api”, ecc. Il contenuto talvolta è triviale, si
trovano anche problemi personali di Maometto, ad esempio le difficoltà che ha
avuto con le sue mogli, insieme a belle riflessioni spirituali e preghiere; c’è
un po’ di tutto.
Una delle sure più
belle è quella detta “della fede pura”, la n. 112, che proclama «Dio è l’unico,
Dio è il consistente, non genera e non è generato, non c’è nessuno che gli è
simile». Questo non genera e non è
generato è stato detto contro i pagani arabi, ma verrà rapidamente compreso
come indirizzato contro i cristiani (il Credo dice: “generato, non creato”);
dicendo questi versetti oggi nessuno pensa più ai pagani, ma tutti pensano ai
cristiani. Comunque questo è un brano bellissimo.
Altri invece sono noiosi, e chi li legge in arabo non trova
sempre quello che si chiama “il miracolo del Corano”. Perché dico “il miracolo
del Corano”? Perché, a un certo punto, la gente chiede a Maometto: «Tu pretendi
di essere profeta, e che segno ci dai? Fa’ un miracolo! Nel Corano ci parli di
Mosè e dei suoi miracoli, di Gesù e dei suoi miracoli».
Infatti, nel Corano, troviamo i più importanti miracoli
citati dal Vangelo, ma anche altri presi dai vangeli apocrifi. Ad esempio, vi
si trova l’episodio di Gesù bambino che plasma un uccello con la terra e,
soffiandoci sopra, lo fa volare. Ma, e questo è interessante, in quel versetto
il Corano dice: «Io creo dalla terra la forma di un uccello e ci metto il mio
soffio ed è un uccello». Questa parola creare
è citata cento settantasette volte nel Corano, sempre come atto specifico del
Dio unico, più due volte riferita a Gesù. Cioè, analizzando il testo coranico
riguardo a Gesù, si potrebbero trovare tracce della dottrina della divinità di
Cristo affermata dai cristiani; ovviamente però nel Corano Gesù è unicamente un
uomo.
Comunque, di fronte a questi racconti, gli arabi chiedono a
Maometto di fare un miracolo, come Gesù e come Mosè, ed egli risponde: «Il mio
miracolo è il Corano: producete un solo versetto simile». La tradizione
musulmana dice che i beduini non sono stati capaci di produrre un solo versetto
che sia simile, e dunque questo si chiama “il miracolo del corano”. Maometto
dunque non ha fatto nessun miracolo, però la tradizione posteriore gli
attribuisce molti miracoli; più si va avanti nei secoli, più miracoli vengono attribuiti a Maometto, a
imitazione dei profeti.
B. Il progetto di Maometto per la religione islamica
Se si cerca di individuare il progetto maomettano per la
religione islamica, che cosa risulta?
1. Un progetto complessivo
E’ un progetto complessivo. L’islam non è da capire nel
senso del cristianesimo, come un atteggiamento spirituale e delle norme che
permettono a ognuno di trasformare la propria vita e il mondo. Il Corano è
piuttosto un progetto socio-politico-culturale-religioso, è un progetto
completo.
Questo non ci deve stupire: è il cristianesimo ad essere
un’eccezione nella storia delle religioni, non l’islam. Nella storia delle
religioni, praticamente tutte le religioni che conosciamo rappresentano
l’identità massima di un popolo o di un gruppo. La religione è ciò che
costituisce un popolo: vi si trovano precetti che regolano la relazione con
Dio, con gli altri, con la famiglia, con la società, come organizzare la
società, come mangiare, come vestirsi, come far sesso, vi si trova tutto. Di
solito è così.
Nel Corano e nella tradizione musulmana ciò è molto chiaro.
Aprite qualunque libro delle tradizioni musulmane e ci troverete tutto, a
cominciare con le regole della purificazione legale. Il primo capitolo è
dedicato alla purezza, cioè, alle norme per le abluzioni necessarie per la
preghiera, o per il digiuno. La purezza è vista come nell’Antico Testamento, e
abbiamo un’eco di questa visione nel Vangelo, nel dibattito fra Gesù e i
farisei: è una purezza esclusivamente esteriore. Contro questa concezione
reagisce Cristo dicendo: «Non è ciò che viene dal di fuori che rende l’uomo impuro,
ma ciò che viene dal cuore». La visione dell’Antico Testamento la troviamo
anche nell’islam: se uno non fa le abluzioni prescritte, la sua preghiera non è
recepita da Dio. Le regole della purezza prevedono che io non possa salutare
una donna, perché magari ha le mestruazioni che la rendono impura e,
toccandola, diverrei impuro anch’io. È solo un esempio, ma ce ne sono
centinaia. Tutto è previsto, ma è previsto nel contesto del mondo culturale
arabo del VII secolo.
