mercoledì 30 luglio 2014

PADRI DEL DESERTO - PREGHIERA-SEMPLICITA-VOLONTA' DI DIO



Pregare incessantemente

La parola chiave degli apoftegmi è senza dubbio 1Ts 5, 17: «Pregate incessantemente». Questo è il versetto più citato nei circa 2300 detti differenti. Questa esortazione di san Paolo si trova nascosta tra altre esortazioni e non è accompagnata da ulteriori spiegazioni o da alcun commento. I monaci perciò hanno preso questa parola nel senso letterale di una preghiera di 24 ore su 24. Il loro sforzo comune per realizzare un tale compito deve essere qualificato senz’altro come grandioso. Il primo passo a questo fine era la separazione dal mondo (anacoreta, da anachôrein = ritirarsi). Gli anacoreti scoprirono il deserto come un luogo molto adatto a questa separazione, sull’esempio di Gesù che dimorava 40 giorni nel deserto o andava a pregare sui monti durante la notte. Ben presto, si vide che un’ascesi dura e severa ne era una parte indispensabile.

4. Semplicità

La preghiera dei monaci del deserto non consisteva in salmi o in altri testi biblici. La semplicità proibiva loro di rendere la preghiera complicata. Nutrivano la mente con la lettura e la meditazione, cioè con la ripetizione mormorata della Bibbia; la preghiera, invece, la facevano essi stessi. «Non c’è bisogno di vane parole, disse abba Macario, ma tendi le mani e di’: Signore, come vuoi e come sai, abbi pietà di me»[5]. Alludeva a Mt 6, 7: «Nel pregare non siate ciarlieri come i pagani». Le parole «abbi pietà di me» rimandano alla preghiera del pubblicano (Lc 18, 13): di lì s’è formata la famosa «preghiera di Gesù». Il detto dell’abate Macario fa presumere che il monaco del deserto limitasse abitualmente la preghiera alla ripetizione continua di una stessa giaculatoria. Un apoftegma dell’abate Sisoês rafforza questa presunzione. Egli diceva: «Ecco, da trent’anni non prego più Dio per un peccato particolare, ma prego così: «Signore Gesù, proteggimi dalla mia lingua». E fino ad ora ogni giorno cado nel peccato a motivo della lingua»[6]. All’inizio quindi abba Sisoês emetteva una specie di preghiera di Gesù, una preghierina di misericordia; più tardi diceva che da trent’anni l’aveva cambiata in una preghiera ininterrotta per tenere a freno la lingua (Gc 1, 26).

Colui che prega tutto il giorno non ha più bisogno di ore particolari di preghiera. Perciò non possiamo aspettarci di trovare presso i primi monaci, i quali erano solitari in senso stretto, un vero «ufficio», cioè un obbligo. Quest’ultimo però nacque spontaneamente da quando i solitari incominciarono a ricevere discepoli. Fin da allora si radunavano per pregare insieme (synaxis). Per questa sinassi sceglievano di preferenza, ma non esclusivamente, dei salmi. Soltanto nella terza «generazione» si cominciò qua e là a cantare quei salmi
 
6. La volontà di Dio

Il vero monaco desidera conoscere la volontà di Dio e prega a tale scopo. Perciò deve recidere la propria volontà. La parola «recidere», preferita in tali contesti, ne indica l’asperità. Infatti, stroncare la propria volontà è la cosa più dura che mai si possa chiedere ad un uomo. Un apoftegma lo mette in rapporto con la dichiarazione di san Pietro in Mt 19, 27. In questo testo si legge: «La via stretta ed angusta è questa: far violenza ai propri pensieri e stroncare la propria volontà per la volontà di Dio. E questo è il significato di: “Ecco, noi abbiamo abbandonato tutto e ti abbiamo seguito”»[8]. I monaci prendevano sul serio la parola di Gesù: «Non sono venuto per fare il mio volere, ma il volere di colui che mi ha mandato» (Gv 5, 30 e 6, 38

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