“Davvero tutto è buono e splendido perché tutto è verità”. I fratelli Karamazov Fedor Dostoevskij
domenica 3 luglio 2016
Fanno l'«inchino» nella processione Il parroco se ne va, il vescovo: grazie
Avevano fatto male i conti, i portantini della statua della Madonna del Rosario di Livardi, piccola frazione di San Paolo Bel Sito, nel Nolano. Quando hanno violato il percorso stabilito per la processione, voltandosi verso il vicoletto che porta presso l’abitazione dei Sangermano – famiglia emergente della malavita locale – credevano che tutti avrebbero chiuso gli occhi. Invece il giovane parroco, don Fernando Russo, si è tolto la stola e se n’è andato. E insieme a lui ha lasciato il corteo anche il maresciallo dei Carabinieri, Antonio Squillante.
L’inchino, i portantini, con tanto di statua girata verso la casa da 'onorare', se lo sono fatti da soli, senza poter contare su alcuna connivenza e nemmeno sul silenzio. Anzi, il giorno dopo hanno incassato le parole di fuoco del vescovo di Nola, Beniamino Depalma: «Avete violentato la processione e oltraggiato Livardi. Credete di poter disporre delle statue e della Chiesa, credete di poter subordinare tutto a voi, anche Dio. E invece dovete solo chiedere perdono per la vostra arroganza e prepotenza». I fatti risalgono al tardo pomeriggio di domenica. Tutto sembra procedere in modo normale, ogni cosa era stata concordata. Il parroco è nel mezzo della processione, dopo la banda e davanti alla statua. Arrivati in piazza Marchese di Livardi, il corteo doveva proseguire nel suo cammino e dirigersi verso la cappella per la benedizione finale.
E invece la 'sorpresa'. I portantini si fermano. E lì, all’imbocco del vicoletto che tutti conoscono, un soprano intona l’Ave Maria. Alle prime note la statua della Madonna del Rosario viene girata verso la villa dei Sangermano. Don Fernando e il maresciallo Antonio Squillante si guardano negli occhi, si scambiano due parole, poi girano le spalle e se ne vanno. Fanno però in tempo a vedere tutta la scena. Il carabiniere va in caserma a stendere il verbale. Il sacerdote invece va a riferire al vescovo l’accaduto.
Il giorno dopo Depalma decide di scrivere una lettera pubblica a don Russo e alla frazione di Livardi. «Questo ingiustificabile comportamento mi ha rattristato nel profondo. Nell’ascoltare il tuo racconto ho percepito il dolore che hai provato nel vedere il tuo gregge procedere come se non avesse una guida, ignorando la tua presenza e le tue scelte pastorali, ignorando colui che rappresenti: Gesù Cristo». Una missiva a cuore aperto per denunciare quello «scellerato sistema di malaffare e ingiustizia chiamato camorra», un sistema che vorrebbe nutrirsi di simboli religiosi per tenere dalla propria parte il popolo.
La lettera continua richiamando le recenti norme adottate dalla diocesi e dalla Conferenza episcopale campana sulle manifestazioni di pietà popolare, che non lasciano spazio a equivoci e fraintendimenti. Dio è per tutti, prosegue il vescovo, ma «la misericordia non è mai separata dalla verità e dalla giustizia».
«L’amore di Dio non può essere preteso», come certi gruppi di 'fedeli', con oscuri registi alle spalle, a volte dimostrano. Don Fernando, 42 anni, prete da 13, dopo un lunedì non privo di preoccupazioni, ora è sereno e regolarmente 'in servizio'. «Purtroppo nella nostra terra si tende a sottovalutare questi episodi – dice ricostruendo i fatti –. Anche le persone per bene ti dicono 'sii tollerante, non esagerare, non ti esporre'. Però io e il maresciallo in quel gesto abbiamo visto una grande prepotenza. Volevano dire 'qui comandiamo noi'. Ora però basta, c’è bisogno di azioni, anche silenziose come andarsene da una processione, per dire 'no' a logiche che non ci porteranno da nessuna parte. Noi parroci – prosegue – spesso siamo in trincea e sottoposti a forti pressioni di questo tipo, ma la cosa non fa rumore. Anche per questo ho voluto alzare un velo». Adesso il sacerdote e il vescovo attendono le mosse della procura di Nola.
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