La cosa più notevole della vita di Maometto sono state le
guerre, 19 secondo la biografia più autorevole, la Sîrah di Ibn Hisciâm, durante il decennio di Medina. Ma anche come
legislatore ha fatto molto: ha fatto progredire tutta la legislazione dei
beduini, che non avevano leggi se non quelle tradizionali.
2. Rapporto al giudaismo e al cristianesimo
Maometto però ha avuto anche un’idea geniale, quella di
collegare questi elementi rituali e giuridici alle religioni monoteiste
esistenti. Anzi, di capire che l’atteggiamento fondamentale del credente è
quello di sottomettersi totalmente al Dio unico; questo è il significato della
parola islam. Per ciò nel Corano egli dice: «La vera religione presso Dio è
l’islam», cioè «L’islam non l’ho inventato io, ma esiste da sempre, è l’atteggiamento
fondamentale dell’uomo». Quando Dio creò Adamo, lo fece musulmano, cioè uno che
si sottomette a Dio[5]. Così appare l’islam come la prima e più
antica religione del mondo, l’unica vera nella quale tutta l’umanità deve
riconoscersi.
Tutto il mondo dunque è musulmano: Adamo è musulmano, Noè è
musulmano, Abramo è musulmano, Gesù è musulmano, e gli apostoli dicono a Gesù:
«Sii testimone che noi siamo musulmani», cioè che siamo sottomessi a Dio.
Questo è geniale, perché significa affermare che l’islam non fa altro che
ripristinare la religione di Dio, quella voluta da sempre, dalla creazione del
mondo. L’ebraismo e il cristianesimo sono musulmani: Mosè ha portato la
versione di musulmanesimo adatta al suo popolo; Gesù ha portato la versione di
musulmanesimo adatta agli ebrei del suo tempo.
A tutti i popoli della terra Dio ha mandato dei messaggeri,
centinaia, forse migliaia. Il Corano ne cita solo una trentina, quelli presi
dalla Bibbia, che non hanno niente a che vedere con ciò che noi chiamiamo i
profeti (Isaia, Geremia, Ezechiele, ecc. sono sconosciuti): profeti sono le
grandi figure bibliche (Abramo, Giuseppe, Isacco, ecc.) e alcune della
mitologia araba.
Tutti i popoli hanno ricevuto un messaggero da Dio, ma
l’ultimo messaggero, quello che è chiamato nel Corano il sigillo dei profeti, è Maometto, ed è venuto a completare e a
correggere tutte le rivelazioni precedenti, a portare l’ultima rivelazione. A
Birmingham, sulla strada per l’aeroporto, si può vedere il muro della moschea,
alto circa trenta metri, largo venti metri, dove è scritto, a caratteri grossi
un metro: «Read the Koran, the last Testament».
Per questo, nella loro prospettiva, i musulmani dicono di
riconoscere tutto ciò che li precede: il cristianesimo e l’ebraismo; nel Corano
ci sono Gesù, Mosè, ecc. Naturalmente quello che dice il Corano riguardo a Gesù
non corrisponde al Vangelo. Sono negate la divinità di Cristo, la Trinità,
l’Incarnazione, addirittura il fatto storico della crocifissione: Gesù non è
stato ucciso e crocifisso, ma è solo sembrato che lo fosse. Che Gesù non è
morto è ripetuto due volte nel Corano; anche se altrove si dice: «Pace su di me
il giorno che son nato, e il giorno che morirò e il giorno che sarò resuscitato».
Gesù nel Corano sta accanto a Dio, ed è l’unico tra tutte le figure del Corano
che stanno con Dio, presso Dio. Malgrado ciò, il Gesù del Corano è
completamente diverso da quello del Vangelo.
