Perché ripete sempre “pregate per me”?Perché ne ho bisogno.
Ho bisogno che mi sostenga la preghiera del popolo.
È un’esigenza interiore, devo essere sostenuto dalla preghiera del popolo
Intervista del Papa al quotidiano argentino «La Voz del Pueblo»
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© Filippo MONTEFORTE
Pubblichiamo l’intervista rilasciata dal Papa il 21 maggio e uscita sul quotidiano argentino «La Voz del Pueblo» di Tres Arroyos (Buenos Aires) del 24 maggio.
di Juan Barretta
Da solo con Papa Francesco nella sua residenza di Santa Marta, in Vaticano. Un faccia a faccia storico, in cui una delle personalità più importanti del mondo ha parlato della sua vita personale. «Voglio che mi ricordino come una brava persona», e dal profondo del cuore ammette: «La gente mi fa bene». In una semplice saletta della residenza di Santa Marta, in Vaticano, Papa Francesco ha ricevuto«La Voz del Pueblo», senza la presenza di terzi e a una sola condizione: «L’unica cosa che ti chiedo è di giocare pulito», ha detto prima che accendessi il registratore. Poi, nei quarantacinque minuti che è durato il nostro incontro, mi ha confessato che in altri tempi ha provato «panico davanti ai giornalisti». È chiaro che si tratta di un trauma superato. Jorge Bergoglio ha avuto il coraggio di ripercorrere la sua vita personale, rispondendo volentieri e accompagnando le parole con gesti quando la domanda lo entusiasmava, ma anche in modo secco e tagliente davanti a una domanda la cui risposta avrebbe potuto suscitare molto clamore al di fuori delle mura vaticane. La solitudine, la pizza, la paura del dolore fisico, il suo magnetismo, le cose che lo fanno piangere, le pressioni, la televisione, il valore delle utopie... Questi sono stati alcuni dei temi trattati durante la nostra chiacchierata, che ha avuto come punto di partenza la sua nomina.
Sognava di essere Papa?
No! E neppure di essere presidente della Repubblica o generale dell’esercito. C’è chi ha questo sogno. Io no.
Neanche mentre faceva carriera nel servizio episcopale ha immaginato questa possibilità?
Dopo aver occupato per quindici anni i posti di comando in cui mi avevano messo, ero tornato in basso, a essere confessore, parroco. La vita di un religioso, di un gesuita, cambia a secondo dei bisogni. E riguardo alla possibilità, ero nella lista dei papabili nell’altro conclave. Ma questa volta, la seconda, vista la mia età, 76 anni, e visto che c’erano certamente persone più valide… Così nessuno faceva il mio nome, nessuno. Inoltre dicevano che ero un kingmaker (un grande elettore, come vengono chiamati quei cardinali che per la loro esperienza e la loro autorità hanno più peso di altri sul risultato elettorale) e potevo influire sul voto dei cardinali latinoamericani. Al punto che sui giornali non era uscita neanche una foto mia, nessuno pensava a me. I bookmakers di Londra mi davano al 46esimo posto (si fa una bella risata). Neppure io pensavo a me, non mi veniva proprio in mente.
Nonostante nel 2005 fosse stato il secondo più votato dopo Ratzinger...
Queste sono cose che si dicono. Il fatto certo è che almeno nell’altra elezione ero sui giornali, comparivo tra i papabili. Dentro era chiaro che doveva essere Benedetto, che fu votato quasi all’unanimità, e questo mi piacque molto. La sua candidatura era chiara, nella seconda elezione non c’era nessun candidato chiaro. Ce n’erano vari possibili, ma nessuno forte. Perciò ero venuto a Roma con quello che avevo addosso e con un biglietto di ritorno per il sabato sera, per poter essere a Buenos Aires la domenica delle Palme. Avevo addirittura lasciato la mia omelia pronta sulla scrivania. Non pensavo mai che sarebbe successo.
E quando è stato eletto cosa ha provato?
