L’estate degli imprevisti battesimi
Scritto da Francesco Bertolina il 23 luglio
2014 ·
Era il giorno del Sacro Cuore, festa della parrocchia e festa per
12 catecumeni, adulti e bambini, che si erano preparati al battesimo: li
aspettavamo, quella domenica, da tanti luoghi più o meno vicini, un po’ in ansia
per l’attesa e perché non capitassero imprevisti. Eppure, proprio la sera della
vigilia, arriva una telefonata: era una giovane mamma che l’indomani avrebbe
dovuto portare al Battesimo la sua bambina. Si era rotta la macchina,
impossibile farla aggiustare in poche ore festive. Di più, il papà di un’altra
famiglia doveva sostituire un collega al lavoro, e pazienza se era domenica: non
potevano partire. Ero così stanco, per di più a fine anno, non sapevo che fare.
Ci siamo scambiati poche parole tra amici, tra cui una laica consacrata dei
Memores Domini, arrivata per darci una mano da Novosibirsk: avremmo celebrato la
messa e battezzato chi era presente in parrocchia. Poi, dopo un po’ di festa,
avremmo raggiunto i parenti della mamma che mi aveva chiamato e avremmo
celebrato i sacramenti in casa, con i bambini di tre famiglie (tutte parenti tra
loro…) e il nonno, malato terminale di tumore. Proprio la figlia mi aveva
cercato tempo prima, chiedendomi di battezzare il papà e la figlia insieme.
Negli ultimi giorni, però, il male era avanzato tanto da impedirgli di muoversi.
Insomma, spostarci noi avrebbe reso possibile l’incontro così atteso anche da
quell’uomo anziano.
Una prima opportunità. La domenica mattina accogliamo nella comunità i nuovi cristiani e li festeggiamo con pizza a volontà preparata dalla nostra Berni, una vera specialità. Poi ci mettiamo in viaggio per raggiungere la piccola chiesa domestica che ci attendeva. I bambini avevano un abito nuovo bianchissimo fatto a mano dalle loro mamme: una bellissima cerimonia, una letizia palpabile. Ma il nonno non c’era. Chiedo alla figlia perché: costretto al letto, pareva alla fine. «Avvisa che andiamo noi da lui, se volete. Mangiamo il dolce coi bambini e partiamo subito», dico.
Seconda opportunità. Ci rimettiamo di nuovo in macchina, e arriviamo alla casetta del nonno. Modesta, silenziosa. «Entro da solo», spiego, «c’è una sola stanza piccola piccola, e non bisogna mettergli disagio». Il malato è seduto sul divano, con gli occhi chiusi, sembra del tutto assente. Gli parlo, come se potesse ascoltarmi, rendo partecipi i familiari e gli impartisco il Battesimo insieme alla Cresima, vista la gravità della situazione e il desiderio vivissimo dei suoi parenti. Poi torniamo stremati nella nostra parrocchia: avevamo seguito gli imprevisti seminati qua e là, senza ancora capire perché.
Il lunedì, come da tradizione, noi sacerdoti della san Carlo siamo a cena dalle Memores a Novosibirsk. Io avevo tenuto sempre il telefonino spento, e quando sto per uscire dall’appartamento delle ospiti, accendendolo, vedo due chiamate. La famiglia che avevo incontrato il giorno prima mi avvisava che il nonno era mancato il mattino stesso e l’indomani ci sarebbero stati i funerali.
Martedì, tornando a quella casetta, partecipando al funerale, pensavo a quel vecchio uomo certamente in Paradiso, perché non si era più svegliato dopo aver ricevuto il battesimo; pensavo a tutto ciò che Dio aveva permesso: la macchina rotta, il collega da sostituire, la decisione di celebrare i battesimi in quelle case, la mia domanda sul nonno ammalato…
Tutto era voluto, preparato per lui, perché ricevesse la Grazia di entrare nella Chiesa, e per noi, perché capissimo in che buone mani è il nostro destino.
Nell’immagine, paesaggio estivo siberiano (foto Olga Filonenko)
Una prima opportunità. La domenica mattina accogliamo nella comunità i nuovi cristiani e li festeggiamo con pizza a volontà preparata dalla nostra Berni, una vera specialità. Poi ci mettiamo in viaggio per raggiungere la piccola chiesa domestica che ci attendeva. I bambini avevano un abito nuovo bianchissimo fatto a mano dalle loro mamme: una bellissima cerimonia, una letizia palpabile. Ma il nonno non c’era. Chiedo alla figlia perché: costretto al letto, pareva alla fine. «Avvisa che andiamo noi da lui, se volete. Mangiamo il dolce coi bambini e partiamo subito», dico.
Seconda opportunità. Ci rimettiamo di nuovo in macchina, e arriviamo alla casetta del nonno. Modesta, silenziosa. «Entro da solo», spiego, «c’è una sola stanza piccola piccola, e non bisogna mettergli disagio». Il malato è seduto sul divano, con gli occhi chiusi, sembra del tutto assente. Gli parlo, come se potesse ascoltarmi, rendo partecipi i familiari e gli impartisco il Battesimo insieme alla Cresima, vista la gravità della situazione e il desiderio vivissimo dei suoi parenti. Poi torniamo stremati nella nostra parrocchia: avevamo seguito gli imprevisti seminati qua e là, senza ancora capire perché.
Il lunedì, come da tradizione, noi sacerdoti della san Carlo siamo a cena dalle Memores a Novosibirsk. Io avevo tenuto sempre il telefonino spento, e quando sto per uscire dall’appartamento delle ospiti, accendendolo, vedo due chiamate. La famiglia che avevo incontrato il giorno prima mi avvisava che il nonno era mancato il mattino stesso e l’indomani ci sarebbero stati i funerali.
Martedì, tornando a quella casetta, partecipando al funerale, pensavo a quel vecchio uomo certamente in Paradiso, perché non si era più svegliato dopo aver ricevuto il battesimo; pensavo a tutto ciò che Dio aveva permesso: la macchina rotta, il collega da sostituire, la decisione di celebrare i battesimi in quelle case, la mia domanda sul nonno ammalato…
Tutto era voluto, preparato per lui, perché ricevesse la Grazia di entrare nella Chiesa, e per noi, perché capissimo in che buone mani è il nostro destino.
Nell’immagine, paesaggio estivo siberiano (foto Olga Filonenko)
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