Spesso si chiede a noi cristiani perché non riconosciamo la
profezia di Maometto, mentre i musulmani riconoscono la profezia di Gesù: sono
due discorsi che non hanno niente a che vedere. A me, della profezia di Gesù
non importa nulla, perché per noi Gesù è più che profeta. Questo però il
musulmano non lo può riconoscere.
3. Giuridismo dell’islam
L’ebraismo è molto più vicino all’islam che non il
cristianesimo. La prima scienza dell’islam è la giurisprudenza, non la teologia
o la spiritualità, come nella tradizione ebraica. Nell’islam, il sapiente (il faqîh) è quello che conosce tutta la
giurisprudenza; i fedeli vanno da lui a chiedere se, per esempio, in base a
quello che hanno fatto, possono fare la preghiera, ed egli risponde dicendo
cosa devono fare per purificarsi. Prendete il piccolo libretto di Khomeini, un
riassunto dei suoi detti: è un elenco di direttive circa la purezza, la
preghiera, il digiuno, concepiti come atti rituali e formali.
Vorrei chiarire ciò che ho detto ora: la preghiera per un
cristiano è un dialogo con Dio, che prende varie forme, anche quella liturgica.
La preghiera (salât) per un musulmano
è esclusivamente compiere certi riti, come la prostrazione od altri, in modo
perfetto. Dura circa cinque a dieci minuti, cinque volte al giorno. Ma sono
riti. Chi compie questi riti, cioè chi li compie in modo giuridicamente
corretto, essendosi purificato con le abluzioni, ha fatto la preghiera. Chi non
le compie o chi non le può compiere in modo puro, non ha pregato.
Per esempio, la donna quando ha le mestruazioni non può fare
la preghiera, la deve recuperare dopo, in un altro giorno; lo stesso vale per
il digiuno. Tutte le donne normalmente, durante il mese di Ramadan, per alcuni
giorni non possono digiunare, così devono fare durante l’anno il recupero dei
giorni persi. E’ un fatto oggettivo, non soggettivo, non si tratta di
sentimenti.
Facciamo l’esempio del digiuno: consiste a non mangiare, non
bere, non fumare, non introdurre niente nel corpo, dall’alzare del sole al
calare del sole; dopo si mangia, di solito anzi si mangia più che negli altri
giorni e meglio. Questo, a dire il vero, non era lo spirito del Ramadan, ma è
una deformazione che dura da secoli; già nel XI secolo veniva rimproverato
questo tradimento dello spirito originario dal grande teologo Algazel
(al-Ghazzâli). Però di fatto, ha digiunato chi ha adempiuto formalmente le
norme rituali.
4. L’islam è una religione oggettiva e sociale
L’islam è una religione oggettiva: fai questo e tutto va
bene. Questa è la forza dell’islam ed è anche la sua debolezza. Elemento
essenziale della preghiera e del digiuno è che sono atti sociali: tutti si
ritrovano insieme a fare nello stesso istante lo stesso movimento. Spesso
vediamo in televisione l’immagine di tanti uomini prostrati per la preghiera:
anche il fare questo gesto tutti insieme nello stesso momento dà una forza
grandissima, fa sentire la solidarietà tra musulmani. La solidarietà musulmana
è fortissima, ma non è universale, è solo fra musulmani.
Il digiuno, il fatto che tutti faticano e penano, e poi la
sera quando il cannone spara, tutti si precipitano sull’acqua, è un fatto
sociologico. Io nel mese di Ramadan passo tutte le notti con gli amici
musulmani a fare dei festini, non solo per il festino, ma perché è un fenomeno
socialmente straordinario: questa è la forza dell’islam.
Il pellegrinaggio è un incontro politico straordinario, che
coinvolge alcuni milioni di uomini. Questa è la visione di Maometto, questa è
la religione che ha voluto, con grande saggezza, una religione equilibrata che
non chiede troppo.
Per i musulmani, il cristianesimo è sublime, ma è troppo
ideale, nessuno lo può vivere; spesso noi, purtroppo, gli diamo ragione. I
musulmani sostengono che, mentre l’ebraismo è una religione molto vile e bassa
– non è vero, ma loro dicono così ‑, e il cristianesimo è celeste, l’islam ha
combinato questi elementi; quindi, è la religione della ragione. In realtà ci
sono tante cose irrazionali nell’islam, però a forza di ripetere questo uno si
convince, e lo ripetono da secoli.