Prima dell’elezione definitiva ho provato molta pace. «Se Dio lo vuole…», ho pensato. E sono rimasto in pace. Mentre si facevano gli scrutini, che sono eterni, recitavo il rosario, tranquillo. Avevo accanto il mio amico, il cardinale Cláudio Hummes, che in una votazione precedente a quella definitiva mi aveva detto: «Non ti preoccupare eh, che così opera lo Spirito Santo»
di Juan Barretta
Da solo con Papa Francesco nella sua residenza di Santa Marta, in Vaticano. Un faccia a faccia storico, in cui una delle personalità più importanti del mondo ha parlato della sua vita personale. «Voglio che mi ricordino come una brava persona», e dal profondo del cuore ammette: «La gente mi fa bene». In una semplice saletta della residenza di Santa Marta, in Vaticano, Papa Francesco ha ricevuto«La Voz del Pueblo», senza la presenza di terzi e a una sola condizione: «L’unica cosa che ti chiedo è di giocare pulito», ha detto prima che accendessi il registratore. Poi, nei quarantacinque minuti che è durato il nostro incontro, mi ha confessato che in altri tempi ha provato «panico davanti ai giornalisti». È chiaro che si tratta di un trauma superato. Jorge Bergoglio ha avuto il coraggio di ripercorrere la sua vita personale, rispondendo volentieri e accompagnando le parole con gesti quando la domanda lo entusiasmava, ma anche in modo secco e tagliente davanti a una domanda la cui risposta avrebbe potuto suscitare molto clamore al di fuori delle mura vaticane. La solitudine, la pizza, la paura del dolore fisico, il suo magnetismo, le cose che lo fanno piangere, le pressioni, la televisione, il valore delle utopie... Questi sono stati alcuni dei temi trattati durante la nostra chiacchierata, che ha avuto come punto di partenza la sua nomina.
Sognava di essere Papa?
No! E neppure di essere presidente della Repubblica o generale dell’esercito. C’è chi ha questo sogno. Io no.
Neanche mentre faceva carriera nel servizio episcopale ha immaginato questa possibilità?
Dopo aver occupato per quindici anni i posti di comando in cui mi avevano messo, ero tornato in basso, a essere confessore, parroco. La vita di un religioso, di un gesuita, cambia a secondo dei bisogni. E riguardo alla possibilità, ero nella lista dei papabili nell’altro conclave. Ma questa volta, la seconda, vista la mia età, 76 anni, e visto che c’erano certamente persone più valide… Così nessuno faceva il mio nome, nessuno. Inoltre dicevano che ero un kingmaker (un grande elettore, come vengono chiamati quei cardinali che per la loro esperienza e la loro autorità hanno più peso di altri sul risultato elettorale) e potevo influire sul voto dei cardinali latinoamericani. Al punto che sui giornali non era uscita neanche una foto mia, nessuno pensava a me. I bookmakers di Londra mi davano al 46esimo posto (si fa una bella risata). Neppure io pensavo a me, non mi veniva proprio in mente.
Nonostante nel 2005 fosse stato il secondo più votato dopo Ratzinger...
Queste sono cose che si dicono. Il fatto certo è che almeno nell’altra elezione ero sui giornali, comparivo tra i papabili. Dentro era chiaro che doveva essere Benedetto, che fu votato quasi all’unanimità, e questo mi piacque molto. La sua candidatura era chiara, nella seconda elezione non c’era nessun candidato chiaro. Ce n’erano vari possibili, ma nessuno forte. Perciò ero venuto a Roma con quello che avevo addosso e con un biglietto di ritorno per il sabato sera, per poter essere a Buenos Aires la domenica delle Palme. Avevo addirittura lasciato la mia omelia pronta sulla scrivania. Non pensavo mai che sarebbe successo.
E quando è stato eletto cosa ha provato?
Prima dell’elezione definitiva ho provato molta pace. «Se Dio lo vuole…», ho pensato. E sono rimasto in pace. Mentre si facevano gli scrutini, che sono eterni, recitavo il rosario, tranquillo. Avevo accanto il mio amico, il cardinale Cláudio Hummes, che in una votazione precedente a quella definitiva mi aveva detto: «Non ti preoccupare eh, che così opera lo Spirito Santo»
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