L’islam è esigente in certe cose, mentre è facile in altre.
È esigente perché impone di pregare cinque volte al giorno, di digiunare; è
facile perché non ho da pormi delle domande: adesso si fa così, e tutti lo
fanno; fare una cosa che fanno tutti è più semplice. L’islam è facile perché
c’è questo sostegno sociale.
Inoltre, è una religione maschile; e, per esempio sul piano
sessuale, l’uomo ha pieni poteri: la donna è concepita solo per il suo piacere
e per la famiglia. Questo è affermato chiaramente nel Corano, che in un versetto
assai traumatizzante dice: «Le donne sono il vostro campo da arare, aratelo
come lo volete»; cioè, per parlare chiaramente, fate sesso con le vostre donne,
sono lì per il sesso, sono a vostra disposizione. Questo definisce tutta la
mentalità.
La spiritualità musulmana esiste, può essere anche molto
profonda, ma può essere anche molto superficiale. Nel cristianesimo grossomodo
tutta la predicazione e tutta la vita dei cristiani e della comunità è
incentrata sulla vita spirituale del singolo; nell’islam questo è più raro.
C. Problema: islam e modernità
L’islam è per alcuni aspetti assai vicino all’ebraismo: prevede
pochi dogmi (solo quello dell’unicità di Dio e della profezia di Maometto), ma
prevede un complesso di norme di vita che, se uno volesse applicarlo alla
lettera, prevede quasi tutto.
A questo punto sorge però un problema, perché tutto questo è
stato concepito nel VII secolo in Arabia, e noi siamo nel XXI secolo e non in
Arabia. Il mondo è cambiato, e sono cambiati anche i musulmani.
1. Concezione coranica della Rivelazione come “discesa”
C’è un dogma essenziale che non ho nominato, quello della
rivelazione coranica, nel senso più materiale della parola. Per il musulmano,
il Corano non è rivelato, o ispirato come per i cristiani, ma è “disceso” (munzal) su Maometto. Il Corano storico è
la trascrizione letterale del Corano che si trova presso Dio e che è “disceso”
e ha preso la forma di questo Corano storico; non è una creazione di Maometto.
Mi ricordo che quando ho fatto l’esame di maturità mi hanno chiesto all’orale chi fosse l’autore
del Corano. Ovviamente era una trappola: che cosa dovevo fare? Da buon
cristiano non potevo dire “Dio”, però se non avessi detto così, avrei rischiato
di essere bocciato. Dietro di me, un amico musulmano mi suggeriva: « Di’
che è Dio, e falla finita!». Voleva aiutarmi! Dio mi ha ispirato in quel
momento, così ho detto:« Per i musulmani è Dio» (descrittivo e non
normativo!).
Questa differenza è essenziale: io quando apro il Vangelo,
leggo: «Vangelo di Gesù Cristo secondo
Matteo, Marco, Luca»: questo secondo
è essenziale (e lo stile si riconosce: quello di Marco non è come quello di
Giovanni). I musulmani pretendono
addirittura di dimostrare che se paragoniamo al computer i detti di Maometto
con il Corano, facendo l’analisi sintattica, lessicografica, ecc., risulterà
che fra i due testi non c’è niente di comune, perché il Corano è la lingua di
Dio, mentre i detti sono lingua di Maometto. Non ho avuto ancora il tempo di
contraddirli, di dimostrare che è falso.
La conseguenza
teologica di questo dogma è gravissima : se il Corano è una “discesa”, allora
non c’è più la possibilità di interpretare. Io posso fare la critica biblica –
ed essa vien fatta non dal tempo dell’Illuminismo, ma cominciando dai padri
della Chiesa dal II secolo in poi –, perché questo testo è rivelato da Dio in
modo umano, perché l’Incarnazione già si fa nella Bibbia. Addirittura i padri
della Chiesa quando scrivono in greco non citano letteralmente, ma a memoria;
questo sarebbe un peccato grave citando il Corano. Una volta che un imam
musulmano – io ho assistito alla scena – nel recitare a memoria dei versetti
del Corano, essendo magari un po’ stanco, ha sbagliato una lettera, e subito
s’è alzato un mormorio di tutti i presenti che l’hanno corretto, e poi ha
sbagliato ancora una seconda e una terza volta, e alla fine si è ritirato
sconvolto perché aveva commesso un grave peccato: aveva deformato la parola
increata di Dio. Per i musulmani il Corano si può paragonare a Cristo: Cristo è
il Verbo incarnato, il Corano – perdonatemi il gioco di parole – è il Verbo
“incartato”.
2. Necessità dell’interpretazione
Un testo simile non mi lascia alcuno spazio di
interpretazione critica o storica, neppure per quegli aspetti che più
palesemente sono legati agli usi e costumi di un contesto storico e culturale
particolare e ormai superato. Questo è il punto: qual è il ruolo della ragione
nell’interpretare il testo? Su questo argomento, Averroé ha scritto un famoso
trattato, tradotto almeno due volte in italiano, Il Trattato decisivo sull’armonia tra la ragione e la legge rivelata,
cioè la sciari’ah, un libro
splendido, straordinario. Tutto ciò che Averroé cerca di dire è che abbiamo
diritto di interpretare il Corano,
anzi abbiamo il dovere di interpretarlo, e non solo di commentarlo.
Tuttavia ad un certo punto è stato deciso che non è più
possibile l’interpretazione, anche solo cercare di capire che cosa significa
per noi è come ripensarlo. Questa è la tragedia del mondo islamico: nessuno sa
chi l’ha deciso, ma per tutti è così, dal X-XI secolo in poi “la porta dello
sforzo personale”(bâb al-igtihâd),
dell’interpretazione, è chiusa, e nessuno riesce più ad aprirla. Siamo in
questa situazione tragica: tutti i musulmani liberali, che vorrebbero cambiare,
sono condannati, talvolta anche uccisi, altre volte unicamente condannati a
morte o esclusi dal paese, la moglie condannata a divorziare perché non può
vivere con uno che non è più musulmano. Questo è uno dei grossi problemi
dell’islam: non riesce ad adattarsi alla modernità.
3. Sfruttare la modernità rifiutandola
Il problema essenziale dell’islam oggi è il confronto con la
modernità. Il mondo islamico si dibatte tutti i giorni con questo concetto:
vorrebbe prenderne i frutti, soprattutto la tecnologia, senza rimettersi in
questione, e così in questo senso i frutti della modernità sono colti senza
problemi. Tutti i movimenti islamici usano, prima degli altri, Internet e tutti
i mezzi più sofisticati, ma non sono capaci di produrre il minimo di questi
mezzi, cioè sfruttano la modernità e la rifiutano.
La modernità appare a noi arabi – tutti quanti, più in
particolare ai musulmani – quasi come il diavolo. È pericolosissima la
modernità, però chi fa a meno dell’elettricità, dell’acqua corrente, del fax?
Nessuno! Allora pensano di essere all’avanguardia del progresso, perché hanno
tutto. Forse un simbolo di questo è che a volte in Arabia Saudita, sotto la
tenda del beduino, si trovano gli apparecchi più sofisticati: il beduino
vorrebbe continuare a vivere nel sistema di sempre, avendo però le cose più
moderne; e questo è impossibile, perché se voglio entrare nella modernità devo
rimodellare la mente. E’ proprio questo che è stato molto difficile da fare per
la Chiesa, ed è ancora più difficile per i musulmani. Non hanno il coraggio di
farlo, e più si aspetta più il divario cresce.
4. L’immigrazione musulmana: una chance per l’islam
Perciò uno dei servizi che l’occidente potrebbe offrire
all’islam è quello di aiutare il musulmano a confrontarsi con la modernità, e
questo si può fare in Europa. La presenza degli immigrati musulmani nei paesi europei andrà sempre crescendo, per
motivi sociologici, demografici e finanziari, e perché l’Italia la desidera –
non gli italiani, ma l’Italia che decide –, cioè chi tiene le redini
dell’economia e della politica vuole l’immigrazione, e i paesi del terzo mondo,
che sono spesso musulmani, cercano l’emigrazione. Dunque il fenomeno è destinato
a crescere sempre più.
Questa emigrazione dei musulmani in Occidente potrebbe
essere per loro un’occasione per ripensare la fede in termini moderni. Perché
mi sembrf che sia impossibile a qualcuno che abbia studiato da bambino in una
scuola normale italiana, che forse ha fatto anche l’università, tanto più se
c’è tutta una comunità che è passata attraverso questo cammino normale, è
impossibile continuare a pensare con gli schemi tradizionali dell’islam, è
impossibile dire: «Faccio questo perché Dio l’ha detto 1400 anni fa».
Certamente dovrà almeno chiedersi perché fa così. Per fare un’esempio ovvio :
la condizione della donna non può mantenersi nei termini in cui i musulmani la
concepiscono oggi. Io non auspico la perdita della fede dei musulmani, non
credo che ciò sarebbe un bene; io auspico il confronto tra la fede e la
società, la fede e la ragione, la fede e i diritti dell’uomo.
Uno dei punti più importanti e più delicati è quello dei
diritti della persona umana, e su questo punto ci sono molte contraddizioni
nell’islam. Per esempio non esiste ufficialmente la tolleranza religiosa: un
musulmano non ha diritto di abbandonare l’islam, l’apostata è condannato a
morte. Tutta la situazione della donna nell’islam, giuridicamente – non parlo
di com’è nella vita quotidiana, questo è affare privato – è contraria ai
diritti della persona umana. Che la testimonianza di una donna valga la metà di
quella di un uomo – qualunque sia l’uomo – è giuridicamente previsto, ed è
inaccettabile; che la successione della donna sia la metà dell’uomo, non si può
capire oggi, ma si poteva capire benissimo una volta, e così via.
Questo confronto non lo possiamo fare nei paesi musulmani,
perché la modernità non esiste come mentalità, cammina molto lentamente, e si
fa un passo avanti e due indietro, o due avanti e uno indietro. Allora
l’emigrazione in occidente può essere una possibilità per loro, a condizione
però che vengano aiutati culturalmente.
Quest’aiuto verrà accettato meglio se offerto dai cristiani.
Mi spiego: la modernità è vista da noi come il diavolo, perché si pensa che
modernità sia sinonimo di libertinaggio; l’immagine dell’occidente da noi è
l’immagine del libertinaggio assoluto, della corruzione sessuale, della perdita
delle norme, ecc. Allora, se il musulmano è preso tra questo tipo di modernità
offerta dall’occidente e la tradizione presentata dai più radicali, non può far
altro che aggrapparsi alla tradizione, che almeno, conserva un valore sicuro.
Se invece si potesse presentare una modernità combinata con delle norme morali,
religiose, la modernità come un cristiano normale la concepisce, credo che
questo potrebbe essere un modello attraente e accettabile per un musulmano, ma
per il momento, la modernità è un modello repellente.
Conclusione : quale dialogo ?
L’islam è una religione coerente. Ma è una religione che,
secondo me, ha fatto un passo indietro riguardo al cristianesimo, su tutto ciò
che riguarda valori e spiritualità. Rispetto al cristianesimo però, l’islam ha
capito una cosa essenziale, che, se non è assente dalla teoria cristiana, lo è
spesso dalla pratica: l’importanza della comunità. In teoria, il cristianesimo
tende a creare una comunità umana, ma in pratica, oggi è spesso un
individualismo. La forza dell’islam risiede nel suo senso comunitario che è
spinto fino al fanatismo.
Si tratta in ogni caso della religione di ben un miliardo di
persone; una religione che è rispettabile, ma che deve essere criticata.
Esigenze del dialogo
Il dialogo non consiste ovviamente nel sottolineare solo le
cose comuni, dimenticando le cose differenti. Il dialogo non consiste nel dire:
“Ci intendiamo, ci vogliamo bene”; questo può andar bene per alcune prediche
senza gusto. Il dialogo significa una conoscenza seria, oggettiva, critica dell’altro
e di me stesso.
Il dialogo è sempre un confronto, che non ha per scopo la
distruzione dell’altro, ma nel quale ambedue i dialoganti si sorpassano
personalmente: quanto più io vado avanti nella mia fede, tanto più lui nella
sua. Attraverso questo confronto e questa critica, se non posso fare
autocritica, almeno sento la critica fatta dagli altri.
Il dialogo è esigente, suppone una lucidità terribile e un
umiltà assoluta. Se rinuncio alla lucidità e più ancora alla verità – come mi
sembra spesso accada ai nostri giorni, a differenza di una volta –, se rinuncio
a dire ciò che penso e che talvolta tutti pensano, per non avere problemi, creo
problemi più grandi, perché vivo nel falso, o vivo nell’approssimativo. Il
dialogo non è essere gentile, diplomatico, evitare i conflitti. Il dialogo
significa verità e amore dell’altro : “Amore e Verità s’incontrano, Giustizia e
Pace s’abbracciono”, cantiamo nel Salmo.
Dire: “Tutte le religioni sono una via verso Dio”,
oppure “Tutte le religioni cercano la
pace, ecc.» è falso. Si può dire che tale religione in tale circostanza ha
cercato la pace, e tale religione, invece, ha praticato la violenza. Anche
nell’intento Maometto non era un non violento, ma un violento, non per amore
della violenza ma per realizzare il suo scopo nobile. La violenza li è sembrato
in molti casi una necessità inevitabile. Quando i gruppi islamici più radicali
scelgono la violenza come mezzo per arrivare all’islam come loro lo
concepiscono, non è che stanno fuori dall’islam, come si ripete (non so perché)
tante volte, ma hanno fatto una delle scelte islamiche. La violenza sta
nell’islam chiaramente, come anche la tolleranza. Troverete nel Corano il
versetto sempre citato in occidente da tutti i libri politicamente corretti: «Non
c’è costrizione in materia di religione »; ma questi stessi libri non
citano mai i versetti che da noi, in Medio-Oriente, sono i più citati riguardo
ai non musulmani: «Uccideteli tutti quanti, ovunque li troverete».
Il dialogo deve essere onesto, lucido, esigente, andare fino
al fondo di me e dell’altro; io sono convinto che si possa costruire insieme
una società, con i musulmani, ma non a qualunque condizione.
Riguardo all’immigrazione, per esempio, ci vogliono delle
regole, come si fa in tutti i paesi ragionevoli. Non si può accettare chiunque
venga e vuol vivere qui, anche se non fosse capace di convivere. E ci vuole,
allo stesso tempo, sempre, un’apertura di cuore per non respingere chiunque.
Questa è una strada difficile, per il musulmano e per il
cristiano. Io mi auguro che sempre di più saremo in grado di instaurare questa
forma di dialogo senza concessioni, un dialogo autentico, qui a Milano con i
musulmani che lo vogliono e un po’ dappertutto, un dialogo che sia in verità e
in carità.
[1]Quest’ultimo fatto è ancora da chiarire,
nel senso che è nota la presenza di ebrei in Arabia all’epoca di Maometto - a Medina risedevano
tre tribù molto importanti -, ma si discute se fossero tribù arabe o solo di
lingua araba; è un piccolo particolare culturale
[2]Questa espressione può essere
comprensibile nel contesto coranico, ma non si addice affatto ai cristiani. Lo
dico perché noto che tante volte in Europa - chissà perché? - va di moda
parlare di religioni del libro, c’è
persino un Centro di ricerca per le «religioni del libro». Ma il cristianesimo
non è mai stato definito come una religione del libro, bensì come la
rivelazione di Cristo, è la rivelazione di Cristo che è stata consegnata in
libri.
[3] La radice di egira è la stessa radice di Agar, che nella Bibbia è la schiava di
Abramo che fugge nel deserto, e che
sarà l’immagine di Maometto e dei musulmani; il figlio di Agar, Ismaele, sarà
considerato come il primo musulmano, anche se in realtà, come vedremo, nella
tradizione coranica il primo musulmano è Adamo.
[4]Maometto fece molte guerre: secondo i
suoi primi biografi, che hanno scritto circa centocinquant’anni dopo la sua
morte, egli combatté circa diciannove guerre in dieci anni, il che significa
due guerre all’anno in due stagioni diverse. Questo per gli arabi e i musulmani
non era una cosa strana, nessuno ha visto in queste guerre qualcosa di
incompatibile con la religione, perché la guerra faceva parte della cultura dei
beduini; tra l’altro la parola razzia
è di origine araba.
[5] La
storia di Adamo sarà presentata in questa chiave. Il peccato originale, viene
menzionato, ma en passant, perché
Adamo si pente subito, adora il suo Signore e il suo Signore lo perdona.
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